All’ADI Design Museum a Milano c’è Clocked. Questa non è una escape room: la mostra-gioco sulla storia del design italiano concepita (ovviamente) proprio come una escape room

A Milano c’è un gioco inedito: si chiama Clocked. Questa non è una escape room. Sulla storia del design e fisicamente si trova al piano -1 dell’ADI Design Museum. Come vuole la tradizione surrealista, Clocked, in realtà, è una escape room, ma non lo è dal momento che è (anche) una mostra.

Dunque, Clocked è una mostra-gioco sulla storia del design italiano, concepita con la logica della escape room. Primo, perché per uscire occorre risolvere tutti gli enigmi (ci sono delle silenziosissime guide che accompagnano i visitatori - giocatori che non parlano neanche sotto tortura, e che vigilano con altrettanta severità).

Secondo, perché le notizie che servono sono tutte esposte nella stanza, il seminterrato di Adi Design, appositamente allestita per giocare: occorre saper osservare, capire gli indizi e trovare le prove con un occhio da detective.

Terzo, occorre fare squadra: si gioca insieme agli altri, proprio come nelle cacce al tesoro di una volta. E se il design è il tema portante di questa narrazione, i protagonisti sono i giocatori e le loro arti investigative, nient’affatto facilitate da una buona conoscenza della materia: senza spirito d’osservazione e senza la capacità collaborativa, si rischia di non arrivare alla conclusione del gioco.

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Chi progetta le escape room?

A ideare questa mostra hanno pensato Claudio Palvarini, presidente del Circuito Lombardo Musei Design e Marta Palvarini, ma soprattutto game designer ed esperta di strategie del gaming.

«Queste strategie», spiega Claudio Palvarini, «Sono sempre più spesso applicate alla cultura. I giochi di ruolo e le escape room hanno affrontato tutti i temi possibili, da quelle splatter a quelle porno, passando per quelle investigative, ora stanno avendo successo anche quelle con contenuti politici e culturali. Il gioco è analogico (anche se spesso nelle escape room ci sono inserti digitali) e ha al centro la relazione.

Qui infatti si può venire con un gruppo di amici oppure prenotare singolarmente e trovarsi a giocare con gli sconosciuti».

Pensata all’interno del network dei musei del design, questa esposizione ne coinvolge 14 su 31, dove i vincitori della escape room potranno proseguire il gioco con altre missioni - così si chiamano - fino a ricevere, se le completeranno tutte e tre, una cartolina dal futuro per riflettere sul ruolo del design oggi, nell’epoca dell’emergenza climatica.

Lo scopo? «Giocare!» risponde Claudio Palvarini, «e speriamo di coinvolgere tanti pubblici diversi, soprattutto di curiosi».

Giocare è una straordinaria forma di comunicazione.

«Qui abbiamo scelto una strada completamente analogica anche perché volevamo giocare con la storia», spiega Marta Palvarini, «Per cui siamo partiti dall’idea di manipolare gli oggetti e abbiamo usato un design grafico come chiave di lettura in qualcosa di molto vicino all’editoria.

Ma sicuramente c’è anche l’influenza del digitale, dei giochi con la struttura sandbox, in cui ci sono numerosi strumenti a disposizione dei giocatori, ma non c’è un particolare obiettivo da raggiungere o una trama da seguire, lasciando la libertà di modificare il mondo del gioco stesso. Un esempio tipico è Mindcraft».

Nella escape room all’ADI Design Museum si perde il senso del tempo

Se il digitale diventa analogico… il gioco si fa duro! «Beh, sì, qui abbiamo voluto creare le condizioni di un gioco emergente, cioè di un gioco che crea il gioco. Per esempio rispetto alla storia e all’idea lineare del tempo: nella escape room si perde completamente.

I giocatori devono reperire informazioni, muoversi su piani diversi, anche fisicamente nello spazio, per poi riutilizzare quegli strumenti nella giocata finale, dove agiscono in autonomia, manipolando l’ambiente. La logica è quella della teoria della matassa di Donna Haraway».

Il gioco della matassa, per sopravvivere

La scienziata e filosofa della scienza Donna Haraway, nota anche per il suo Manifesto Cyborg che negli anni 80 era stato pionieristico insieme al suo femminismo radicale, con il libro Chthlucene. Sopravvivere su un pianeta infetto (Nero editore) ci catapulta nel tempo presente e in un vivere su un pianeta profondamente disturbato, nel disagio, ma anche in un tempo in cui si sopravvive grazie alla teoria della matassa, un gioco che consiste nel dare e ricevere schemi o figure, creando fili nuovi, che poi altre mani riprenderanno e rilanceranno in un lavoro a maglia condiviso, collettivo e in divenire.

«In questa escape room», continua Marta Palvarini, «Si fa il gioco della matassa tra gli indizi, gli oggetti in mostra e tra le persone. Così si arriva alla fase finale del gioco pronti ad agire in totale libertà, perché prima si è compreso cosa significa giocare.

E la Lettera dal Futuro che riceveranno solo quei giocatori che supereranno le missioni negli altri musei di Lombardia, sarà proprio una riflessione che ha anche a che fare con le teorie di Donna Haraway».

Il gioco è una cosa seria. Anzi, serissima

Beh, giocare è proprio una cosa seria. Anzi serissima. Perché in tutto questo ci sono un’attenzione meticolosa alla filologia e alla puntualità storica, una questione metodologica importante e l’intenzione di valorizzare il network dei musei del design. Andando con ordine, all’uscita dalla escape room viene consegnata ai giocatori una piccola guida con tutte le referenze degli oggetti che hanno incontrato e magari utilizzato.

Una storia nella storia poi rende preziosa questa mostra perché per la prima volta sarà possibile vedere la lampada Mitragliera di Franco Albini ristrutturata e funzionante!

Quanto al metodo, questa struttura a matassa del gioco consente di pensare il tempo in modo inconsueto e usare lo spazio creativamente, mentre la squadra garantisce di stabilire nuove relazioni e di esercitare anche quella forma di democrazia necessaria per la convivenza nello spazio del gioco. Un esperimento linguistico, anche.

Come ha sottolineato Luciano Galimberti, presidente di ADI Design Museum, la realtà attuale «non funziona più per semplificazioni, è troppo complessa. E questa mostra è perfetta per spiegare la complessità del futuro».

Quanto al network, la prima tappa successiva alla escape room è quella di completare il pieghevole delle missioni sul travel plan che conduce il giocatore a visitare altri tre musei aderenti alla mostra. Se metterà a segno tutti gli obiettivi… sarà costretto all’ultimo gioco, quello di pensare il presente in vista del futuro. E, forse, non lascerà mai più il ruolo di giocatore.

Clocked. Questa non è una escape room. Sulla storia del design è visitabile fino al 29 ottobre, su prenotazione. Adi Design Museum, piazza Compasso d’Oro 1, Milano (per le missioni negli altri musei c’è tempo fino al 17 dicembre).