Fino al 17 novembre, a Palazzo Reale, la vicenda umane e professionale dell'"unico non intellettuale che ha obbligato gli intellettuali a scrivere di lui"

Forse per parlare di Mike Bongiorno e della mostra che Palazzo Reale gli dedica (fino al 17 novembre) si può cominciare da qui: Mike Bongiorno era «l’unico non intellettuale che ha obbligato gli intellettuali a scrivere di lui (e ancora non hanno finito)».

Sono le parole di Gerry Scotti riportate sul catalogo della mostra insieme a molti altri autori chiamati a raccolta a celebrare i cento anni dalla nascita del presentatore-conduttore televisivo.

In effetti, la prima domanda, banale, che sorge spontanea un momento prima di mettere piede nelle sale del piano terra del museo è proprio: Chi era Mike Bongiorno?

Era un biondino dagli occhi chiarissimi che il 3 gennaio del 1954 è apparso dietro quel vetro bombato di una scatola piena di valvole chiamata televisione, con il primo programma della RAI, Arrivi e partenze, in onda la domenica alle 14,30.

La gente andava a vederlo al bar, la guerra era finita da poco e quella proverbiale Allegria che il conduttore ha trasformato nel suo marchio era quanto di più si poteva desiderare, insieme alla leggerezza.

Due cavalli di battaglia di Bongiorno, il partigiano Mike, staffetta della resistenza in Piemonte, dove era arrivato con la madre poco tempo prima da New York, la sua città natale.

Nel 1944 viene arrestato dalla Gestapo e si salva dalla fucilazione grazie al passaporto americano. San Vittore, quindi campi di concentramento in Carinzia e Austria dove viene liberato per raggiungere gli USA.

Dopo un’esperienza nei media locali, torna in Italia e si presenta come il simbolo di una nuova era. Con quella primissima e pionieristica trasmissione portava il mondo nelle case e nei bar e la tv diventava «agente di cosmopolitismo e modernizzazione» come scrive Aldo Grasso in occasione della mostra milanese.

Mike Bongiorno era Mr. Lascia o raddoppia?, colui che aveva traghettato la Tv nelle case degli italiani, che aveva consacrato l’abitudine a appuntamento fisso con il paese, che partecipava ai quiz e che parlava dei quiz il giorno dopo la trasmissione.

Sempre Aldo Grasso scrive che «L’avvento della tv fu pari alla Divina commedia o alla spedizione dei Mille: se Dante aveva dato all’Italia una lingua unitaria; se la spedizione dei Mille aveva realizzato politicamente l’Unità […], la tv unificò linguisticamente la penisola, là dove non vi era riuscita la scuola. Lo fece nel bene come nel male. Unificò non con il linguaggio di Dante ma con quello di Mike Bongiorno».

Che a questo punto è il primo divo del piccolo schermo. Tantissimi i programmi che seguirono, tra cui il mitico quanto iconico Rischiatutto e numerose conduzioni del Festival di Sanremo.

Il 1977 è l’anno di inizio del corteggiamento da parte di Silvio Berlusconi. Lo vuole a tutti i costi per la sua TeleMilano 58, che poi diventerà Canale 5.

Ebbene, nel 1979 il passaggio dalla RAI alla Tv privata è ufficiale e i suoi quiz spopolano: Bis, Tris, Superflash, Telemike e poi il trionfale La ruota della fortuna, passando per Bravo Bravissimo e altri titoli.

Chi era Mike, allora? Per dirla ancora con Grasso, «un maestro, il vero profeta del verbo berlusconiano» perché lo fa suo: si accorge in quel momento che non occorre promuovere i programmi bensì creare spazi pubblicitari per vendere prodotti.

E lui lo sa fare come nessun altro. Così Fabio Fazio scrive che Mike non poneva «Nessuna barriera fra sé e il pubblico, né linguistica, né di altro tipo: nessuna reticenza», nemmeno per reclamizzare prodotti da supermercato.

«Perché il supermercato è uno di quei luoghi in cui prima o poi tutti entrano, senza distinzione. Esattamente come la tv generalista».

E poi… la storia è lunga, ma non si può non citare il momento in cui incontra Fiorello, il suo compagno di giochi. O almeno così lo descrive l’amico, cresciuto a pane e Rischiatutto e poi sodale del conduttore italo americano che non vedeva l’ora di avere una scusa per travestirsi e camuffarsi.

Come due bambini vestono i panni del motociclista, del ballerino, del playboy anni 70…«Mai prendersi sul serio, con la serietà del grande professionista: questo è il mestiere di Mike, il suo grande insegnamento», scrive Fiorello, che lo definisce come l’uomo che ha dato nome e cognome all’allegria.

Intanto la storia dell’Italia si mostra nelle scenografie, negli studi televisivi, nell’abbigliamento e nel modo di fare intrattenimento. Ma anche nelle foto di famiglia, che vedono Bongiorno e famiglia in montagna, al mare, a qualche festa privata (il 18esimo compleanno del figlio Nicolò per esempio).

Nei negozi arrivano i giochi da tavolo (uno per ogni quiz!), ma anche gadget di varia natura (c’è anche un Batman - Mike Bongiorno). Storie e storie.

Quella del costume: giacca e cravatta, camicie colorate, tute da sci e un maglioncino nostalgia nell’intervista in cui racconta della guerra. Quella delle case, degli studi radiofonici americani dell’immediato dopoguerra, quella dei bar che negli anni 50 ospitavano il suo pubblico. In mostra c’è tutto questo.

Abbiamo risposto alla domanda iniziale? Solo parzialmente e ognuno forse avrà la propria personale idea sull’identità di Mike Bongiorno.

Sicuramente, come dice Fabio Fazio, «Mike è stato pop sin dal primo giorno» per poi diventare, col tempo «Lui stesso un’opera pop». Grasso lo definisce un poeta dadaista, candido e allegro, «un Forrest Gump giustamente baciato più volte dalla ruota della fortuna».

Mike Bongiorno, fino al 17 novembre, Palazzo Reale di Milano