Il tema dell’industria, un ‘mandato autodeterminato’
Viene da interrogarsi sul perché della presenza così preponderante di industria, nel lavoro di Basilico: il suo dare voce e sguardo a un fenomeno proprio degli anni Sessanta con il boom economico prima e alla deindustrilizzazione poi, lascia pensare in prima battuta che il fotografo milanese si fosse semplicemente formato con il mito della cultura operaia.
Erano gli anni in cui la rivoluzione, e con lei la cultura studentesca e operaia, stavano emergendo: la fotografia dedicata alla vita delle fabbriche ha consentito a Basilico di astrarre qualcosa che, inevitabilmente, aveva a che fare con la politica.
Lui stesso dichiarava di essere stato incaricato di un lavoro fatto con “un mandato sociale che nessuno gli aveva mai dato”: per lui era un incarico sociale, autodeterminato. Precursore di una politica che è giunta a riconoscere questa necessità numerosi anni a venire.
“Gabriele Basilico. Le mie città”: un’evoluzione ‘umana’
Visitando la mostra, ci si rende conto di come il fotografo milanese abbia lasciato svanire la presenza del soggetto umano all’interno delle sue fotografie: nonostante questo, è difficile non accorgersi di come i suoi lavori siano un climax ascendente di ‘umanizzazione’.
Le persone, che nel suo primissimo lavoro di reportage sociale dedicato ai movimenti giovanili di contestazione tra il ’74 e il ‘76 erano oggetto centrale, piano piano scompaiono per lasciare posto a spazi che – comunque – portano con sé un’importante densità di presenza umana.
Lo sono le città, le industrie, le vie: nei suoi scatti smettono di apparire i volti, e subentrano i ‘corpi’ dello spazio urbano, ovvero la parte trainante della società.
Oltre alla fotografia
La mostra in Triennale si conclude con due contribuiti video, uno di documentazione della durata circa di 20 minuti e uno inedito di taglio editoriale che sarà a breve disponibile e proiettato in un numero selezionato di sale in Italia, attraverso i quali potersi immergere nel mondo di Gabriele Basilico.