Può essere un modo per cominciare ad avvicinarsi a un nuovo mezzo espressivo, creando forse una comfort zone in cui dedicarsi unicamente all’apprendimento di una nuova tecnica dipingendo i propri disegni. Ma al contempo la palestra si fa arte perché il nuovo linguaggio, quello pittorico, costringe Ponzi a fare i conti conta sua personalità.
I suoi lavori post minimalisti raccontano molto di sé, anche quando lavora su commissione («Non so mai cosa farò, sicuramente qualcosa di diverso e a volte non è semplice perché i clienti portano come reference proprio dei miei lavori già fatti», spiega Ponzi), e questa volta si tratta di confrontarsi con «una fatica concettuale che si rapporta con quello che faccio, che si umanizza», spiega l’artista.
Che continua: «Mi sono confrontato naturalmente con il problema di fare i colori e ho scoperto che in quello sono eccezionalmente bravo, so esattamente cosa serve per ottenere quel particolare tono. Ma invece ho scoperto qualcosa che a computer non avevo mai notato: ogni colore è una nota, ma la sinfonia della composizione si vedi solo alla fine».
Mentre lo dice mi indica un quadro alla mia sinistra, molto grande. Ci sono un uomo e una donna immersi nell’acqua fino alla vita in un lago o forse nella pozza limpida di un piccolo fiume, tra gli alberi. I cerchi d’acqua causati dal loro immergersi non finiscono nello spazio della scena e la luce, un po’ lattiginosa, lascia che i riflessi dei loro corpi nudi sia più importante dei dettagli del viso dell’uomo, l’unico che potrebbe prendere la scena. Che invece resta intima, tra loro due, nonostante il pubblico sia immerso nella stessa acqua o forse sulla riva, proprio lì davanti.
Era la copertina di un romanzo di Saramago. E proprio nel comporre quella sinfonia cromatica Ponzi si è accorto del valore musicale del colore: «Mi sembrava che il fondo fosse di un tono sbagliato», spiega, «poi quando ho usato il color carne per dipingerle figure umane tutto si è bilanciato».