Come nel dolente ma delicato libro “Il peso” di Liz Moor, le opere di 22 artiste scelte per la mostra fotografica “Mirrors” portano al centro il corpo, il proprio. Presenza fisica, che identifica e confina, ma soprattutto metafora di sé

Nel potente e dolente, mai vittimistico, tantomeno patetico, romanzo Il peso di Liz Moore, rieditato di recente da NNEditore, la vita di uno dei protagonisti è disegnata dai confini del suo corpo. Come un violoncello imprigionato dentro una custodia, da 10 anni Arthur si è autorecluso: non esce più di casa. Non ha nessuno da vedere, nessuno che ha bisogno di lui, nessuno per cui valga la pena uscire.

Quanto conta l’aspetto fisico delle persone, ma soprattutto, quanto conta l’aspetto per le persone che quel corpo lo abitano. Quanto le rispecchia?

A questo e molto altro prova a rispondere la mostra fotografica Mirrors, dove 22 artiste interpretano attraverso lautoritratto lo specchio, inteso come metafora del sé, strumento di ricerca e di analisi che da esteriore si fa interiore e scava sempre più in profondità.

Il peso del dolore

Il libro si snoda in un percorso che ingloba altri punti di vista oltre a quello di Arthur, altri problemi, altre storie, tutte concatenate con la sua. Tutte raccontano un dolore un dolore, spesso trattenuto, dignitoso e composto: alcune sfociano in problemi con l’alcol, altre in un rapporto disarmonico con il cibo. Il corpo, quello che soffre lo sforzo nel fare soltanto pochi passi, quello che fa sport, quello che ospita uninaspettata nuova vita, è sempre presente. Al centro.

Tutte le storie raccontano solitudini che si avvitano in una spirale di frustrazione, accomunate dall’autoreclusione in sé stessi e dallincapacità di chiedere, di lasciarsi andare allo sconforto, di accettare laiuto degli altri, come se sentissero a pelle –  di non meritarselo.

Corpi scavati dalla solitudine

Il peso racconta storie di vuoti da colmare, di corpi scavati dal dolore che arginano lansia con (troppo) cibo o (troppo) alcol, ma lo fa in modo morbido, senza mai lagnarsi, senza suscitare pietismo, solo profondo rispetto, e affetto. A rendere speciale questo romanzo, infatti, è la scrittura calibrata, intensa e al tempo stesso asciutta, di Liz Moore, che non indulge in pruriginose descrizioni dell’abisso di abbruttimento in cui sono sprofondati i protagonisti ma getta spiragli di luce senza spiegare troppo, lasciando aperti incontri e possibilità, quelle di una famiglia di fatto, che si trova e si vuole.

Non cerco di ridurre la quantità di cibo che consumo: non ne vedo il motivo

La prima cosa che devi sapere di me è che sono enormemente grasso. Quando ci siamo conosciuti ero per così dire rotondo ma ora non più. Mangio quello che voglio e tutte le volte che voglio. Sono anni che praticamente non cerco nemmeno di ridurre la quantità di cibo che consumo perché non ne vedo il motivo. Nonostante questo non sono ne immobilizzato né costretto a letto ma quando faccio più di sei o sette gradini mi manca il fiato e in effetti mi sento molto timido e come imprigionato dentro una custodia, come un violoncello o un fucile costoso”.

Avrei voluto qualcuno con cui parlare

L’ultimissima volta che sono uscito di casa era il settembre del 2001, quando davanti alle notizie della tv mi sono sentito così solo che ho aperto la porta, ho sceso la scala e mi sono seduto sull’ultimo gradino, la testa tra le mani, per un’ora. Avrei voluto qualcuno con cui parlare. Mi sembrava che il mondo stesse per finire. […] non avevo nessuno da chiamare, e quel giorno non mi aveva chiamato nessuno, ed è stato per questo che ho capito di non avere più bisogno di uscire. Da allora sono diventato un recluso”.

Gli specchi come indagine di sé

Dal 3 all’11 settembre 2022, la Sala Campolmi di Prato ospiterà invece Mirrors, mostra di Ad Gallery che raccoglie, in oltre cento fotografie su carta fine art, le riflessioni di 22 artiste italiane e internazionali sullo specchio, strumento di indagine che da fisica si fa mentale.

Quel riflesso della propria immagine a cui, nel libro, Arthur cerca sempre di sfuggire: non ci vede solo un corpo enorme e trascurato, ci vede le sue fragilità e le sue mancanze. Negli anni sono talmente ingigantite stratificate come fossero tessuti adiposi che si accumulano, attecchiti, incrostati, al suo corpo da soverchiarlo completamente, inducendolo ad abdicare dalla vita di relazione e a consegnarsi al demone della solitudine.

Nell’autoritratto il soggetto diventa nello stesso tempo oggetto

Nella fotografia contemporanea l’autoscatto è stato spesso utilizzato come strumento di ricerca e di analisi interiore per passare, attraverso il corpo fisico, a un’analisi di sé più profonda. Mezzo privilegiato di indagine, nell’autoritratto il soggetto diventa nello stesso tempo oggetto, in un’identificazione che, attraverso il medium fotografico, diventa ancora più netta.

La macchina fotografica, infatti, permette all’artista di auto-ritrarsi assottigliando il confine della mediazione tecnica e temporale, in una visione che appare immediata quanto quella offerta dallo specchio.

Da un sé incorporeo a un corpo indagato, da corpo moltiplicato a sgretolato

Il progetto espositivo Mirrors coinvolge artiste che hanno maturato una lunga esperienza nella ricerca fotografica concettuale, qui riproposta attraverso una serie di scatti dal respiro unitario. Attraverso le opere in mostra, si passa da un sé incorporeo, evanescente, alla ricerca di una dissoluzione fisica che metta in mostra il perdurare dell’anima, a un corpo indagato tramite gli oggetti della memoria, dal corpo moltiplicato nei suoi mille doppi a quello corroso, sgretolato dall’azione del tempo.

Il luogo si fonde e confonde con i corpi ritratti

Altro elemento di analisi costante è il rapporto del corpo con lo spazio circostante, che non funge solo da scenografia ma diventa oggetto relazionale con cui le artiste si pongono in dialogo, rendendolo protagonista del racconto e interlocutore attivo.

Dai luoghi abbandonati, a stanze da letto spoglie che mostrano i segni del tempo, a specchi che entrano direttamente in scena presentando un io altro ed emancipato, lo spazio entra nel corpo come il corpo in esso, in un’osmosi fatta di texture, linee e cromie in cui il luogo si fonde e confonde con i corpi ritratti alla ricerca di una nuova dimensione spazio-temporale in cui vivere.

Un tributo a Francesca Woodman

In questo scenario di riflessioni comuni, Mirrors, si configura anche come un tributo al lavoro di Francesca Woodman (1958-1981), tra le fotografe del Novecento che più hanno riflettuto su questo tema, la cui produzione artistica è incentrata sul rapporto tra il corpo, come soggetto e oggetto simultaneamente, e il proprio sguardo.

Una ricerca e un’interrogazione costante sulla propria identità

Nella sua indagine fotografica, la Woodman ha sempre prediletto l’autoscatto come strumento di ricerca e narrazione, attraverso un’estetica concentrata sulla fusione tra corpo e spazio, privilegiando spesso i luoghi abbandonati, reinterpretati in una dimensione surrealista e visionaria.

Attraverso sperimentazioni come il corpo in movimento, la doppia esposizione o lunghi tempi di esposizione, la Woodman otteneva, negli anni ’70, volti sfocati al limite della riconoscibilità che denotano una ricerca e un’interrogazione costante sulla propria identità.

Francesca Woodman ha vissuto fra gli Stati Uniti e l’Italia (Firenze, Roma) e ha lasciato, in soli dieci anni, tra i 13 e i 22, oltre 800 fotografie. Il suo linguaggio visivo ha ispirato moltissimi artisti ed è tutt’oggi ancora viva e presente, con mostre dedicate alla sua opera in tutto il mondo.

Eventi collaterali, workshop e conferenze dedicati al ritratto fotografico

Rassegna di fotografia contemporanea a cura di Alberto Desirò, con la consulenza artistica di Vittorio D’Onofri, Romina Sangiovanni ed Erika Lacava e la collaborazione di Simone Ridi, la mostra Mirrors, organizzata con il patrocinio della Città di Prato, organizza anche una serie di eventi collaterali, workshop e conferenze per analizzare il ritratto fotografico sia dal punto di vista teorico-concettuale, sia da quello tecnico-pratico.