Quello che viene a crearsi è un mondo, in cui il visitatore si immerge. Esattamente come nelle architetture di Scarpa: «La dimensione che si apre nelle sue architetture è quella dell’ascolto. Ma è un ascolto diverso, che deve avvenire con tutti i sensi, nella comprensione di una dimensione totale di chi vive gli spazi», spiega ancora Siberini.
E lei insieme a Stefano Croci, per realizzare questo film, hanno trascorso un lungo tempo nei luoghi dell’architetto veneziano, li hanno ascoltati in stagioni diverse, in anni diversi con luci diverse, fino ad addomesticarli. Anzi, ad addomesticare se stessi a quei luoghi e a quelle luci, tra riflessi e giochi di ombre.
Già, la luce. O meglio, l’ombra. Si può definire uno spazio grazie all’ombra? L’architettura di Scarpa in effetti è fatta di tagli di luce, di pieni che impongono passaggi stretti che illuminano un’oscurità, oppure determinano un passaggio dell’acqua. Ma è ancora la luce a disegnare gli esterni, continuamente invitati a giocare con i riflessi che creano negli specchi d’acqua, o con il passaggio del tempo sulle loro facciate, capaci di disegnare ogni volta lo stesso disegno che, minuti dopo, non sarà più.
«C’è un libro molto amato da Scarpa che abbiamo usato come sottotetto ed è Libro d’ombra di TanizaliJun’ichirō», spiega Siberini. Che poi procede: «La parola giapponese Kire indica il taglio. Il taglio tra vita e morte, ma in ambito estetico ha applicazioni diverse, per esempio si usa anche nell’Ikebana: il fiore reciso ha un altro significato rispetto a quello che aveva un attimo prima di essere tagliato. Lo stesso accade con la luce: un taglio di luce caratterizza diversamente uno spazio d’ombra, come si vede bene nelle architetture giapponesi».
E Scarpa? «Abbiamo voluto filmare tutto questo, per esempio lo abbiamo fatto nella gipsoteca canoviana», risponde Croci, dove il sole sull’acqua in movimento si riflette dietro le sculture del Canova, come a dimostrare l’uso architettonico della luce ad opera di Scarpa. Che è proprio l’architetto della luce».