In occasione della prossima apertura della nuova edizione del festival promosso da Italics, abbiamo incontrato il curatore Carlo Falciani

E se provassimo a pensare che l’arte, l’architettura, l’urbanistica anche, sono tutte forme espressive della filosofia? In qualche modo è quello che succede a Panorama Monferrato, nuova edizione della manifestazione creata da Italics per promuovere l’arte sul territorio attraverso le opere delle circa 70 gallerie che fanno parte del consorzio.

Ogni anno viene scelto un luogo come palcoscenico dei temi individuati per l’edizione corrente.

Questa volta siamo in Monferrato, territorio di colline e vini certamente meno noto delle vicine Langhe, con Carlo Falciani che, in qualità di curatore, ci conduce nei paesi di Vignale, Camagna, Montemagno e Castagnole.

La sua idea di curatela è molto particolare e ha a che fare con il suo background di esperto di arte antica, come ironicamente ha detto lui stesso nell’intervista che gli abbiamo fatto, prestato al contemporaneo. Una novità per Panorama, che rivela una visione decisamente contemporanea del contemporaneo.

 

Giochi di parole a parte, se alla domanda a cosa serve l’arte contemporanea si risponde mettendola in dialogo con quella antica, provando a utilizzare gli stessi paradigmi e gli stessi stilemi per entrambe le forme espressive, ne nascerà un’indagine molto ficcante e attuale. Non solo dell’arte (che è sempre stata contemporanea al proprio tempo), ma anche della curatela. Ne abbiamo parlato con Falciani.

La prima differenza è l’idea di mostra diffusa che, diversamente dalle edizioni precedenti ospitate in un unico luogo, questa volta coinvolge appunto quattro paesi e anche territori campagnoli a fare da “cerniera” tra un paese e l’altro. Ma i luoghi espositivi, altra differenza con gli altri Panorama, non sono insoliti.

«Essendo abituato a occuparmi di opere che hanno dei crismi specifici di linguaggio, di spazio, prospettici - parlando di opera e non di contenuto - non amo le dislocazioni forzose. Perché cerco il rispetto dell’opera: non si ascolta un quartetto d’archi alla fermata del tram!», commenta Falciani.

Che poi prosegue: «Non posso fare a meno di adottare la prospettiva storica, anche nel contemporaneo. Dunque mi domando cosa rimane e cosa non dell’oggi, chi erediterà quel lascito e a quali opere deciderà di dare voce.

Sappiamo bene che nella storia è sempre stato così, l’opera è legata al contingente, ci vuole qualcuno che la faccia parlare e la rispetti, altrimenti è solo una tela con un po’ di colore sopra. Se si considerano poi i contenuti, quelli sono sempre gli stessi: le domande su chi siamo, l’idea della storia, l’amore, la morte… in una parola, la complessità».

E proprio la complessità viene messa sotto la lente di ingrandimento in un dialogo tra antico e contemporaneo che prende le mosse da un testo letterario, quello di Stefano Guazzo che nel 1574 pubblica il suo “La civil conversazione”.

È un best seller dell’epoca: viene tradotto in latino, inglese, francese, tedesco e vede 43 edizioni italiane!

Di cosa si tratta? «Un dialogo fra un uomo affetto da malinconia, che lo ha privato di ogni rapporto sociale dopo una lunga degenza dovuta ad una pandemia, e un amico medico che lo va a trovare a casa», spiega Falciani nel suo testo introduttivo, «fra i due inizia una lunga conversazione durante la quale l’autore afferma che una comunità vive e prospera solo se è capace di costruire un livello di civile conversazione che permetta di dirimere e comporre le fratture e i contrasti, fra familiari e fra generazioni differenti, ma anche fra cittadini e forestieri e fra livelli differenti della società».

Questo conversare civile diventa il metodo di Falciani, sicuramente il suo punto di vista. «Sono molto arrabbiato con un’idea mainstream che vuole proporre il Rinascimento come momento di nascita dell’antropocene, come epoca del colonialismo e della schiavitù», spiega Falciani, «Quando è il Rinascimento a produrre un testo così libero e positivo come quello di Guazzo o a chiamare un giovane Brunelleschi, il migliore architetto in circolazione, per costruire lo Spedale degli innocenti, una struttura pensata per educare gli orfani. Ho scelto questo testo come guida di Panorama per indicare una differenza».

Sono quattro i temi lungo i quali si articola l’esposizione, indicati da parole forti, importanti per l’epoca che stiamo vivendo.

«Ho scelto queste parole brutte appositamente. Mi piace creare una differenza con l’uso triviale che normalmente ne viene fatto oggi», risponde con ironia e serietà il curatore. «Parlo di radici e identità per mostrare i lavori di Moira Ricci e di Susana Pilar che nel suo Lo que contaba la abuela parla di matrimonio come identità famigliare e uscita dalla schiavitù, ma espongo anche il cinquecentesco dipinto Ritratto di giovane come allegoria dell’amicizia di Mirabello Cavalori.

Il discorso verte su identità e ritratto. Perché questa forma d’arte compare solo nel 1400? Perché l’uomo è al centro del mondo. Siamo in un nuovo paradigma, l’umanità prende il posto di Dio (e mettere al centro del dipinto un uomo specifico è un aspetto paradigmatico e simbolico)».

Ogni paese è abbinato a una coppia di parole, intorno alle quali sono costruite le esposizioni. A Camagna si parla di Lavoro e radici; a Vignale di Ritratto e identità; a Montemagno di Caducità e morte e a Castagnole della sacralità dell’arte, anche laica.

«L’idea di sacralità dell’opera, dell’identità attraverso la raffigurazione, quella dei mestieri (funzionano nel contemporaneo?) sono le parole che compongono i paradigmi attraverso cui indago il presente: funzionano nel contemporaneo? E la risposta è sì», conclude Falciani. Dunque Panorama Monferrato è l’occasione per vedere il presente con i paradigmi dell’arte antica e leggere il contemporaneo attraverso il dialogo con altre epoche, altre filosofie, altri modi di leggere il mondo. Un inno al dialogare civile, costruttivo e pacifico. Da vedere.

Panorama Monferrato - Camagna, Vignale, Montemagno e Castagnole - dal 4 all’8 settembre

In copertina: Courtesy Italics. Ph. Louis De Belle