La mostra “Luigi Ghirri (non) luoghi” (a Jesi, dal 9 aprile al 4 settembre, a cura di Massimo Minini), racconta il grande maestro della fotografia che indagava il mondo senza imporre una sua visione

In occasione del trentennale dalla morte di Luigi Ghirri, Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi celebra il grande maestro della fotografia attraverso un racconto emozionale nella rinascimentale sede di Palazzo Bisaccioni: Luigi Ghirri (non) luoghi, a cura di Massimo Minini (dal 9 aprile al 4 settembre). Un percorso che fa emergere il ruolo della fotografia come strumento per indagare periferie e piccole cose e disvelare percezioni ‘altre’ senza l'ambizione di dare risposte univoche e definitive. Una mostra che racconta di un maestro della fotografia contemporanea che entra in rapporto con le cose, ponendo l’attenzione sulla sua intima necessità di fotografare.

Luigi Ghirri (non) luoghi, a cura di Massimo Minini, si compone di quaranta fotografie provenienti da collezioni private. Obiettivo del progetto espositivo ideato da Roberta Angalone è ricordare l’artista analizzandone la ricerca fotografica dal punto di vista delle motivazioni e dei sentimenti.

Il percorso espositivo: dalle origini...

La mostra si apre con la sezione introduttiva dedicata alla vita di Ghirri, nato nel 1943 a Scandiano (Reggio Emilia), e al suo avvicinamento alla fotografia negli anni70, grazie all’assidua frequentazione del gruppo degli artisti concettuali modenesi, che diviene il mezzo per guardare a fondo le cose, conoscerne l’origine e il divenire.

... ad Aldo Rossi e la forza evocativa della periferia

Il percorso prosegue con le sezioni dedicate ai luoghi, ai non luoghi, ai volti del tempo, all’arte e infine ad Aldo Rossi, con il quale condivide l’interesse per la periferia, spazio che, a parere di entrambi, racchiude in sé forza evocativa di storia e memoria. Ghirri è attratto dall’ambiente che abita l’uomo, quello in cui egli si muove: non ai mutamenti del paesaggio, ma ai cambiamenti del vivere.

Guardare le (piccole) cose senza il velo dell’abitudine

Quello di Ghirri è un universo a tratti malinconico, incantato, sospeso e romantico, che trova senso nelle piccole cose, nello stupore e nella meraviglia che scaturisce dal guardare le cose senza il velo dell’abitudine.

Fotografia in equilibrio tra rilevazione e rivelazione

Attraverso i suoi scatti, Ghirri dimostra come la fotografia sia generatrice di mondi possibili, mai artificiosi e irreali, ma che sempre raccontano la percezione di un’altra verità, frutto del perfetto “equilibrio tra rilevazione e rivelazione”. Durante tutta la sua carriera, fotografa un’enorme quantità di soggetti differenti, decidendo di non identificarsi in un genere o stile, poiché reputa questa una scelta rischiosa, una limitazione della libertà di espressione. 

Indagini che si prestano a infinite interpretazioni

Quella di Ghirri è una fotografia che si oppone a qualsiasi specie di ‘censura’ linguistica; anche le sue indagini rimangono volutamente aperte, non tendono a una risposta unica e definitiva ma si prestano a infinite combinazioni e interpretazioni, coerentemente con la sua idea di fotografia.