Con “In principio era la fine”, il celebre illustratore, grafico e artista porta a Milano la sua pittura: il corpo a corpo con la tela da cui tutto è iniziato

Emiliano Ponzi è in mostra a Milano alla Galleria Marco Rossi di corso Venezia con un lavoro inedito.

Si intitola In principio era la fine e si tratta di quadri di grandi dimensioni. Mai fatti prima: Emiliano Ponzi infatti è conosciuto al mondo intero per i suoi lavori da illustratore realizzati a computer.

Con In principio era la fine, Emiliano Ponzi torna al punto di partenza, al disegnare di quando era bambino e alla pittura di quando era studente allo IED. O forse torna semplicemente a un fare pittura, più antico e precedente rispetto a un fare illustrazione a computer. Per Ponzi è certamente un inizio: l’incontro con questo mezzo espressivo è di questi ultimi due anni.

Ed è un incontro quasi da ring: un corpo a corpo con la tela, i pennelli, la vernice e il colore.

Sottolinea la fatica di questo lavoro, Ponzi, in un video realizzato da Marco Rosella che lo riprende all’opera nel suo studio newyorkese.

Meticoloso, pignolo, preciso qui sembra dover fare i conti con un mezzo più morbido, capace di perdonare, nel gioco delle luci, delle trasparenze e dello spazio, qualche piccola imprecisione, per lasciare spazio alla dimensione espressiva. Quella sì, da mettere su tela rigorosamente. Così fa la pittura. E così ha imparato a fare Ponzi. Che conquista, nel giorno dell’opening a Milano, una porzione di Corso Venezia in un pomeriggio affollato, tra i mille appuntamenti che la fashion week di questi giorni regala alla città.

Le vetrine della galleria aprono su un’opera in verde che cattura l'attenzione. Un disegno fatto per il festival del cinema di Annecy che racconta di una donna su un ponte, sospeso sull’acqua verdastra per i riflessi degli alberi intorno, intenta a osservare le montagne davanti a lei. Un quadro grande, che gioca col colore in campiture mosse di un’acqua lievemente increspata. Ma no, non è per questo che ci si ferma a guardare.

È l’effetto immersivo: il punto di vista è netto, esatto, ben tagliato. Siamo nel frame di un film, una scena precisa della storia che Ponzi ci vuole raccontare, e la stiamo vivendo anche noi: siamo nel quadro. Lo stile Ponzi sta proprio in questo, nel mostrare una visione e pretendere che il pubblico ci caschi dentro. Succede anche nelle misure ridotte di una cartolina o del disegno della copertina di un tascabile. Succede, ancora di più, tra le pennellate di una tela pronta ad accogliere le persone a salire su quel ponticello dalle ringhiere sottili… o a entrare in galleria.

Emiliano Ponzi, giacca nera sopra un paio di pantaloni dello stesso colore, ha scelto New York come città d’elezione da circa un anno.

Si è trasferito lì proprio nel bel mezzo di questa nuova sfida, messa a punto con una curatrice d’eccezione, Maria Vittoria Baravelli e un gallerista altrettanto eccezionale che ha scelto di presentare un esordiente di grande esperienza.

Perché se è vero che la pittura è una novità, il disegno di Ponzi è super premiato e riconosciuto, tanto che la Marco Rossi ha messo a punto tre mostre in tre diverse galleriei, a Torino (dove ha aperto il 19), a Milano e a Verona (dal 23) .

Ponzi si racconta, a dire che quei quadri sì, sono il risultato di un progetto di cambiamento, da finalizzare grazie a questo appuntamento. La mostra è la scadenza entro cui preparare il lavoro. Già, i confini, i limiti. Di quante “cornici” abbiamo bisogno per incanalare il nostro fare creativo?

«La cornice è uno spazio entro cui è possibile fare, ma per le persone come me la sfida è di forzarla, romperla in qualche modo. Sono una persona che sa godere molto del suo fare, ma non dei frutti di quel fare», dichiara Ponzi.

Siamo davanti a due quadri, l’isola di Salina raccontata da una donna seduta su una terrazza con un pergolato che la protegge lievemente da un sole splendido, pronto a illuminare un’altra delle isole, forse Stromboli, sullo sfondo. Accanto, l’Empire State Building in un celo quasi viola, lilla, di un tramonto trasparente quanto intenso nel suo trasformare la città di New York. È il più recente tra i quadri in mostra. Ma tutti i soggetti sono illustrazioni del suo archivio.

E questa è un’altra particolarità dell’esposizione: Emiliano Ponzi si è ridisegnato per l’occasione. Cioè, ha realizzato la versione pittorica di alcune delle sue illustrazioni native digitali. Un po’ come rifare l’editing del proprio romanzo

Può essere un modo per cominciare ad avvicinarsi a un nuovo mezzo espressivo, creando forse una comfort zone in cui dedicarsi unicamente all’apprendimento di una nuova tecnica dipingendo i propri disegni. Ma al contempo la palestra si fa arte perché il nuovo linguaggio, quello pittorico, costringe Ponzi a fare i conti conta sua personalità.

I suoi lavori post minimalisti raccontano molto di sé, anche quando lavora su commissione («Non so mai cosa farò, sicuramente qualcosa di diverso e a volte non è semplice perché i clienti portano come reference proprio dei miei lavori già fatti», spiega Ponzi), e questa volta si tratta di confrontarsi con «una fatica concettuale che si rapporta con quello che faccio, che si umanizza», spiega l’artista.

Che continua: «Mi sono confrontato naturalmente con il problema di fare i colori e ho scoperto che in quello sono eccezionalmente bravo, so esattamente cosa serve per ottenere quel particolare tono. Ma invece ho scoperto qualcosa che a computer non avevo mai notato: ogni colore è una nota, ma la sinfonia della composizione si vedi solo alla fine».

Mentre lo dice mi indica un quadro alla mia sinistra, molto grande. Ci sono un uomo e una donna immersi nell’acqua fino alla vita in un lago o forse nella pozza limpida di un piccolo fiume, tra gli alberi. I cerchi d’acqua causati dal loro immergersi non finiscono nello spazio della scena e la luce, un po’ lattiginosa, lascia che i riflessi dei loro corpi nudi sia più importante dei dettagli del viso dell’uomo, l’unico che potrebbe prendere la scena. Che invece resta intima, tra loro due, nonostante il pubblico sia immerso nella stessa acqua o forse sulla riva, proprio lì davanti.

Era la copertina di un romanzo di Saramago. E proprio nel comporre quella sinfonia cromatica Ponzi si è accorto del valore musicale del colore: «Mi sembrava che il fondo fosse di un tono sbagliato», spiega, «poi quando ho usato il color carne per dipingerle figure umane tutto si è bilanciato».

Ecco, la riscrittura della propria opera in un altro linguaggio, attraverso un altro mezzo espressivo è questo.

È uno sconfinamento, come sottolinea la curatrice. Ma l’obiettivo per Ponzi è sempre lo stesso: «Sono un progettista di fondo. E se vengo a patti con il mezzo, qualunque sia, raggiungo l’obiettivo che, nel mio caso, è comunicare».

Si può comunicare in tanti modi… «Si, per questo mi piace cambiare, mi piace evolvere e sentivo il bisogno di avvicinarmi alla pittura. Mi mancava qualcosa». Per restare qui, in un rinnovamento dell’archivio? «Questo mezzo nuovo stimola in modo diverso il rapporto mano-cervello che stimola, naturalmente, la mia fantasia. Voglio fare anche altro, vedremo quale sarà la versione 2.0».

Intanto, la parola alla curatrice: «La scelta dei lavori da trasferire su tela è andata sulle opere più iconiche di Ponzi per sottolineare che Emiliano è artista da sempre».

Emiliano Ponzi, In principio era la fine, Marco Rossi Arte contemporanea - Torino dal 19/9, Milano dal 21/9, Verona dal 23/9, tutte visitabili fino al 28/10.