Una nuova monografia, la XII della Fondazione Renzo Piano, illustra i passaggi che l’architetto, Gino Strada e i team hanno affrontato per realizzare un ospedale sostenibile in Uganda, a Entebbe. Parla Lia Piano, che ha curato il libro

La Fondazione Renzo Piano ha presentato un nuovo volume, il dodicesimo a oggi, che si aggiunge alle precedenti monografie nate per raccontare i progetti dello studio in modo trasparente.

Questo, però, è un libro ancora più speciale. Emergency Children’s Hospital. L’ospedale dei bambini, Entebbe, Uganda illustra infatti la storia del Centro di eccellenza in chirurgia pediatrica di EMERGENCY: un ospedale innovativo e rispettoso dell’ambiente, frutto dell’amicizia tra Renzo Piano e Gino Strada a cui il volume è dedicato.

118 disegni inediti di cui 51 schizzi di Renzo Piano, varianti e dettagli che non saranno mai pubblicati altrove, 57 foto del team al lavoro e del cantiere in ogni sua fase, 33 foto dell’edificio finito. Un progetto nato da una telefonata in cui Gino Strada disse a Piano: “Voglio un ospedale scandalosamente bello”. E che Lia Piano ha raccontato a INTERNI.

Lia Piano, è scandaloso fare qualcosa di bellissimo ed etico insieme?

Sono le parole che Gino Strada disse a Renzo Piano nella telefonata che avviò tutto il progetto: “Voglio un ospedale scandalosamente bello”. Lo scandalo è nei confronti della prassi comune, che Gino aveva perfettamente sintetizzato: “Se devo fare una sedia per casa mia, la faccio perfettamente in squadra con quattro gambe e una bella seduta. Se invece devo farla per l’Africa per molti basta che ci si possa stare appoggiati”.

Questo progetto capovolge l’approccio corrente, e porta in Africa il meglio della chirurgia pediatrica, delle tecnologie e delle competenze oggi disponibili. Porta in Africa tutto quello che noi vorremmo avere qui. Compresa la bellezza, che non è un fattore estetico, ma come ormai è risaputo impatta sull’aspetto psicologico e fisico dei pazienti. La bellezza fa parte della cura, non ne è un accessorio.

Questo progetto è frutto di una grande amicizia, oltre che collaborazione. Due teste, due cuori e un obiettivo comune: era indubbio che il risultato fosse eccellente. È stato difficile?

È stato impegnativo. Un lavoro durato anni, e iniziato molto prima della famosa telefonata fra Gino e Renzo. Basti pensare che per trovare il terreno ci sono voluti 7 viaggi di esplorazione, il primo nel 2010. Emergency ha lavorato anni per creare le condizioni istituzionali e logistiche. È un ospedale che viene da molto lontano, e deve la sua riuscita a un gruppo numeroso. Non due, ma tante teste, e altrettanti cuori. Esistono anche contagi felici: in questo progetto, ad esempio, l’eccellenza è stata contagiosa. Ognuno ha cercato di fare al meglio delle proprie possibilità.

In che modo è un progetto sostenibile? Il primo di questo tipo.

Abbiamo già parlato di bellezza e eccellenza. Manca il terzo elemento, senza il quale le prime due non bastano: la sostenibilità. Una scelta di filosofia e metodo che guarda soprattutto al futuro, a quando la gestione dell’ospedale sarà lasciata al governo ugandese. Quindi sostenibilità medica e sanitaria, perché l’ospedale è anche luogo di formazione qualificata di medici e infermieri, che non saranno più costretti ad abbandonare il Paese (con il rischio di non tornare più). Sostenibilità ambientale, a partire dai muri realizzati con la terra di scavo del cantiere.

Sostenibilità energetica, perché i 2.500 pannelli fotovoltaici coprono 1/3 del fabbisogno dell’ospedale. E lo stesso vale per ogni altra risorsa. Come ha detto Raul Pantaleo, che con RPBW ha progettato l’ospedale: lavorare in condizioni difficili insegna un rapporto parsimonioso con tutte le risorse.

Come sono stati documentati 12 anni di lavoro? Quanto ci avete messo a riorganizzare tutto il materiale?

Questi libri nascono da un’idea molto semplice. È raro che una monografia racconti davvero e in modo trasparente la storia di un edificio. I progetti sembrano sempre derivare da percorsi rettilinei e lisci, senza un intoppo, un ripensamento, un errore. Frugando negli archivi, guardando con attenzione, mi sono resa conto che non è mai così. Per fortuna, aggiungerei. Mi interessava raccontare anche l’errore. Che fa parte di ogni progetto, anche dei più riusciti.

Ma è un lavoro lungo: pubblichiamo un volume all’anno. Bisogna avere il tempo di capire, di ascoltare, in alcuni casi, come in questo, di andare di persona in cantiere, vedere costruire i muri in pisé (in terra battuta), assistere alla formazione del personale che si occuperà della manutenzione dell’edificio. Vedere quello che c’è, e soprattutto quello che non c’è ancora, ma ci sarà.

Nel libro si possono quindi consultare anche le difficoltà?

Certo. Alcune fasi sono semplificate, e mi sono invece soffermata su passaggi poco noti, o meno intuitivi. Ad esempio, ho documentato tutto il lavoro di ricerca fatto per trovare la perfetta composizione di argilla per realizzare i muri in pisé. Il lavoro portato avanti per anni. Oppure i ripensamenti: come l’idea, poi abbandonata, di realizzare la struttura in legno. In quella zona le termiti si sarebbero letteralmente mangiate l’ospedale. Che infatti è stato poi realizzato in carpenteria metallica.

Qual è l’aspetto che le è piaciuto di più raccontare?

Ogni progetto ha una storia diversa, è l’incendio nato da una diversa scintilla. Qui mi interessava l’incontro fra Gino Strada e Renzo Piano. La nascita di un’amicizia fra persone schive, che si osservano a lungo prima di buttarsi in un progetto comune. E mi interessava il lavoro sul limite. In questo progetto spesso abbiamo dovuto trovare soluzioni che tenessero conto di fattori molto diversi: la disponibilità di risorse, le necessità dei protocolli sanitari, la semplicità d’uso e la durabilità. È quella che in ufficio chiamiamo la legge della ‘dura necessità’.

Quanto è importante condividere, in questo settore?

La Fondazione che abbiamo creato, ormai quasi vent’anni fa, ospita quello che noi chiamiamo l’archivio 'vivo'. Vivo perché condiviso, anche attraverso la pubblicazione delle monografie. Non esiste conoscenza se non è condivisa.

Gino Strada chiedeva: "Ce la faremo a finire questo ospedale?". È riuscito vedere il lavoro finito?

L’ospedale è stato aperto nell’aprile del 2021, il primo paziente ha attraversato la soglia il 15 aprile. Gino ci ha lasciati il 13 agosto. Ma di una cosa sono convinta: Gino in quell’ospedale c’è ancora, e ci sarà sempre.