Ne abbiamo selezionati 5 da Giappone, UK, Nigeria, Corea del Sud e Stati Uniti: e qui vi spieghiamo perché

Lentamente, iniziano a schiudersi, come fossero tante uova, i padiglioni che prenderanno parte alla Biennale Arte di Venezia 2024.

Ogni partecipazione nazionale porta avanti la propria idea di mondo. Ecco che dal prossimo 20 aprile la Laguna sarà invasa da visioni femministe e ambientaliste, decoloniali e sensoriali, politiche e intimiste, sfacciate e satiriche.

In scena ci saranno i migliori (o almeno questo è il desiderio del curatore Adriano Pedrosa) artisti contemporanei del pianeta. Noi scegliamo i cinque da non perdere per nulla al mondo. Un po’ per quel loro modo di raccontarsi e raccontare il tempo in cui viviamo e un po’ per quella loro straordinaria capacità di reinterpretarlo a loro immagine e somiglianza.

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1. Yuko Mohri, padiglione giapponese, Biennale Arte 2024

Uno degli artisti che incuriosisce di più è, ad esempio, Yuko Mohri che rappresenterà il Giappone. L’artista 43enne, originaria della prefettura di Kanagawa, studia da anni gli effetti benefici delle crisi.

Cosa significa esattamente? Lo spiega lei stessa: “Ciò che mi interessa è come una crisi possa accendere i più alti livelli di creatività nelle persone”.

Per dare forma alla sua mostra Mohri - che nel 2025 sarà protagonista di una personale all’Hangar Bicocca di Milano dove si esploreranno fenomeni fisici come la gravità e il magnetismo - si è ispirata ai racconti dei lavoratori della metro di Tokyo che sfruttano in maniera geniale oggetti di uso comune per bloccare le perdite d’acqua che si verificano nelle varie stazioni.

All’interno del padiglione nipponico ci saranno echi della pandemia, ma anche riferimenti alle violente inondazioni che hanno colpito Venezia nel 2019 e le proteste dei giovani attivisti in nome dell’ecologia e della sostenibilità ambientale.

Yuko, che impiega il suono e il movimento per creare installazioni cinetiche site-specific combinando oggetti ready-made e circuiti elettrici, realizzerà un’opera a forma di frutta in decomposizione attaccata a elettrodi che generano luce e note.

Curatore dell’ambizioso progetto è Sook-Kyung Lee, ex direttrice della 14ma Biennale di Gwangju, attuale Senior Curator alla Tate Modern di Londra e punto di riferimento della critica d’arte in Asia.

2. John Akomfrah, padiglione della Gran Bretagna, Biennale Arte 2024

Altro artista capace di catalizzare le attenzioni di critici, colleghi, collezionisti e art advisor sarà senza dubbio John Akomfrah che rappresenterà la Gran Bretagna.

Scrittore, regista, ma anche sceneggiatore e curatore britannico di origini ghanesi, è noto per videoinstallazioni e film dedicati a temi come le ingiustizie sociali, il razzismo, la crisi ambientale e l’eredità postcoloniale.

Ai Giardini punterà tutto sulle 'assenze' e cioè su quei vuoti storici presenti ancor oggi nelle narrazioni “ufficiali” elaborate dalle istituzioni culturali tradizionali.

“Questo invito a partecipare alla Biennale - racconta Akomfrah, che nel 2022 ha conquistato il Leone d'Oro per la migliore partecipazione nazionale - lo considero una sorta di riconoscimento verso tutti coloro con cui ho collaborato nel corso dei decenni e che continuano a rendere possibile il mio lavoro. Si tratta di una delle opportunità più entusiasmanti che si possano presentare a un artista”.

3. Toyin Ojih Odutola, padiglione nigeriano, Biennale Arte 2024

Anche Toyin Ojih Odutola, protagonista insieme ad altri sette colleghi del Padiglione Nigeriano, incentra l’attenzione su argomenti bollenti legati alla propria esperienza personale: dal colonialismo alle migrazioni, dalle questioni di genere falle ingiustizie sociali.

Considerato uno dei pittori figurativi più in ascesa del panorama mondiale, si dedica da tempo alla rappresentazione della figura umana.

Il progetto collettivo presentato a Venezia, ideato da Aindrea Emelife, ex curatrice di arte moderna e contemporanea al Museum of West African Art di Benin City, si intitola Nigeria Imaginary, e svela prospettive, idee, ricordi dedicati al proprio Paese mantenendo però “una portata intergenerazionale e intergeografica”.

In questo quadro si inserisce la poetica di Ojih Odutola (protagonista della collettiva The Struggle of Memory al Palais Popolare di Berlino fino all’11 marzo) che mira da un lato a contestare l’approccio spesso banalizzante della storia culturale africana e dall’altro afferma a chiare lettere come il passato remoto non occidentale non può mai essere un semplice spazio vuoto.

4. Koo Jeong-a, padiglione sud coreano, Biennale Arte 2024

Tutt’altra tematica ha invece l’opera della coreana Koo Jeong-a, protagonista del Padiglione della Corea del Sud.

Nata nel 1967 a Seul, da trent’anni lavora alla rivisitazione degli spazi grazie a installazioni immersive. Per lei la creatività è un atto di irriverenza che conduce alla sorpresa.

Dagli anni Novanta, infatti, i suoi delicatissimi lavori amano spiazzare il pubblico e mettono in discussione i confini tra realtà e finzione, tra realtà e immaginario. A Venezia Koo presenterà Odorama City (già il nome è tutto un programma), opera multisensoriale che evocherà “ricordi nazionali” attraverso odori, note e perfino temperature.

Il progetto è curato da Seolhui Lee, della Kunsthal Aarhus in Danimarca, e da Jacob Fabricius, direttore dell’Art Hub Copenhagen ed ex direttore alla Biennale di Busan.

5. Jeffrey Gibson, padiglione Stati Uniti, Biennale Arte 2024

Last buy not least, Jeffrey Gibson che rappresenterà gli Stati Uniti alla Biennale Arte 2024 a Venezia e passerà alla storia come il primo artista indigeno a rappresentarli in quasi 130 anni di storia dell’Esposizione Internazionale d’Arte.

Scultore e pittore, è nato in Colorado nel 1972 ma vive e lavora da tempo a Brooklyn. Di discendenze Cherokee, mixa tecniche e tradizioni differenti, lavorando la stoffa come il metallo.

L’effetto finale della sua poetica sono sculture, dipinti, installazioni e performance sia astratte che pop.

Anche alla Biennale, grazie alla curatela di Louis Grachos, direttore esecutivo di Site Santa Fe, di Abigail Winograd e di Kathleen Ash-Milby, curatrice del Portland Art Museum di origine Navajo, Jeffrey metterà in scena performance, opere multimediali e statiche.

Tutte hanno un unico obbiettivo:“Voglio cambiare il modo in cui la gente pensa all’indigeneità - ha raccontato Gibson - Venezia è l’occasione migliore per raggiungere questo scopo”.

 

Cover photo: Jeffrey Gibson