A Milano, una selezione di oggetti a cura di Teo Sandigliano racconta il design fatto bene (fino all’8 ottobre)

A definire nuovamente cosa sia il design pensa Fatto Bene, una piccola mostra curata da Teo Sandigliano e ospitata a Milano nel battistero della basilica di San Celso.

Una chiesetta dal gusto romanico, anche se ristrutturata e 'ammodernata' diverse volte nella sua lunga esistenza, segnata solo da un grosso altare in marmo a definire lo spazio dell’abside appena accennato è lo spazio sconsacrato e ora aperto alle esposizioni. Una meraviglia, cui si accede passando per il piccolo giardino che dalla strada conduce, sprofondando i piedi in un generoso strato di ghiaia, all’edificio, arretrato rispetto al marciapiedi.

L’ingresso nella chiesa allestita per l’occasione da Flatwig Studio costringe a fermarsi un momento sulla soglia: gli oggetti sono disposti quasi in preghiera, ma danno anche la sensazione del movimento, di persone che stanno prendendo posto nello spazio per vivere un’esperienza tra quelle mura.

Particolare: i tavoli su cui sono esposti gli oggetti sono di vetro cattedrale, esattamente come quelli che completano le finestre e il rosone della chiesa, un invito alla leggerezza, ma anche alla luminosità.

Due elementi essenziali che qui dialogano quasi per contrasto con l’architettura del posto: ne viene esaltata l’imponenza, forse anche la sacralità, certamente l’importanza rispetto a oggetti dell’uomo, per l’uomo, così più piccoli, più bassi, più aerei di quelli del sacro.

E la scelta non è per niente casuale perché il curatore voleva «un luogo diverso per un design diverso», spiega.

Diverso da cosa? Diverso dal design usa e getta, dalla maxi produzione industriale globalizzata, diverso da un’estetica accettata a livello planetario.

«Diversi sono anche i designer in mostra, le generazioni cui appartengono, i materiali che hanno scelto e i metodi di produzione e lavorazione. Diverse, infine, sono le collaborazioni tra i designer e le aziende o gli artigiani, tutti quasi sempre fuori dal marketing che rende un oggetto (o un designer) noto a tutti», continua Sandigliano.

Che poi mi conduce davanti a ogni pezzo esposto per mostrarmi, nel concreto, le diversità di cui parla. Sono undici i designer selezionati, per tre diverse generazioni, dall’emergente Matteo Di Ciommo agli ormai noti Damiani e Faccin.

Si comincia con una seduta in legno chiaro, tenuta insieme dalle viti a farfalla che ne decorano l’essenzialità, insieme a una cinghia in cuoio che ne assicura il cuscino, appoggiato sul tessuto. È Manico Chair, una versione contemporanea della sedia contadina siciliana riletta da Giuseppe Arezzi che ne trasmette la tradizione, proprio come Francesco Faccin con la sua sedia Nervosa: una seduta tipica delle malghe del Trentino giunta in città.

E ancora più semplice: niente viti, solo incastri e una finitura straordinariamente liscia e pulita che la rendono simile a una scultura, come fosse stata estratta da un blocco di legno.

A rimarcare la provenienza locale e tradizionale sono anche i tavolini in sughero riciclato espanso di Maddalena Casadei (con il nome di Accanta), a citare quelli dei contadini sardi.

Anche qui nessun altro materiale completa l’oggetto: 100 per 100 sughero in tutta la sua bellezza.

La coppia Zanellato Bortotto si presenta con Specola, una lampada che sembra in ceramica ma invece è in rame smaltato con polvere di vetro la cui colorazione e gradiente dipende dalla temperatura e dal tempo di cottura, recuperando una tecnica antica e realizzare pezzi mai uguali tra loro.

Così fa anche Tipstudio con Secondo Fuoco, una lampada a terra che adotta la tecnica della colatura a cera persa per il bronzo: nessun pezzo può risultare uguale al precedente.

Isato Prugger mostra se stesso con una serie di lampade (Studio Lamp) in diverse essenze di legno che uniscono le sue due culture, quella giapponese e quella ladina delle montagne italiane. La collezione è di 100 pezzi, tutti realizzati a mano dal designer e dagli artigiani locali (e se quella che avete acquistato si rompe, sarà sua cura riparla).

Maddalena Selvini offre una seduta portatile in feltro dal nome Lady Back 310°. Richiama il mare, la spiaggia, quando ci si accomoda sistemando un legno sotto la testa per avere un cuscino di fortuna, ma anche la montagna del feltrificio biellese, il Giappone e qualcosa di temporaneo per svolgere una funzione eterna.

La seduta sta ben salda sulle sue gambe in legno solo se qualcuno ci si accomoda…

Lorenzo Damiani presenta la sua nuova Panca Foglio, con un marmo reso incredibilmente elastico grazie a un trattamento particolare che ne consente la flessibilità (solo in un verso però… attenzione!) e ne fa una panca di straordinaria leggerezza (specie se, come accade aqui, si pone in dialogo con il grosso altare in marmo…).

Francesco Forcellini presenta il proprio mobile in bronzo martellato Sculpt, una semplicissima madia ma così speciale nella lavorazione tridimensionale dell’esterno da essersi aggiudicato il premio Archiproducts 2022.

Infine, Matteo Di Ciommo chiude il percorso con i suoi vassoi - paesaggi, sculture utili che richiamano il lavoro degli artigiani della Valsesia, per portare un caffè tra gli alberi di legno e le architetture metafisiche - chissà, forse di qualche piazza - o di un mondo completamente onirico. Componibile però: gli elementi sono a incastro, si spostano e si possono anche aggiungere per arricchire la propria visione.

È questo il design italiano di oggi?

«Questa è la mia visione» riprende Sandigliano, «di un design fatto bene. Cioè capace di raccontare una storia, di andare oltre le idee stereotipate legate ai materiali (qui per esempio il marmo diventa leggero) e con un lavoro di più mani e più esperienze che si uniscono in una ricerca da tradurre nel prodotto visibile. Fatto bene implica anche un valore».

Cioè?

«Di questi oggetti ci si innamora e ne basta uno per fare casa. Certo, il costo è sicuramente maggiore di quello del design usa e getta perché implica materiali particolari, macchinari specifici (e relativa energia per farli funzionare), manodopera… tutti elementi che confluiscono nel prezzo di un oggetto che è destinato a durare nel tempo».

Una questione anche ecologica?

«Sicuramente sì. La lavorazione dei materiali, spesso senza viti o altri elementi, tiene conto dell’inquinamento per superare anche l’idea di un riciclo di materiali plastici che restano comunque oggetti destinati a inquinare. E se l’oggetto ha una lunga vita sarà meno facile buttarlo via e ingrossare i volumi della spazzatura che produciamo».

La produzione però è quasi artigianale o sostenuta da piccole aziende, un elemento che modifica il concetto di produzione industriale di oggetti utili e belli.

«Sì, anche questa è una novità ed è anche una risposta alle questioni ecologiche. Perché la produzione è su richiesta del cliente, rispondendo alle esigenze del mercato, nell’ottica di evitare sovrapproduzioni».

Dunque cos’è il design?

«Per me il design è tutto ciò che si può progettare e uno strumento per capire la realtà. Se è fatto bene e cioè tiene conto di ogni aspetto del fare, dall’ideazione alla produzione fino alla vendita, allora consente di cogliere la potenzialità del settore e di quel singolo prodotto.

Certo, il rischio è di progettare per progettisti e architetti, restando in una bolla… ma se l’oggetto ha una storia da raccontare, il pubblico generico lo coglie.

Magari se ne innamora e il suo spazio privato verrà per molto tempo caratterizzato e definito da quell’oggetto», che nel frattempo assumerà altre storie, da raccontare nelle generazioni.

Ecco dunque il fatto bene: un oggetto fatto apposta, ecologico, artigianale, duraturo, unico, tradizionale nella sua contemporaneità e intriso di saperi. In effetti a entrare a San Celso sembra quasi di sentire il brusio delle persone che parlano tra loro mentre si muovono nello spazio… sono gli oggetti. E chi ha detto che si tratta di cose inanimate?

Fatto bene. Una mostra per apprezzare il buon design, a cura di Teo Sandigliano, allestimento  di Flawting Studio, Ebe Collective e Scia’s Divisione Tessuti, Basilica di San Celso, Corso Italia 37, Milano, fino all’8 ottobre in orario 11-19