Eurovision 2022, il primo da 30 anni in Italia, inizia il 10 maggio a Torino: un’occasione per ricordare che l’interior design ha il potere di proiettare chi ascolta nella visione di un artista

Con l’Italia detentrice dell’Eurovision, la kermesse musicale torna nel Belpaese dopo 30 anni, ospite del capoluogo sabaudo dove, tra il 10 e il 14 maggio, 40 artisti si contenderanno il titolo.

Con la curiosità di scoprire nuovi talenti, gli occhi dei fan sono soprattutto puntati sui costumi e le performance: come quelli dell’australiano Sheldon Riley che si presenta al pubblico avvolto da un’armatura di piume metalliche, e dell’italiano Achille Lauro che pur di stupire (e scioccare) il pubblico dell’Eurovision sarà in gara con San Marino.

Senza dubbio la competizione canora è - assieme ad appuntamenti come i Met Gala - uno degli eventi ad avere maggiormente influito sulla rinnovata attenzione degli artisti italiani e del Festival di Sanremo per la dimensione estetica e performativa.

Ne sono esempio Mahmood e Blanco, coppia in gara per l’Italia all’Eurovision, la cui immagine curatissima è parte strumentale del loro successo internazionale. Un fattore condiviso anche dai Maneskin, detentori in carica dello scettro dell’Eurovision.

Se il palco cattura l’essenza di un artista attraverso i mezzi della coreografia e dei costumi, è il video a conservarla nel tempo. Ad aiutare gli artisti in questa missione è, spesso, il design. Gli interni hanno, infatti, lo straordinario potenziale semantico di incapsulare e istantaneamente veicolare allo spettatore la più intima e profonda visione di un artista.

Parte del video si Soldi, la canzone con cui Mahmood ha sfiorando la vittoria all’Eurovision 2019, è ambientato in un salotto che tra vecchi santini religiosi, centrini in pizzo e divani sfondati in finta pelle, vuole evocare il ruolo cruciale della famiglia e dell’infanzia nella problematica periferia milanese di Gratosoglio per l’identità artistica del cantante.

Analogamente, un bagno stretto, lungo e dalle piastrelle smaltate marroni, tipiche dei condomini anni ‘70, è il setting di alcune sequenze di Brividi, la canzone con cui il vincitore di Sanremo si presenta in gara all’Eurovision.

Quando il video si fa arte

Non è un caso, dunque, che Beyoncé e il marito Jay-Z abbiano scelto di assegnare un ruolo dominante agli interni, quelli del Louvre, per il video di Apeshit, singolo del loro progetto di coppia The Carters.

L’opulenza del museo parigino è efficace nel comunicare quella incarnata non solo dall R&B, ma soprattutto dai due artisti che qui si pongono a portavoce di una rinnovata visione Afrocentrica della cultura occidentale, in linea con la filosofia Afrofuturista di cui si possono considerare portavoce contemporanei. Nota è infatti la passione dei due artisti per l’arte Afro-Americana, come testimoniato dall’opera Mecca di Basquiat acquistata da Jay-Z per $4.2 milioni nel 2013 ad un’asta di Sotheby’s.

I grandi maestri dell’arte, dopotutto, hanno a lungo alimentato l’iconografia della musica. Se Andy Warhol ha fatto delle collaborazioni con rockstar il suo marchio di fabbrica - dai Velvet Underground ai Rolling Stones -, ispirando anche il nostro Mario Schifano, altrettanto frequenti sono le citazioni di opere sulle copertine dei dischi.

Sono proprio due dipinti conservati al Louvre, La Zattera della Medusa di Théodore Géricault e La Libertà che Guida il Popolo di Eugène Delacroix, a comparire sulla copertine di due altrettanto celebri album, rispettivamente Rum, Sodomy and the Lash (1985) dei Pogues e Viva La Vida or Death and All His Friends (2008) dei Coldplay.

L’interior design come veicolo iconografico

Non è solo l’arte ad impreziosire i video musicali. L’interior design è infatti strumento essenziale per definire ed accentuare l’immaginario ricercato dagli artisti.

Nel videoclip per la hit My Type dei Saint Motel, sono gli interni di una raffinata villa mid-century alla Frank Lloyd Wright contribuiscono ad evocare l’eleganza neo-lounge ricercata dal brano.

I divani Superonda degli Archizoom, prodotti da Poltronova, sono invece strumentali a illustrare il concept della traccia Superstudio, con cui i milanesi Calibro 35 propongono un’interpretazione sonora, tra jazz e funk cinematico, delle utopie degli architetti e designer radicali italiani.

Ancora, la nostalgia per i Settanta, nelle luci al neon e le atmosfere soffuse di un night a scandire il pop decadente spruzzato di disco dei Baustelle e della loro Amanda Lear, un inno all’effimeratezza dei sentimenti che tanto incarnano le superfici specchiate alla Nanda Vigo e le sedute in velluto del locale.

Un setting che sembra strizzare l’occhio a un altro nightclub che ha fatto la storia dei videoclip: quello di Common People dei Pulp - eletto inno del Britpop dagli ascoltatori di BBC Radio 6 Music in un sondaggio del 2014, a vent’anni dalla nascita del genere. Nel video, il dancefloor retroilluminato -  a sua volta un richiamo di quello de La Febbre del Sabato Sera, stilema indiscusso della discoteca per tutti gli anni ‘80 - assumeva quasi il ruolo di una scacchiera su cui si muovevano i personaggi narrati con precisione sociologica e humor britannico dal cantante della band Jarvis Cocker.

Sempre in ambito Britpop, impossibile non pensare alle atmosfere kubrickiane citate dai Blur nel video di The Universal, richiamo tanto al design sci-fi di 2001: Odissea nello Spazio, quanto al total white dei drughi di Arancia Meccanica e del loro amato Latte+ servito al Korova Milk Bar.

Poco più di dieci anni prima, addirittura, la band ska dei Madness aveva basato attorno alla dimensione domestica e vernacolare della casa inglese l’intero concept per il testo e l’identità visiva del singolo Our House, uno dei più loro grandi successi.

L’architettura del rap

A ricordare come gli spazi fisici siano spesso alle radici di interi generi musicali è, proprio in queste settimane, il video per il nuovo tormentone del rapper Fabri Fibra Propaganda, in featuring con Colapesce e Dimartino, ambientato nella Camera di Commercio di Vercelli, un imponente e alienante edificio modernista progettato da Enrico Villani.

Un legame, quello tra musica rap e architettura, che è parte integrante dell’iconografia con cui a inizio anni ‘00 si presentavano gli artisti della nascente scena grime londinese, nei cui video i council estate della capitale inglese erano eretti a simbolo identitario. Un genere culminato esteticamente con l’uso del Barbican Estate come teatro del videoclip di Shutdown di Skepta del 2015.

Pochi mesi più tardi, la Casa Albero di Giuseppe Perugini a Fregene, veniva utilizzata per il video di Dark Boy della Dark Polo Gang, il cui distintivo tag 777 può oggi essere rintracciato sul cemento che da vita ai volumi radicali dell’edificio.

Analogamente, queste dinamiche sono state recentemente affrontate dal progetto social Forgotten Architecture (ora in uscita con un libro per Nero Edizioni) a cura dell’architetto Bianca Felicori. La sua iniziativa (T)rap&Architecture, realizzato presso Triennale Milano con la collaborazione di Adidas Originals, ha coinvolto artisti come Rkomi, Frah Quintale e il produttore Night Skinny ponendoli in rapporto ad una serie di landmark dell’architettura italiana, tra modernismo e brutalismo.

Un leitmotiv che si ritrova anche nei video girati da Stefano Lettieri per il misterioso rapper napoletano Liberato. Il suo immaginario tanto sonoro quanto psicogeografico riporta a una nuova epica partenopea, amara e sognatrice, sospesa tra folklore e la dimensione urbana, anche fatiscente, della speculazione edilizia e dell’architettura popolare.

L’edilizia che ambiva allo sviluppo di una società modello, diventata con il tempo incubatrice disillusa di malessere, frustrazione e alienazione sociale e burocratica, acquista oggi un ruolo necessario all’espletazione delle tematiche degli artisti rap.

La magia del video

È dunque questa capacità di catturare e restituire attraverso l’universalità del linguaggio visivo la filosofia di un percorso artistico il più grande pregio del video? In un periodo storico in cui - parafrasando i Buggles - lo streaming ha vendicato la radio, uccidendo lo schermo televisivo, responsabile della nascita del videoclip, esso continua comunque ad essere parte integrante della comunicazione di un artista, tagliato e ricucito tra TikTok, reel di Instagram e canvas di Spotify.

Le etichette continuano a investire in video ultra-estetizzanti somme sostanziali, anche quando, a guardar bene, non ce ne sarebbe più bisogno, come la scuola del bedroom pop - Boy Pablo in testa - ha dimostrato nell’ultimo decennio, rompendo gli algoritmi di YouTube con canzoni accompagnate da clip girati con handycam vecchie di vent’anni o più.

Sarà, però, che anche quando siamo al bar o in palestra e la televisione è accesa senza sonoro, a stimolare il nostro interesse verso un artista sono, dopotutto, proprio le immagini.