Stefano Tonchi, direttore di w magazine: “Lo styling è diventato importante come l’innovazione” Stefano Tonchi, classe 1959, attuale direttore di W, il mensile di moda americano che fa capo a Condé Nast, è un veterano della moda e un appassionato di design che ha sempre seguito dalla metà degli anni Ottanta. Prima a Milano e poi in America, dove Tonchi si è trasferito nel 1994 decollando professionalmente come direttore del New York Times style Magazine che ha lasciato da sei mesi per la direzione di W appunto. “Negli ultimi dieci anni il design ha cominciato a muoversi con i ritmi delle stagioni, come la moda” racconta Tonchi “I prodotti meno legati all’idea della funzione e della tecnologia sono diventati più veloci, consumabili, mutevoli e lo styling è diventato tanto importante quanto l’innovazione”. Del design se ne parla molto di più sui giornali, spiega il direttore di W, perché sono nate superstar come Starck o la Urquiola, personaggi giornalisticamente interessanti da seguire e raccontare. “Il mondo della moda ha aiutato a divulgare il design” spiega il direttore di W ”Lo ha fatto prima di tutti gli altri Tom Ford con le sue campagne pubblicitarie diffuse a livello mondiale dove ha collocato pezzi storici di design all’interno dei suoi interior interpretati dalla sua sensibilità post moderna”. Milano? Per Tonchi rimane la capitale del design internazionale, perché è sempre capace di accogliere nuovi talenti creativi da ogni parte del mondo (cosa che la moda italiana non riesce a fare) e ha un’industria che ancora ha una grande voglia di fare e di investire. Alice Rawsthorn, editorialista Financial Times: “La tecnologia sostenibile aiuta il cambiamento” È da 15 anni che scrive di design dalle colonne del Financial Times. E da altrettanto si occupa del design tricolore “Visto che” dice “è impossibile scrivere di design senza parlare di design italiano”. È un’entusiasta: “Questa è un’epoca meravigliosa per il design” racconta “molti oggetti d’uso quotidiano stanno cambiando grazie alle nuove tecnologie e al bisogno di trovare strade alternative per vivere in modo sostenibile”. “Questi cambiamenti” prosegue Rawsthorn, “offrono fantastiche opportunità ai designer di inventarsi nuovi prodotti e di reinventare i vecchi. A proposito, credo che a Euroluce di quest’anno vedremo innovazioni sorprendenti per gli esperimenti fatti con sorgenti luminose a basso impatto energetico”. Tra gli oggetti realizzati negli ultimi dieci anni che le piacciono particolarmente menziona la collezione di oggetti in ceramica di Andrea Trimarchi e Simone Farresin dello studio FormaFantasma che esplora l’influenza degli artigiani arabi sulla ceramica medioevale siciliana nel contesto delle politiche di immigrazione odierne in Italia. “Trovo che il loro lavoro sia un esercizio affascinante di design concettuale” commenta. “Ma” aggiunge “amo anche il modo in cui gli italiani fanno tesoro della loro eredità nel design e i maestri del ventesimo secolo. Tra i miei progetti preferiti del FuoriSalone dell’anno scorso c’era l’ode di Mendini al design italiano in Triennale e la bella, piccola mostra dei fermacarte di Enzo Mari”. PIERRE LEONFORTE, CAPOREDATTORE guide Louis Vuitton “UN LAVANDINO NON È UN PAIO DI SCARPE” Pierre Leonforte si defi nisce innanzitutto come un collezionista e appassionato di design. “Ho sempre scritto e raccontato il design nei suoi aspetti economici, industriali e umani” racconta Leonforte, che tiene le fi la delle guide di Louis Vuitton, oltre a collaborare con periodici e quotidiani francesi “e l’ho sempre fatto con un tocco di critica e d’ironia, aspetti che oggi non interessano più di tanto i giornali”. “Il design oggi in Francia” prosegue “è diventato un trend di consumo globale come la moda. Non può più esistere un pezzo anonimo di design industriale che funziona bene e che è utile. Deve essere fi rmato, di tendenza, stagionale, come un paio di scarpe o un profumo. C’è una quantità enorme di riviste che ti parlano di cuscini, abat jour, consumo di massa, oggi il design è diventato un aggettivo, è un avatar. Ma io continuo a sostenere che non è possibile comprarsi un lavandino nello stesso modo con cui ci si compra un paio di scarpe”. Leonforte è stanco di sentir parlare di design come una tendenza: “Il design” commenta “oggi non fa più cultura e gli viene negato l’aspetto industriale, senza il quale diventa un’altra cosa: artigianato. Il problema è che non si può esprimere un pensiero critico su nulla. Tutto deve essere geniale, favoloso, stupendo”. “In Italia” racconta “oggi sono poche le aziende sopravvissute a un sistema di design annegato nel marketing, quelle che come De Padova, Zanotta e Mdf , ma anche Artemide e Flos pensano ancora ai bisogni delle persone e fanno anche dei discorsi culturali. Per me, invece” sostiene “prima viene il bisogno e poi l’estetica. Michele De Lucchi e Ingo Maurer, sono, per esempio, due designer che nei loro oggetti d’illuminazione hanno saputo tradurre i bisogni in pura poesia”. PILAR VILADAS, EDITORIALISTA New York Times Style Magazine: “IL BUON DESIGN È UN’ATTITUDINE DEL PENSIERO” Scrive di design da 14 anni per il New York Times style Magazine anche se i suoi esordi risalgono al ’79. “La prima volta che ho scritto di design italiano” ricorda Pilar Viladas “era nel 1980, quando cominciai a seguire il Salone del Mobile per una testata con cui collaboravo in quel periodo. Allora” racconta la giornalista “era diffi cile ottenere velocemente materiale fotografi co e informazioni sui prodotti. C’erano solo i giornali cartacei e le informazioni venivano pubblicate dopo mesi. Adesso, tutto è radicalmente cambiato: l’industria è sintonizzata sul bisogno della stampa di avere subito delle informazioni esaurienti, visto che direttamente in fi era i giornalisti postano sui blog, fotografano e fanno video”. Il suo modo di raccontare il design non è cambiato nel corso degli anni. È sempre interessata sia ai maestri che ai giovani designer. È sempre curiosa di scoprire gli ultimi prodotti italiani nell’illuminazione: “Trovo che sia una categoria di prodotti nella quale l’innovazione tecnologica ha un notevole impatto sul design e all’interno della quale il contributo dei designer italiani riesce ad essere elegante e poetico”. Per Viladas i giornalisti hanno il dovere di mostrare ai lettori la vera qualità: “Sono convinta che la qualità educhi i nostri occhi e ci renda consumatori migliori di design. Come anche credo che il design non signifi chi solo rendere qualcosa più bello, ma sia piuttosto un modo di osservare il mondo che riguarda ogni aspetto della vita. Il buon design non è qualcosa che tu compri, ma è come vivi e come pensi. Credo che sia questo il punto fondamentale che non cambierà mai”.