A Curio Design Miami 2022, il duo Lanzavecchia-Wai usa i Veleni per invitare a una vita più green e consapevole: Francesca Lanzavecchia racconta

Una mostra dedicata ai veleni. L’ha allestita Particle, il team multidisciplinare che promuove cultura, arte, design, creatività grazie a esperienze reali e virtuali, in collaborazione con la coppia creativa Lanzavecchia + Wai.

Fino al 19 giugno, all’interno di Curio Design Miami a Basilea, la realtà ideata da Bruno Bolfo con lo scopo di creare empatia tra le persone contaminando arte, cultura e tecnologia, ha allestito uno spazio a metà fra il reale, il digitale e il virtuale dove alcuni oggetti di vetro portano un messaggio di responsabilità su un tema attuale come l’inquinamento.

Lanzavecchia + Wai, collaborazione creativa tra Francesca Lanzavecchia e Hunn Wai, hanno interpretato dodici oggetti in vetro, realizzati dai soffiatori di vetro di Murano.

Il loro obbiettivo? Creare consapevolezza intorno ai temi dell’inquinamento e invitare tutti a vivere il pianeta in modo più responsabile e consapevole.

Ma in che modo? Abbiamo incontrato la designer italiana per saperne di più. Nata a Pavia, classe 1983, Francesca Lanzavecchia si è sempre concentrata sulle relazioni che gli oggetti hanno e possono avere col corpo e con l’anima. Anche stavolta è stato così.

Francesca Lanzavecchia, da dove nasce il progetto Veleni?

Dalla richiesta di Particle che ci ha invitato a disegnare una collezione sostenibile. Una richiesta che per noi creatori di oggetti è parsa quasi paradossale.

La sostenibilità, infatti, non può essere affrontata a breve termine ma dovrebbe essere un obiettivo a lungo termine che nasce dalla consapevolezza e dalla collaborazione tra le discipline, dato che riguarda ogni attività umana.

La collezione Veleni – in cui convivono microplastiche, microfibre, pillole, detersivi, pneumatici e piombo – è partita così, da una ricerca estensiva, da una presa di coscienza del male che ci facciamo quotidianamente ingerendo veleni che produciamo e rilasciamo nell’ambiente e che poi, invisibili, tornano sulla nostra tavola.

Sostanze dannose che incontriamo, respiriamo, ingeriamo inconsapevolmente. I pezzi della collezione imbandiscono una tavola creando un confronto, in maniera ironica, diretta, intima e interattiva, con alcuni veleni.

Il progetto è accompagnato da un testo curatoriale di Maria Cristina Didero.

E il vetro che ruolo gioca?

È l’unica barriera che ci separa da questi agenti inquinanti, isolandoli eppure mantenendoli ben visibili, grazie alla trasparenza. Questa collezione è una vanitas contemporanea: in ogni sorso d’acqua avvertiamo il brivido del farci male.

Qual è il veleno più letale per il design contemporaneo?

La superficialità, guardare al design come una scocca vuota, autoreferenziale, fine a se stessa che non dialoga con il contesto produttivo e dell’utente finale. Non vogliamo essere landfill designers, vogliamo disegnare oggetti che meritano di esistere, che raccontano storie, oggetti a cui ci si affeziona, dove il bello è funzione, oggetti che durano nel tempo come compagni di vita.

Il design deve essere sempre etico?

Non ho studiato per salvare il mondo ma penso di portare quotidianamente, nella mia pratica progettuale, il mio senso dell’etica.

Il design dovrebbe essere etico, rispettare il contesto produttivo, gli artigiani, la natura e i materiali, dovrebbe essere attento alle fragilità umane e alle diversità e, grazie alla sua bellezza, aiutarci in maniera tangibile. Cerchiamo sempre di portare questo modo di pensare alle aziende con cui collaboriamo.

Come è nata la collaborazione Lanzavecchia + Wai?

Negli anni del Master alla Design Academy. Hunn Wai e io abbiamo costruito, anzi si potrebbe dire 'ingegnerizzato', uno studio ponte fra due continenti, fra due nazioni così diverse come l’Italia e Singapore.

Perché l’esigenza di questo ponte?

Per essere sicuri di noi, per avere visioni del mondo da punti diversi e culture lontane, per non dare mai nulla per scontato, per porci domande quotidianamente, per trovare nell’ibridazione del sentire sia vantaggi per i nostri clienti che nuove visioni per il futuro.

Un impegno che coniuga l’artigianato italiano con i migliori laboratori creativi del mondo, insieme alla tecnologia e allo sguardo di Singapore, sempre rivolto al futuro.

A proposito di futuro, in cosa il mondo digitale può migliorare quello del design?

L’uomo ha sempre costruito oggetti per aumentare le sue capacità, rafforzare il suo corpo, estendere la sua coscienza. Siamo da sempre in relazione con gli oggetti che acquistiamo. Sono simboli che dicono agli altri chi siamo.

Ho scelto di essere una designer perché sono convinta che gli oggetti siano una bellissima estensione delle persone. Sanno raccontare il momento storico in cui sono vengono creati e, a volte, hanno la capacità di predire il futuro.

Come designer penso sia necessario chiedersi cosa possiamo fare per integrare il digitale con il mondo degli oggetti reali. Con Veleni abbiamo uno storytelling digitale ai nostri oggetti. Attraverso la app di Particle, si animano con scene in augmented reality di pesci, ad esempio, che ingeriscono plastiche o piogge di medicinali insieme a contenuti video che raccontano la collezione.

Un giorno ha detto che il designer è allo stesso tempo ricercatore, ingegnere, artigiano e narratore. C’è una parte che prevale di più?

Non direi. In base al progetto mi lascio guidare dal pensiero laterale e mi piace indossare cappelli diversi. Progetti differenti hanno contenuti narrativi, tecnologie innovative differenti. Il nostro fil rouge è la ricerca e la volontà di raccontare una storia mantenendoci profondamente umani.

C’è qualcuno che l’ha ispirata più altri?

Non ho in mente un maestro in particolare. Sono irrequieta e alla perenne ricerca di risposte e di ispirazioni tra arte contemporanea, cultura pop, il cinema, i libri che leggo la sera ai miei piccoli. È la vita nel suo insieme ad essere un'incredibile fonte d’ispirazione.

Dove si vede fra 20 anni?

Nel mio studio a fare progetti. O forse in qualche isola lontana, magari a Lanzarote. Mi auguro un ritmo più lento ma senza mai smettere di pormi domande e di cercare risposte.