L’ultima volta è stata nel 2007 alla Triennale.
Sono passati sedici anni e ora tocca alla curatrice Angela Rui (che ha lavorato con Matilde Losi ed Elisabetta Donati de Conti e con un team tutta di Under 35) il coraggioso compito di costruire una mostra rappresentativa del giovane design italiano con Italy: a new collective landscape, all’ADI Design Museum fino al 10 settembre.
Una mostra che sembra vintage nel nome (un ovvio richiamo alla storica mostra del 1972 al MoMA The New Domestic Landscape) ma che non lo è affatto.
"Al MoMA si parlava di domesticità e quell'esposizione, curata da Emilio Ambatz, portò nel mondo la progettualità dei giovani designer italiani dell'epoca", ha detto Angela Rui nella conferenza stampa di presentazione della mostra. "Ma se un tempo la rivoluzione avveniva tra le pareti domestiche, oggi essa si sviluppa nel dialogo, nella relazione, nel lavoro collettivo".
Si tratta, insomma, di una mostra corale, fortemente voluta da ADI attraverso una call gestita attraverso la potenzia di fuoco che l'Associazione è in grado di dispiegare in tutto lo stivale. E coraggiosa, perché gli under 35 sono designer diversi, anti eroici e poco interessati all’autorialità. È passata l’era dei manifesti programmatici, delle star, delle rivoluzioni urlate.
Chi sono i designer under 35, che ritratto dei giovani progettisti italiani emerge da questa mostra?
È arrivato il momento della gentilezza e dell’empatia, il momento delle domande senza risposta, dicono le curatrici.
Se cercate soluzioni definitive, insomma, lasciate perdere. I giovani designer non ne hanno e non cercano, ben consapevoli che qualsiasi gesto definitivo, se sbagliato, poi va decostruito ed è uno spreco.
Se invece volete incontrare il modus operandi di una generazione nuova soprattutto nell’atteggiamento progettuale, accomodatevi.
E tornate più volte, perché Italy: a new collective landscape è una mostra che va frequentata, usata, in cui si chiede partecipazione e il tempo per rimanere nel mistero delle domande aperte.
Un esercizio improbo per chi è stato abituato alle risposte definitive. E una pratica incoraggiata dalla possibilità di usare più volte il biglietto di ingresso della mostra: una scelta curatoriale, non una concessione.