In occasione della mostra su Dario Argento alla Mole Antonelliana (6 aprile-16 gennaio 2023, il direttore del Museo del Cinema di Torino ci ha spiegato perché il regista romano è un indiscusso maestro

Dal 6 aprile al 16 gennaio 2023 la Mole Antonelliana di Torino ospita Dario Argento - The Exhibit, un progetto espositivo che compone un articolato discorso visivo sull’immaginario sviluppato dal regista romano nella sua cinquantennale carriera.

Abbiamo intervistato Domenico De Gaetano, direttore del Museo Nazionale del Cinema di Torino e co-curatore della mostra insieme a Marcello Garofalo.

Se dovesse rivolgersi a un non esperto, come descriverebbe la grandezza e l’unicità di Dario Argento?

Dario Argento appartiene alla generazione dei grandi maestri del cinema italiano, ma lui è sempre stato un autore cult: è amato e idolatrato da schiere di fan come un cantante rock ed è seguito e apprezzato non solo da un pubblico con una forte vocazione cinefila.

Deve la sua fama principalmente al modo in cui ha rivitalizzato generi come il thriller e l’horror, creando autentici capolavori che travalicano il cinema stesso e diventano espressioni artistiche, visionarie, oniriche. Dai suoi primi film all’ultimo Occhiali neri, un autentico classico d’altri tempi, credo che il taglio moderno del suo sguardo nel descrivere gli stati della paura e dell’irrazionale, che risiedono in tutti noi, sia stato ed è ancora la chiave del suo successo.

Dario Argento è un regista che, come pochi altri, ha saputo agire sugli spazi e sulle location. In che modo?

Sono perfettamente d’accordo. Pochi registi sono riusciti a rendere le città degli insospettabili luoghi metafisici, decontestualizzando facciate, palazzi, piazze, strade per adattarli alle proprie visioni. Argento dedica un’attenzione maniacale alle interpretazioni architettoniche e ‘urbanistiche’ e alla definizione degli interni delle location per creare nello spettatore un senso di smarrimento e di angoscia, anche se si tratta di luoghi pienamente riconoscibili.

Lo splendore liberty della Dance Academy di Friburgo, dove si reca la protagonista di Suspiria, esplode in colori minacciosamente saturi, quasi fosforescenti, o in labirintiche forme geometriche che la intrappolano.

Per gli esterni, basta pensare che a Torino ancora oggi viene organizzato un tour per rivivere le location in cui il regista ha girato: da piazza CLN, con la celebre intrusione hopperiana del Blue Bar, fino al Liberty maledetto di Villa Scott, per citare solo Profondo rosso. Un caso più unico che raro.

Parliamo della mostra. Quali logiche avete seguito per l’allestimento e quali sono le chicche imperdibili per ogni appassionato?

La mostra dispiega l’universo cinematografico di Dario Argento in ordine cronologico, cercando di sottolineare il suo lato autoriale. In una grande parete introduttiva abbiamo poi voluto fare un vero e proprio catalogo con i temi visivi dei suoi film, individuando gli sguardi, le architetture fantastiche, le armi degli omicidi, i colori... per suggerire coincidenze e approfondire ossessioni.

In ogni mostra sperimentiamo diverse tipologie di allestimento: in questo caso, il pubblico rimarrà meravigliosamente abbagliato da un denso gioco di luci… rosso sangue, naturalmente. Chicche imperdibili? Gli oggetti di scena, i costumi e le creature meccaniche realizzate da Sergio Stivaletti, come la macchina ammazza-topi del Fantasma dell’Opera, il Demone dei Graffiti della Sindrome di Stendhal o i serpenti d’acqua di Occhiali neri.

 

Pandemia a parte, qual è stata la difficoltà maggiore che avete dovuto affrontare per mettere in scena questo evento?

Nel progettare la mostra insieme a Marcello Garofalo ci siamo posti un duplice obiettivo. Da un lato volevamo che fosse apprezzata dai cinefili e dai fan sfegatati del regista romano che conoscono la sua filmografia nei minimi dettagli, meglio di molti critici e studiosi. Dall’altra parte, sapevamo di dover creare un percorso che intrigasse anche il pubblico generico, che magari ha visto solo un paio di film o lo conosce solo di nome. Già trovare un equilibrio tra questi due livelli non è stato semplice, ma sicuramente la domanda più difficile a cui dare risposta è stata: come raccontare l’immaginario di un “maestro dell’horror” senza mostrare il suo lato più truculento?

Una curiosità. So che è difficile, ma qual è il suo film preferito di Argento e perché?

Sicuramente Profondo rosso. L’ho scoperto attraverso la musica dei Goblin, con quel tema così ipnotico da rimanere nella mente come l’ostinato per archi di Bernard Herrmann per la scena nella doccia in Psycho. Sono rimasto colpito dal modo in cui ha trasfigurato Torino: ogni volta che lo riguardo penso alla straordinaria capacità degli artisti di arricchire e impreziosire il mondo in cui viviamo.