Si è aperta il 28 ottobre la mostra A chair and You con cui il Mudac di Losanna celebra la nuova sede costruita da Aires Mateus, consacrando la città a nuovo polo internazionale del design

Ci sono le capitali mondiali del design, come Milano, Parigi e New York, e poi ci sono i poli minori, come Losanna, cittadina di 140.000 abitanti che ospita l’unico museo di design della Svizzera francese.

In questo centro urbano che affaccia sul Lago di Ginevra, poco distante dalla piccola casa che nel 1923 Le Corbusier progettò per i suoi genitori (conosciuta come Villa Le Lac), è cresciuta negli ultimi anni una feconda comunità vicina al mondo dell’arte e del design che lo scorso giugno si è riunita per inaugurare il nuovo complesso Platform10, 25.000 metri quadrati dedicati alle arti visive.

Il nuovo polo culturale

Platform10 sorge accanto alla stazione ferroviaria principale di Losanna, dove un tempo si trovava la banchina nr. 10 (da cui prende il nome).

Riscattando un’area urbana in disuso che veniva utilizzata per la riparazione delle locomotive, il nuovo polo museale ha avuto il merito di restituire alla città uno spazio pubblico importante e di valorizzare quella che qui chiamano 'mobilité douce', grazie alla creazione di percorsi pedonali e ciclabili che connettono l’area con la città di Losanna.

Un museo, due musei

Nel 2019, lo studio spagnolo Barozzi Veiga ha completato la prima fase del progetto, il Museo Cantonale di Belle Arti (MCBA) a cui si è aggiunto, appunto, il giugno scorso, il Museo di Design Contemporaneo a Arti Applicate (Mudac), completato dallo studio portoghese Aires Mateus.

I due musei affacciano sulla medesima spianata pubblica a due passi dalla stazione del treno e si presentano come due parallelepipedi dal forte impatto scultoreo, due scatole dedicate l’una alla fotografia, l’altra al design.

Il Mudac di Aires Mateus

In particolare, il blocco in calcestruzzo concepito da Aires Matues colpisce per la rigorosa geometria della facciata, scandita da un’apertura longitudinale che la sera si trasforma in una fessura luminosa che manifesta il carattere dell’edificio.

Grazie a uno studio ingegneristico sofisticato, l’edificio poggia su soli tre punti e si compone di due ali interconnesse di pari dimensione collegate da un’imponente scalinata centrale che facilita la circolazione interna.

Il ruolo dei musei per il sistema culturale di una città

Parlando con Chantal Prod’Hom, la curatrice che ne ha curato per vent’anni il programma culturale del Mudac e che passerà, il gennaio prossimo, il testimone all’italiana Beatrice Leanza, emerge come l’attuale centralità acquisita da Losanna all’interno del panorama internazionale sia il risultato di un lavoro sinergico tra istituzioni politiche, culturali, sia pubbliche sia private.

"Il Mudac è l’unico museo di design nella parte francese della Svizzera", racconta Chantal Prod’Hom. "È stato categorizzato come museo di design, ma è sempre stato più trasversale, definendosi negli anni grazie al suo programma, sempre attento a quello che succedeva nella nostra società e sempre aperto a stili e discipline differenti."

"Penso che tutto inizia dove sei", continua la curatrice, "si ha bisogno del proprio nucleo, se non ha quello non si può crescere. Oggi il Mudac ha una dimensione internazionale, grazie al fatto che ha investito sul proprio nucleo.

A Losanna siamo fortunati perché abbiamo molti studenti, abbiamo un’ottima scuola di arte e design, che è l’Ecal, e Head Généve a Ginevra. Questo ci ha aiutati a costruire un pubblico di riferimento e a crescere una nuova generazione di designer che è stata sostenuta dal lavoro del museo, perché così si costruisce un sistema."

A Chair and You

La mostra che ha aperto lo scorso 28 ottobre al Mudac restituisce questo spirito sinergico capace di mettere in relazione le realtà, pubbliche e private, che animano il tessuto culturale della città.

A Chair and You è una grande mostra che mette in scena una delle più grandi collezioni private del mondo.

La collezione è stata avviata negli anni '90 da Thierry Barbier-Mueller che ha deciso di presentarla per la prima volta al pubblico dopo più di 20 anni in cui era rimasta riservata. Dell’ampia collezione privata, il corpus selezionato per la mostra consta di 211 sedie e il compito di creare la scenografia per contestualizzare le opere è stata affidata al regista americano Robert Wilson, che ha creato un grande spettacolo in cui le singole sedute diventano gli attori.

Prescindendo da una contesualizzazione cronologica o autoriale, Wilson è partito dalla luce, che caratterizza ciascuna delle quattro sale della mostra, a cui ha fatto seguire il suono e arrivando a inserire gli oggetti solo nella parte conclusiva del processo.

La luce artificiale è stata trattata in maniera molto diversa da uno spazio all’altro e il suono non è annedotico, ma dà forma all’idea di opera totale che caratterizza il lavoro del regista americano.

Il risultato è un percorso emozionale, privo di didascalie, in cui lo spettatore viene trascinato nel percorso e, come a teatro, viene travolto dall’impatto visivo delle scene: luminosa e chiassosa la prima sala con pezzi di Andrea Branzi, Michele De Lucchi, Charles Kaisen, tra gli altri, eclettica la seconda a pianta circolare, mentre nella terza sala si recupera il rigore di una disposizione geometrica che raggiuge la massima potenza nell’ultima sala, completamente buia e illuminata da fasci di luce puntuale, che porta, come nel quarto atto dell’Opera, alla catarsi finale.