Bruno Munari in mostra a Eataly E.ART.H di Verona in una personale lunga quanto la sua carriera di artista inventore e designer poeta.
Sono passati 25 anni dalla sua scomparsa e questa esposizione, dal titolo La leggerezza dell’arte, vuole raccontarne la storia. Forse proprio attraverso il metodo munariano: il percorso espositivo procede per temi e in ogni sala si incontrano le relative invenzioni geniali e multiformi con cui Munari sperimentava quella specifica tematica.
Così si compie un viaggio non cronologico ma filosofico, andando da una sala all’altra per associazioni di idee. E così si incontrano inediti assoluti e installazioni mai viste. Ne abbiamo parlato con Luca Zaffarano, co-curatore della mostra insieme a Alberto Salvadori.
Uno sguardo inedito su Munari. È quanto avete messo a punto in questa mostra a Verona. Può spiegarlo meglio?
Luca Zaffarano & Alberto Salvadori: «In questa mostra sono state selezionate le tematiche più rilevanti, almeno secondo il nostro punto di vista, tra le ricerche di Munari e abbiamo costruito l’esposizione su cinque temi, oltre la progettazione. Sono però anche suggerimenti per approfondire la storia di Munari e il suo essere un artista sperimentatore».
C’è un elemento inedito anche nella scelta espositiva e nel modo di installare le opere in mostra, magari già note al pubblico ma mai viste come a Verona. Perché?
«La terza sala credo sia la più interessante da questo punto di vista perché ospita tre Macchine inutili realizzate negli anni 30, in uno spazio di semioscurità con le luci orientate sulle opere.
In questo modo le Macchine inutili non sono solo opere d’arte astratta ma anche dispositivi con luci puntiformi. Dunque, capaci di proiettare sul muro ombre dalle forme più stravaganti, componendo una sorta di film astratto senza pellicola e determinato da una buona dose di casualità».