Perché vale davvero la pena vedere la mostra “Gianfranco Frattini, ieri, oggi, domani” nelle sale affrescate del piano nobile di Palazzo Arese Borromeo, a Cesano Maderno (MB)

Prorogata fino al 21 maggio, la mostra-gioiello Gianfranco Frattini, ieri, oggi, domani a Cesano Maderno è uno dei lasciti più interessanti del FuoriSalone 2023 perché ci insegna molte cose sul design. A partire dal suo nome.

C’è stato un periodo, infatti, e neanche troppo lontano, in cui il design non era ancora chiamato così e chi disegnava mobili e oggetti per la casa non era etichettato come designer. E c’è un territorio d’Italia, da Milano alla Brianza, dove tutto è cominciato, grazie al favorevole incontro tra architetti, artigiani esperti e imprenditori illuminati.

È proprio qui che torna in luce la creatività dell’architetto Gianfranco Frattini e i suoi lavori, dai progetti di interni a pezzi originali provenienti da collezioni private fino alle riedizioni in corso, si possono ammirare in un dialogo continuo con gli affreschi seicenteschi delle sale di Palazzo Arese Borromeo.

L’allestimento, in perfetto equilibrio tra incuriosire, invitare lo sguardo a soffermarsi sui dettagli e meravigliarsi continuamente della splendida architettura intorno, è opera dell’architetto Emanuela Frattini, figlia del maestro.

“È sempre difficile descrivere una persona vicina - spiega Emanuela Frattini - e nel mio caso è anche difficile scindere la persona che conoscevo dalla sua professione.

La memoria che ho di mio padre da sempre è di architetto e collimava con il vederlo invariabilmente con la matita in mano, assorbito dal suo lavoro.

Ci ha educato, mio fratello Marco e me, attraverso le sue scelte e gli oggetti di cui si circondava, e quindi circondavano anche noi, a un senso del bello che derivava da una coerenza intellettuale che ho capito solo più tardi. Non aveva niente a che vedere con quello che intendiamo per lusso.”

Il percorso espositivo segue un andamento ad anello, a cominciare da una prima sala allungata dove è proposta una carrellata continua sugli oggetti disegnati da Frattini, portaceneri, vassoi, contenitori per il ghiacciole, cornici: “Papà curava ogni dettaglio - racconta Marco Frattini - per lui anche il retro di una cornice doveva essere esteticamente gradevole”.

Il secondo ambiente, maestoso, in origine era la sala dedicata ai ricevimenti a palazzo, tanto che su due pareti fronteggianti si notano due piccoli balconi affacciati verso il centro che venivano usati dai musicisti dell’epoca.

Qui ci si può sbizzarrire a elencare gli anni di produzione dei numerosi imbottiti progettati da Frattini per aziende come Cassina, Ceccotti, Poltrona Frau e Tacchini.

Ci sono pezzi non più prodotti, altri ancora in produzione e diverse riedizioni, in particolare da parte di una grossa azienda americana, CB2, che ha una grande passione per il design italiano e in particolare per le opere di Frattini.

Proseguendo il percorso, si attraversa la stanza dedicata alle lampade e ai tessuti, tra questi, con il contributo di Emanuela Frattini, è nata una reinterpretazione dei canoni del padre proposta anche nelle porte tessili realizzate a quattro mani da Dooor e Torri Lana.

Subito dopo, si è accolti da una sorpresa, la scrivania originale di Pierluigi Ghianda, ebanista eccezionale diventato amico fraterno di Frattini.

"Fondamentale era la collaborazione con la parte manuale del suo lavoro - scrive Emanuela Frattini - Diceva che ‘come progettista io nasco in bottega’: e da queste collaborazioni, che lo hanno portato a passare molto tempo nelle botteghe artigianali e nelle fabbriche brianzole, sono nate le sue più profonde amicizie, prima fra tutte quella con Pierluigi Ghianda, che era diventato il fratello che mio padre non aveva, e con il quale ha realizzato uno dei suoi pezzi più ammirati: il tavolo Kyoto prodotto da Poltrona Frau.”

La mostra continua con una serie di schizzi originali e disegni tecnici dei progetti dell’architetto, dai quali si percepisce la sua notevole manualità.

Non per niente, allievo al Politecnico di Milano di Gio Ponti, è stato notato e invitato a lavorare nel suo studio ancora prima della laurea.

Quasi alla fine del percorso espositivo, si nota un caschetto da cantiere giallo, che sembra appoggiato a un cassettone quasi per caso. In realtà è stato il primo incontro con la plastica di Frattini: il progetto dell’elmetto gli era stato affidato dalla Montecatini nel 1963.

Nel filmato di accompagnamento all’esposizione lo stesso Frattini racconta quanto sia stato difficile per lui quel progetto, prima di tutto per la novità del materiale da trattare e poi per l’uso che richiedeva massima attenzione al tema della sicurezza.

Il valore di questa mostra è la possibilità di portare a casa, oltre a una visione di insieme del lavoro di uno dei rappresentanti del design italiano delle origini, qualcosa che nell’evoluzione del settore forse si è persa. O comunque è cambiata.

Cioè un atteggiamento verso la progettazione che nasceva dalla propria esperienza e creatività, ma anche dalla relazione con gli altri professionisti, dal rispetto del materiale utilizzato e delle sue naturali caratteristiche e dalla capacità di far nascere le forme degli oggetti dalla loro struttura, senza bisogno di aggiungere eccessi decorativi.

Questo, credo, sia il segreto di chi progetta con uno sguardo lungimirante, avulso dal bisogno di rispondere alle mode del momento.

Scrive Emanuela Frattini: “Formatosi alla scuola del razionalismo del Politecnico, allievo di Portaluppi e Ponti, che lo accoglie come collaboratore nel suo studio ancora studente, e di cui ricordava sempre con affetto la profonda umanità, intelligenza e generosità, aveva un approccio funzionale al progetto, nel caso di un prodotto affrontandone innanzitutto le prestazioni richieste e filtrando le soluzioni tramite le sue convinzioni.

Il suo è stato un cammino professionale molto personale.

Seguendone l’evoluzione attraverso lo studio dei suoi progetti resta costante un senso della misura, che nel corso dei decenni della sua carriera non è mai cambiato, come anche un distacco dalle tendenze preponderanti che lo influenzano solo marginalmente.”