L’intervento site-specific’ L'ultimo pasto è una coppa di ramen’ di Hermann Bergamelli anima gli spazi di Zazà Ramen sake bar & restaurant a Milano

L'ultimo pasto è una coppa di ramen è la più recente opera di Hermann Bergamelli che, fino a febbraio 2023, anima gli spazi di via Solferino di Zazà Ramen sake bar & restaurant, a Milano.

L’opera si inserisce in un più ampio pensiero progettuale dedicato all’arte contemporanea che Zazà Ramen sake bar & restaurant ha intrapreso nel 2014, e che continua a portare avanti con passione e ricerca.

L’origine della collaborazione

La fascinazione di Brendan Becht, titolare del ristorante, per il lavoro di Herman Bergamelli è nata da un colpo di fulmine: un incontro casuale ha dato il via a un dialogo tra i due, alimentato sia dalla sensibilità per l’arte di Brendan, sia dalla passione per la cucina dell’artista.

L’installazione nata per parlare a tutti

L'ultimo pasto è una coppa di ramen dell’artista rappresentato da A+B gallery di Brescia è stata concepita per un contesto diverso rispetto a uno spazio espositivo tradizionale e il fatto di essere in un luogo che accoglie un pubblico trasversale ha portato l’artista a misurare il suo codice espressivo con la parete di ingresso del ristorante, ripensando al concetto di spazio e di vivibilità, di accoglienza e di spontaneità.

Il titolo dell’opera è riconducibile, in particolare, a due fonti: la prima risale al titolo della puntata 80 della seconda serie di Lupin III, serie in cui Zazà è il soprannome del commissario Zenigata. La seconda invece riguarda l'attinenza strutturale tra il lavoro di Bergamelli e il ramen, dove la stratificazione di elementi, che nel ramen corrisponde agli ingredienti, nel lavoro su tela si traduce nella varietà cromatica.

Un’opera d’arte, dentro un ristorante

L’installazione ricopre l’intera parete, con un’altezza di 3,5 metri e una larghezza di 4,7 metri. Il materiale utilizzato è quello che contraddistingue gran parte del lavoro di Bergamelli, ovvero il tessuto: 100 metri di cotone misto lino tinto, tagliato, suddiviso, strappato, cucito e sovrapposto, per essere restituito, in gran parte nelle declinazioni del verde e del blu, in una dimensione temporale mutata ed estesa che ricopre un arco di due anni di lavoro.

L’opera si presenta in modo imponente per abitare gli spazi del ristorante per cui è stata appositamente studiata e non per essere percepita come una decorazione. I diversi livelli di stratificazione e l’andamento dal ritmo vivace delle diverse unità sono percettibili e, essendo a ridosso della parete accanto alla vetrina, offre la possibilità di fruizione anche ai passanti.

Le diverse unità che si sovrappongono e compongono l’installazione, con un andamento dinamico e modulare, hanno infatti storie differenti, alcune si trovavano già nello studio dell’artista, altre sono state eseguite recentemente, ma tutte sono contraddistinte da un metodo rigoroso, quasi meccanico, dove le irregolarità sono il dettaglio, i tagli a vivo sono sfilacciati e i fili pendono per spezzare una routine scandita da una pratica estremamente controllata.