Lucy Jochamowitz, l’artista che indaga l’abitare e il corpo femminile, racconta la sua installazione site specific realizzato per la fiorentina Crumb Gallery (fino al 9 marzo)

Costruire la casa è il titolo della mostra che Crumb Gallery di Firenze ospita in questo momento. Una casa opera d’arte, che racconta tante storie, quelle di tutti noi che oggi abitiamo il pianeta terra. Una casa - mondo, come la definisce l’artista Lucy Jochamowitz autrice di questa opera site specific per lo spazio fiorentino e culmine di una lunga ricerca sulla dimensione abitativa. Ne abbiamo parlato con lei.

Perché ha scelto la casa come forma e oggetto di lavoro?

Lucy Jochamowitz: «Ho iniziato nel 2022 a lavorare sul tema della casa, forse nasce dalla mia condizione di non essere nata qui, di essere arrivata in Italia nel 1979 dal Perù.

Solo ora ho cominciato a chiedermi veramente dove mi sento a casa. Per questo mi piace citare Novalis quando scrive: “Dove stiamo andando? Sempre a casa”.

Perché mi colpisce il verbo andare: non è un movimento nello spazio ma la ricerca di tutta la vita. La casa allora è approdo, rifugio, focolare, calore. Inizialmente mi sono occupata di Casa Fragil, la casa fragile, perché è sempre in costruzione e non è mai la conclusione di un percorso. Piuttosto, intendo la casa come corpo, come può esserlo per la lumaca o per la tartaruga. La mia ricerca ha proseguito in questa direzione».

La casa-corpo è un corpo femminile?

Lucy Jochamowitz: «Nel 2004 avevo fatto una installazione dal titolo Palabra Rossa che era una grande gonna fatta di rami spogli di biancospino tinti di rosso, come un’ossatura, un corallo o come i capillari. Rappresentava l’interno, come se avessi tolto la pelle alla gonna o forse al corpo femminile che rappresenta. La gonna per me ha avuto a lungo il significato di casa, qui messo a nudo».

Questa volta per Crumb Gallery ha realizzato una casa nella sua forma essenziale, le cui pareti sono braccia dipinte. Perché?

Lucy Jochamowitz: «Prima di tutto perché la mia idea architettonica è solo progettuale, nel senso che è un progettare che si realizza nel tempo. Ed è fatto di braccia. Ma attenzione, non sono braccia “felici”, per la serie abbracciamoci tutti. Indicano una rete e l’idea è che siamo tutti parte della stessa rete.

C’è un mito indiano che parla della rete di Indra, quella che vede un uomo quando la moglie gli copre gli occhi: un’infinita connessione di tutte le cose. Ecco, siamo un tutto.

E le braccia della mia opera cercano, abbracciano, aggrappano, respingono… come in una totalità. Allora il costruire è anche un costruire legami. Che possono andare male, quindi la casa andrà in frantumi. Tutto nasce però da un primo disegno».

Quale?

Lucy Jochamowitz: «Un piccolo disegno che misura 15x18 di una figura femminile piena di braccia che la abbracciano. È la partenza di questo viaggio perché rappresenta la cura di sé. Senza questo abbraccio che parte da ciascuno per volersi bene non è possibile prendere consapevolezza di chi siamo sulla terra.

Siamo tutti chiamati a lavorare su noi stessi per riuscire ad abbracciare l’umanità, la natura, il pianeta tutto. La mia è una casa fatta di aria, di terra, di acqua, di umani, di animali, di piante…E bisogna essere consapevoli di cosa stiamo facendo sulla terra. Questa casa, infatti, è una casa di tante case».

Non si entra nella sua opera, ma la porta è socchiusa e si intravede una luce interna. Perché?

Lucy Jochamowitz: «La casa ha solo pareti e una porta semiaperta (o socchiusa, come si vuole), da cui si intravede che la casa è viva, c’è un cuore pulsante, ovvero una piccola casa su un piedistallo e una scala a pioli che non può raggiungerla, anche se vorrebbe».

Nostalgia?

Lucy Jochamowitz: «No, non c’è la nostalgia, c’è il domandarsi su dove stiamo andando, guardando avanti (e non al passato). Cosa stiamo facendo con questa casa - modo che è ridotta così male?

Poi, certo, non mi posso sottrarre: quando si fa una mostra è come rivoltare il guanto della propria storia e una parte di me sicuramente compare. Sono migrante, mi chiedo dove sto andando e cosa sto costruendo. Però non occorre essere migranti, siamo tutti implicati ed emotivamente responsabili».

Crumb Gallery è una realtà molto speciale: è gestita solo da donne e ospite artiste donne. No, niente paura, non parla di arte di genere, piuttosto aiuta a sopperire quel gap di genere (questo sì) che anche nel mondo dell’arte si fa sentire: meno mostre per le artiste donne, meno pubblicazioni, quotazioni più basse, meno opportunità di lavoro.

E Crumb ha deciso di aiutarle sul serio: le fa esporre, vende i loro lavori e realizza cataloghi di ogni esposizione. Rory Cappelli, una delle fondatrici insieme a Lea Codognato, Adriana Luperto e Emanuela Mollica, ci racconta brevemente la loro storia: danno vita a Crumb nel 2019 da professioni diverse, ma unite dalla passione per l’arte.

Che decidono di dedicare alle donne, svantaggiate, mai raccontate nella storia dell’arte che continua a riservare loro un ruolo minore. Solo il 25% delle mostre in Italia sono di artiste donne, spiega Cappelli, in un mercato dell’arte al 90 per cento maschile con una sperequazione di quotazioni altissima, proprio perché gli elementi che compongono una quotazione sono le mostre collettive, le personali e le pubblicazioni.

Lucy Jochamowitz, Costruire la casa, Crumb Gallery, via San Gallo 191rosso, Firenze, aperta fino al 9 marzo nei giorni giovedì, venerdì e sabato dalle 16.00 alle 19.00