Il grande fotografo tedesco, che con Estrelle Blaschke firma la mostra Image Capital al MAST di Bologna, ci ha spiegato come la fotografia è diventata tecnologia dell'informazione

Che cosa c’entra la fotografia con il capitale? Lo racconta la mostra Image Capital alla Fondazione MAST (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia) di Bologna. Non la solita mostra 'di' fotografia ma una mostra 'sulla' fotografia e sui suoi innumerevoli utilizzi pratici in ambito scientifico, culturale e industriale. Come dice il sottotitolo: La fotografia come tecnologia dell'informazione.

Da una performance del fotografo tedesco Armin Linke al Centre Pompidou di Parigi arriva a Bologna, dopo cinque anni di lavoro in giro per il mondo insieme alla storica della fotografia Estelle Blaschke, Image Capital, la mostra curata da Francesco Zanot e aperta al pubblico fino all’8 gennaio 2023.

Un percorso attraverso sei tappe (Memory, Access, Protection, Mining, Imaging, Currency) che propone video, installazioni, documenti e attrezzature d’epoca, gigantografie e interviste che - insieme ai testi di Estelle Blaschke (riportati su grandi pannelli orizzontali, quasi un’opera a loro volta) -, parlano di fotografia come non si era mai visto in una Galleria d’arte.

Dalle strategie di indicizzazione e conservazione a lungo termine delle immagini al loro utilizzo nella scienza e nell’industria, dal machine learning al riconoscimento automatico facciale fino alle tecniche di rendering e modellazione digitale.

Incontriamo Armin Linke all’inaugurazione per saperne di più.

Armin Linke, che relazione c’è tra tutto questo mondo legato alla produzione e il suo lavoro artistico?

Da fotografo mi viene naturale domandarmi qual è la storia del mio medium, ma me lo chiedo anche come cittadino visto come siamo immersi nelle immagini e quanto - anche quando non ce ne rendiamo conto - queste siano importanti per la nostra vita.

È un tema vastissimo, tanto che io ed Estelle Blaschke abbiamo dovuto per forza circoscriverlo tralasciando per esempio di toccare ambiti come la medicina, la giustizia o l’industria dei videogame: basta questo per capire che le fotografie (e le informazioni che contengono) non servono solo a fissare i ricordi o a esprimere un’emozione o un’intuizione artistica.

Le immagini sono un patrimonio prezioso per la nostra vita. Pensiamo alla cattedrale di Notre Dame dopo il devastante incendio del 2019: per aiutare il complesso lavoro di ricostruzione la Ubisoft, società che produce la saga di Assassin’s Creed, ha messo a disposizione la sua banca dati di immagini e rendering - frutto della collaborazione con architetti e urbanisti - che riproducono in modo molto accurato la cattedrale.

È per questo che oggi le immagini non rappresentano ma 'sono' un capitale, un valore economico?

Lo sono in tanti modi diversi, anche precedenti il capitalismo informatico. La fotografia si diffonde come estensione della memoria umana, secondo la filosofia della Eastman Kodak Company: non perdere i momenti significativi della propria vita, degli affetti, come quelli della storia di tutti (la nascita di un figlio, l’assassinio di Kennedy…), e già questo rappresenta un valore.

Da qui alla necessità di proteggerlo il passo è breve, e allora ecco le banche dati. In mostra ci sono le foto che ho scattato nel deposito sotterraneo di Iron Mountain, in Pennsylvania, una ex miniera di ardesia che, dal 1951, viene usata per stoccare microfilm, fotografie e microfiche di documenti governativi, banche dati aziendali, case discografiche, fototeche, università.

Guai se si dovessero deteriorare, ma a quella profondità ci sono le condizioni di temperatura e assenza di umidità ideali perché questi documenti restino intatti.

Il valore economico delle immagini è poi più evidente nell’industria. Come nell’azienda olandese che produce orchidee a Wateringen, nei Paesi Bassi dove sono stato alcuni giorni per realizzare foto e video.

Grazie a un sistema fotocamere e sensori, che fotografano e scannerizzano ogni singola piantina, non solo la macchina gestisce alla perfezione le varie fasi di vita delle orchidee ma, a fine ciclo, stabilisce anche il valore economico e a quale mercato, tra Nord e Sud Europa, ogni pianta è più adatta.

Qui si racconta anche il salto di scala rappresentato dalla fotografia digitale che ha addirittura rovesciato il processo di produzione. Cosa significa?

Gli oggetti del nostro mondo oggi vengono costruiti sulla base delle fotografie e delle loro rielaborazioni, con enormi ricadute sul piano economico e politico: chi possiede le grandi masse di immagini che alimentano questo sistema ha un potere sterminato.

In questa mostra ho voluto raccontare come, nella società capitalistica, la fotografia non domini solo l’immaginario, ma molto di più.

Lei ha documentato anche come, dietro questo mondo immateriale, si nasconda però il lavoro di tante persone. Preferiamo non saperlo?

In mostra c’è un bellissimo lavoro realizzato dagli studenti del politecnico olandese di Deft con i lavoratori del dipartimento di Amazon Turk. Sono lavoratori pagati a cottimo per guardare e descrivere centinaia di immagini, in pratica forniscono ad Amazon i preziosi metadati e vengono pagati 15 centesimi a immagine.

A tutti questi lavoratori gli studenti hanno chiesto di fotografare la stanza di casa in cui lavorano e di fornire informazioni come orario di lavoro, guadagno, metri quadri della stanza e così via. Il risultato è una gallery antropologica che manda a gambe all’aria la nostra idea che il digitale sia la dematerializzazione della realtà svelando come, alle spalle, ci sia un lavoro molto materiale.

Una mostra che è più difficile raccontare che vedere, per il grande impatto e la ricchezza di materiali. Da seguire anche attraverso la piattaforma image-capital.com dove si troveranno le videointerviste e gli interventi degli ospiti di alcune serate di approfondimento organizzate alla Fondazione MAST da qui a gennaio.

Quando la mostra lascerà Bologna per Parigi e, cinque anni dopo, Armin Linke potrà chiudere il cerchio tornando al Centre Pompidu.