Le opere: da soggetto a contorno
Last but not least, il ruolo delle mostre collaterali. Il frullatore politico, antropologico e sociale in cui si è infilata la Biennale numero 60 ha spesso fatto perdere di vista l’elemento cardine che muove tutto il sistema: le opere.
Ebbene, moltissime soddisfazioni in tal senso, salvo rare eccezioni (vedi la partecipazione della Santa Sede con la mostra Con i miei occhi sul tema dei diritti umani alla Casa di detenzione femminile della Giudecca) si sono avute lontano dai padiglioni.
È il caso della della mostra Janus, voluta dal collezionista Nicolas Berggruen a Palazzo Diedo, dove hanno fatto breccia nei cuori di collezionisti e appassionati gli 11 interventi site-specific realizzati da artisti come Urs Fischer, Carsten Höller, Ibrahim Mahama, Sterling Ruby, Hiroshi Sugimoto e Lee Ufan e Liu Wei.
O di Liminal, ambiziosissimo show targato Pierre Huyghe a Punta della Dogana sul rapporto tra l’umano e il non umano e sul modo in cui percepiamo la realtà, da una prospettiva altra rispetto a quella umana.
O, infine, della toccante City of Refuge III dell’artista belga Berlinde De Bruyckere: mostra concepita per gli spazi sacri dell’Abbazia di San Giorgio Maggiore dove sculture di arcangeli e installazioni varie hanno invitato il pubblico a riflettere sulle dualità di amore e sofferenza, pericolo e protezione, vita e morte.
Tutti temi universali, che commuovono ed emozionano ad ogni latitudine, dalla Times Square fino al centro più sperduto della Patagonia. Il messaggio finale, forse il più elementare di tutti, è proprio questo: dopo tanto dibattere, discutere e confrontarsi sul senso dell’arte, a prevalere su ogni tipo di analisi sono sempre loro: le emozioni.