Luca Molinari su perché scrivere e leggere di design e architettura è importante (e sul programma ha curato per il Festival di Mantova, dal 6 al 10 settembre)

L’attenzione che sempre riscuote il Festival della Letteratura di Mantova (dal 6 al 10 settembre 2023) dice che sì, scrivere libri ha ancora un senso.

Ne è certo anche Luca Molinari, che, dalla prima edizione, si occupa della curatela degli incontri dedicati al design e all’architettura (qui, il programma).

“C’è una lista lunghissima di autori fra i miei amici”, dice. “Invitarli a Mantova, a un evento informale come il Festival della Letteratura vuol dire portarli a parlare del loro modo di agire e di pensare, del loro mondo. Non parlano specificamente del loro lavoro: è un’occasione per coinvolgere chiunque in un discorso aperto sul design”.

Secondo Molinari, il Festival della Letteratura di Mantova sa usare bene i propri strumenti ed è disponibile a pratiche inusuali in una città bella e accogliente.

“Gli ultimi miei libri sono partiti da due lezioni a braccio che ho fatto a Mantova durante il Festival: è un modo per testare nuovi argomenti e vedere le reazioni del pubblico.

Parliamo di libri che raccontano il design. Come si scrive di progetto oggi?

Luca Molinari: “In questi ultimi anni c’è una strana luna nera sull’editoria. Il pubblico, gli studenti, gli stessi architetti non leggono più molto. Una volta era importante avere una biblioteca, oggi non più.

C’è una pletora di testi, libri, librini pubblicati a fronte di poche centinaia di copie vendute. Dall’altra parte c’è la mania di architetti e designer di autopubblicarsi. Un’abitudine che deresponsabilizza gli editori”.

Però i suoi libri vendono: Le case che siamo (Nottetempo, 2016) è alla dodicesima edizione…

Luca Molinari: “Perché in realtà non parla di architettura. È un libro che appassiona facilmente, che tratta argomenti contemporanei con un taglio non accademico o specialistico.

Le monografie sul lavoro degli architetti sembrano fatte dagli uffici stampa, una prassi che va benissimo, ma che aumenta molto i filtri e il rischio di fare pubblicazioni autoreferenziali che parlano solo a se stesse.

Dall'altra parte c’è un tema di mancanza di educazione estetica, un’assenza di narrazione: non vediamo la bellezza che produciamo e vendiamo all’estero, non riusciamo a metterla a sistema intorno a noi. Però Mantova dimostra che un autore vero ha sempre qualcosa da raccontare, ha un pensiero. Quindi è giusto puntare l'attenzione alla qualità”.

I designer e gli architetti hanno spesso scritto molto e bene. Quali sono i libri utili a chi fa design oggi?

Luca Molinari: “Gli scritti di Sottsass pubblicati da Adelphi. Spazio di Luigi Moretti, pubblicato da Marinotti: è la raccolta straordinaria dei suoi scritti editoriali. E Autobiografia scientifica di Aldo Rossi, che è un libro di crisi, un racconto quasi sentimentale del suo rapporto con l'architettura.

Questi tre già sono un buon esempio di bella scrittura. Penso alla letteratura italiana di quegli anni: era un sistema, una qualità nell’uso della lingua che si riversava nei progetti. L’impoverimento di vocabolario si sta traducendo in un basso livello di pensiero e, quindi, di progetto”.

Come si fa un libro sul design oggi?

Luca Molinari: “C'è una dimensione tecnica che difficilmente arriva al pubblico generalista. Se però si parla di spazio, dimensioni, luce e materia, tutti capiscono. Per esaltare le qualità di un progetto bisogna avere uno sguardo universale, legarlo ad altre storie, che sia cinema, fotografia, romanzo.

È bello portare la narrazione del progetto nella dimensione umana, fisica, emozionale. E poi ci vuole chiarezza: quando si parla di sostenibilità bisogna spiegare cos’è.

Siamo un po’ troppo abituati alle parole degli uffici stampa (contro i quali non ho niente da dire), ci vuole più umanità”.

Leggere non va di moda, scrivere sì. Qual è il suo obiettivo quando scrive?

Luca Molinari: “Ho sempre scritto perché volevo farlo e ogni libro è nato da un’esigenza personale. Un libro è uno sforzo intellettuale che una volta stampato appartiene al mondo, non un autoritratto.

Serve a percepire l’urgenza di un tema che racconta cose ancora che non abbiamo ancora capito bene. E che non sappiamo come potranno essere utili per il futuro.

Un buon libro sul design potrebbe addirittura guardare a qualcosa di molto antico e leggerlo con occhio contemporaneo. La qualità, però, implica lo sforzo di guardare veramente perché l'architettura ha una capacità di reazione poetica molto forte. E poi ho un’esigenza fisiologica di scrivere, mi aiuta e mi rasserena, è un baricentro esistenziale”.

Qual è il tuo programma al Festival della letteratura?

Luca Molinari: “Ci sarà finalmente Mario Cucinella, architetto che riesce a parlare di sostenibilità con un occhio sempre pragmaticamente rivolto alle società preindustriali e alla cultura vernacolare.

Parleremo di città e di mobilità con Federico Ferrazza, direttore di Wired, che ha un punto di vista di uomo di scienze, e non di architetto o di urbanista, e ha studiato molto il tema.

Infine per la rassegna Città/Mondo, quest’anno parliamo di Parigi con Umberto Napolitano, co-fondatore di LAN Architecture”.