Perché la moda ha bisogno di Virginia Woolf? Lo spiega Bring no clothes, la mostra in corso nei nuovi spazi della casa museo di Lewes, Sussex

Nel 1916, nel pieno della Grande Guerra, il gruppo Bloomsbury si rifugia nella casa di campagna di Vanessa Bell e Duncan Grant, a Charleston, nel Sussex. La piccola tenuta con un magnifico giardino è la nuova residenza dei più liberi e rivoluzionari pensatori del tempo. Molti di loro sono artisti “totali”: nessuna arte è esclusa e la casa di Charleston ovviamente diventa un tripudio di arte applicata al quotidiano, alla ricerca di un modo di vivere capace di zittire l’asfissiante mentalità vittoriana.

La casa museo in Sussex e il nuovo spazio Charleston in Lewes

Charleston oggi è una casa museo, con un programma di mostre, festival, rassegne. Niente di nostalgico, semmai un tentativo di rendere vivo lo spirito Bloomsbury e i suoi strumenti di critica creativa.

All’inizio di settembre nella vicina cittadina di Lewes è stato inaugurato uno spazio succursale, Charleston in Lewes, con uno spirito analogo.

Bella la ristrutturazione di un vecchio edificio inglese, bella la dimensione contenuta, coraggiosa l’idea di destinare risorse pubbliche alla sopravvivenza del pensiero Bloomsbury.

Bring no clothes, please

La prima mostra de Charleston in Lewes, che peraltro era un progetto già esplorato dal gruppo durante la Seconda Guerra Mondiale, è Bring no clothes, (fino al 7 gennaio), un’indagine sulla moda del gruppo Bloomsbury e sulla sua relazione dinamica con la fashion industry. Il racconto è un mix di moda contemporanea, opere storiche, oggetti, molti dei quali esposti per la prima volta.

Charlie Porter: “Una luce diversa sullo stile di vita dei Bloomsbury”

Curata dal critico della moda Charlie Porter, è un'esperienza a più livelli, con la moda da passerella di Dior, Fendi, Burberry, Comme des Garçons, Erdem e S.S. Daley, oggetti personali appartenenti a membri del gruppo Bloomsbury, tra cui Virginia Woolf e Lady Ottoline Morrell, ritratti inediti degli artisti Duncan Grant e Vanessa Bell, oltre a nuove commissioni e interventi degli stilisti contemporanei Jawara Alleyne ed Ella Boucht.

Moda e radical: una ribellione significativa

Emerge un’influenza costante del pensiero radicale del secolo scorso nella creatività odierna. La necessità di tornare a esplorare un’idea di moda e di oggetti personali che non vuole avere niente a che fare con il main stream e con il consumo veloce, irriflessivo e vorace.

I componenti di Bloomsbury cercavano una ribellione significativa a un mindset tradizionale, obsoleto. Una spinta intellettuale che ci tocca da vicino nel tentativo di immaginare un mondo che dovrà essere necessariamente diverso in tempi brevi.

Ripensare le dinamiche della moda

Charlie Porter, curatore della mostra, sostiene che: “Il gruppo di Bloomsbury si è impegnato con la moda in modi dinamici, dal pensiero filosofico all'abbigliamento radicale. Bring No Clothes utilizza gli indumenti per gettare nuova luce sulle loro vite, oltre a fornire informazioni su come ci vestiamo oggi. Mescolando passato e presente, spero che la mostra incoraggi i visitatori a riconsiderare il loro futuro rapporto con la moda”.

Semplicità: svuotare, fare spazio, ricominciare

Il titolo della mostra, Bring no clothes, è una citazione da una lettera di invito a Charleston di Virginia Woolf a T.S. Eliot nel 1920: “Per favore non portare vestiti: viviamo in uno stato di massima semplicità”.

Fa sorridere pensare che il “fare” in modo totalizzante, quasi eccessivo, del gruppo, possa essere la conseguenza di un desiderio di massima semplicità.

Ma l’allusione riguardava probabilmente più la volontà di lasciarsi un presente obsoleto alle spalle per fare spazio a nuovi pensieri incalzanti. La scienza, l’economia, la sociologia, l’arte. Ogni strumento intellettuale contribuiva a fare spazio, a svuotare, a creare un nuovo paesaggio umano.

La moda è capace di rischiare?

Rimane, di quel momento di incredibile fecondità, un’attitudine di consapevolezza e amore per il rischio. Qualcosa di cui sentiamo il bisogno anche oggi.

La mostra di Charleston in Lewes è tutto sommato un invito a guardare alle esperienze di nicchia in modo disincantato ma non cinico.

L’alta moda ha bisogno di Virginia Woolf e dei suoi amici nel tentativo di lanciare messaggi culturali utili al presente. Discutibili tentativi rivoluzionari della fashion industry? No, se l’ambizione è di essere una voce fuori da un coro che fatica a trovare argomenti sufficientemente convincenti per essere davvero rivoluzionari.