Siamo stati alla Biennale Arte 2022 e abbiamo selezionato i 10 padiglioni da non perdere: tra Black power, giustizia sociale e identità di genere

Katharina Fritsch, tedesca, e Cecilia Vicuña, cilena. Sono le due artiste vincitrici dei Leoni d'Oro alla carriera della Biennale Arte 2022 Il latte dei sogni, premiate oggi a Ca' Giustinian.

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Era proprio a Venezia, che nel 1999, Katharina Fritsch metteva in scena una delle sue opere più imponenti, Rattenkönig, sedici roditori giganti, disposti in cerchio, con le code annodate al centro, che osservavano i visitatori, come fossero impegnati in un rituale magico.

Qualcuno, leggendo, potrebbe pensare a una scultura sul potere, a una riunione dei capi del mondo che intessono patti oscuri alle nostre spalle o a un conclave dei big della finanza che si dividono il mondo a fette? Invece no, le sculture kitsch in resina di Fritsch attraggono e respingono chi le guarda, sono grottesche come fossero uscite dall’immaginario condensato di un sogno, ma non hanno secondi messaggi, se non quello (di importanza vitale) di farci riflettere sul perché ci fanno così tanto effetto, che non riusciamo ad allontanare gli occhi da loro.

Ognuno ci veda, e approfondisca, ciò che sente quando le incontra nei musei di mezzo mondo, ma anche nelle strade e nelle piazze delle città. Vedi Rooster, il gallo blu elettrico gigante che osservava i pedoni di Trafalgar Square, a Londra. E forse è proprio questo il grande ruolo di Fritsch, metterci davanti a oggetti, animali, persone, presenze familiari infantili e colorate, per farci capire a che punto siamo con il nostro inconscio, collettivo e individuale. “Apparizioni perturbanti”, come le ha definite la direttrice artistica Cecilia Alemani.

Poesie, canti tradizionali, opere teatrali e precarie tessute con materiali di scarto, performance che coinvolgono le comunità locali. Cecilia Vicuña, artista, attivista e poetessa cilena, ambientalista e femminista, si batte per la giustizia sociale e i diritti delle popolazioni locali dell’America Latina, da quando nel 1974, fonda Artists for Democracy, un collettivo di artisti contro la dittatura.

E, in ottobre, sarà protagonista del nuovo allestimento della prestigiosa Turbine Hall, alla Tate Modern di Londra. Tra le sue opere che hanno girato il mondo, i Quipoems, crasi tra “poema” e “quipu”, sono tessuti annodati con corde colorate, usati dalle popolazioni indigene per ricordare e fissare gli eventi nella memoria, un esempio di scrittura precolombiana “nelle quali il microscopico e il monumentale sembrano trovare un fragile equilibrio: un'arte precaria, al contempo intima e potente", ha dichiarato Alemani.

Un’opera che ha molto da raccontare sul tema della Biennale, che sancisce la fine dell’era dell’uomo bianco a misura di tutte le cose. “Un disperato bisogno di trovare un nuovo modo di vivere su questa Terra”, ha detto l’artista.

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Biennale Arte 2022: 10 padiglioni da non perdere, visti per voi

Mettono in scena le emergenze dell’attualità, con gli approcci e le tecniche più disparate, dalla scultura alla fotografia, al 3D, alle grandi installazioni immersive

Belgio

L’artista belga Francis Alys si è ispirato al dipinto Children’s Games di Bruegel, ma i cortometraggi della sua personale The Nature of the game portano un’energia che straborda al di là degli schermi e investe i visitatori in tutto il padiglione, tra strilla di gioia, risate e incitamenti. Un catalogo delle emozioni umane, narrate attraverso i giochi di strada dei bambini, ripresi in tutto il mondo.

La gara di lumache in Belgio, la caccia alle zanzare nella Repubblica Democratica del Congo, gli aquiloni in Afghanistan, prima proibiti perché simbolo della libertà. Immagini di un realismo magico e crudo insieme, che mostrano come i bambini sappiano trasformare in gioco anche ciò che non lo è, ma a volte può essere pericoloso.

Come il piccolo che spinge uno pneumatico, più grande di lui, lungo una salita che porta sulla vetta di scorie della miniera di cobalto di Lubumbashi, in Congo. E poi ci entra dentro e si lascia rotolare giù.

Svizzera

Sculture che emergono dal suolo, teste e mani di figure immobili che sembrano arrivare da civiltà antiche. Sono le grandi sculture in fasci di paglia bruciata di The Concert, dell’artista Latifa Echakhch, che sembra trasformare il padiglione svizzero in un grande rituale di passaggio, dalla luce al buio, per poi tornare alla luce.

Chiunque entri resta rapito, diventa testimone e protagonista, ora illuminato da una luce rossa soffusa, come in un tramonto della civiltà, ora immerso in un buio contemplativo, interrotto solo dallo scricchiolio della ghiaia sotto i piedi, un originale concerto che resta addosso quando si esce.

Gran Bretagna

Una grande jam session di musiciste britanniche nere che cantano, orchestrate dall’artista Sonia Boyce nei video multipli e affiancati di Feeling her way.

Dalle loro voci si eleva un canto che tocca corde profonde ed emoziona, potentissimi vocalizzi che inneggiano alla libertà, all’immaginazione, al gioco e attraverso ogni respiro, e ogni improvvisazione, aprono la nostra mente al mondo delle nuove possibilità che possono nascere quando, noi tutti, respiriamo e improvvisiamo insieme, soprattutto nei tempi incerti in cui viviamo.

Tutti noi, con una sola voce, un solo ritmo, un solo suono.

Francia

I sogni non hanno titoli e, in effetti, perché mai dovrebbero? Si chiama così la mostra di Zineb Sedira, la prima artista di discendenza algerina a rappresentare la Francia alla Biennale. La sua installazione racconta la sua esperienza di bambina, figlia di immigrati della working class e della sua personalissima resistenza creativa al razzismo, con tutto l’amore possibile.

E davvero ci accompagna nel suo sogno, dove ci sentiamo comparse all’interno del set, tra cinema e realtà, per poi sederci in una sala cinematografica in cui la storia del passato coloniale della Francia e dell’Algeria si intrecciano con la sua storia personale, il suo amore per la danza, la musica e il cinema. E finisce con un close up pieno di una gioia che ti resta dentro, Sedira balla e la sua immagine si staglia sopra un fondale giallo sole.

Nuova Zelanda

Sono una rilettura delle tele in cui Paul Gauguin raffigurava le donne tahitiane, ma le fotografie performative di Yuki Kihara, di una bellezza magnetica, sono ambientate alle isole di Samoa e ritraggono il mondo alternativo e queer della comunità di fa’afafine (in samoano, è il terzo genere) di cui l’artista fa parte. Il suo Paradise Camp condensa storie di invasione e pregiudizio messe in scena con un intenso umorismo, che ti spiazza e ti fa pensare.

Usa

Lasciano senza fiato le sculture giganti di Simone Leigh, che prendono le forme dall’architettura vernacolare e dal corpo femminile per parlare della costruzione della soggettività femminile nera, nel corso della storia.

E puntano alla Sovranità, il titolo della mostra, perché essere sovrani vuol dire non essere soggetti all’autorità, ai desideri e allo sguardo invasivo degli altri, ma essere autori della propria storia.

Quella dei suoi corpi femminili, monumentali presenze, si manifesta in tutta la sua potenza e bellezza, e trasmette forza a chiunque le guardi.

Argentina

Sono storie distopiche popolate da personaggi fantastici quelle di Mónica Heller. Nei suoi video, simili a lunghe immagini gif animate, ci si imbatte in una umanoide che si allatta al seno da sola e in un cagnolino robotico che scodinzola. Per arrivare a un simpatico piccione impegnato in un lungo e ironico monologo sull’orgoglio dell’essere volatile, in cui racconta in prima persona di come gli esseri umani calpestino i diritti degli animali.

The importance of the Origin will be Imported by the Origin of Substance è una satira sociale spiazzante, un bello scossone che arriva dritto addosso non appena si entra nel padiglione. Ci fa pensare a quanto sia limitato il nostro immaginario e a quanto sia precaria la nostra centralità nel paradigma della civilizzazione.

Kosovo

Sovverte lo stereotipo, la lente che filtra i nostri pensieri e li dirotta su scenari di guerra non appena sentiamo dire “Kosovo”. The monumentality of the everyday di Jakup Ferri è una grande installazione site-specific di dipinti, ricami e tappeti coloratissimi che inneggiano alla gioia, all’arte popolare e alle sotto culture, disegni surreali che rappresentano scene di vita quotidiana tra bambini, acrobati, animali e architetture utopiche.

Affiancati da tappeti astratti (ispirati ai disegni del figlio Jip Ferri), che l’artista ha tessuto a mano insieme alle donne dell’Albania e del Kossovo. Un’opera corale e potentissima, per costruire identità e comunità.

Malta

Si entra in una stanza enorme e semi buia, subito lo sguardo corre verso l’alto perché dal soffitto cadono gocce arancioni di acciaio fuso che fendono l’oscurità dell’ambiente, come meteore luminose nel cielo notturno. Sette vasche di acqua fermano la loro corsa verso il basso e le spengono definitivamente.

L’artista italiano Arcangelo Sassolino, sotto il titolo di Diplomazija astuta, reinterpreta La decollazione di San Giovanni Battista, il capolavoro di Caravaggio custodito nella Concattedrale di Valletta con una meraviglia tecnologica, che usa il principio dell’induzione per trasformare in liquido quasi duecento chili di acciaio al giorno.

E noi restiamo con gli occhi sbarrati, partecipi della brutalità della scena raccontata nel dipinto barocco, immersi in quella stessa luce drammatica delle tele di Caravaggio. Suggestioni potenti amplificate dalla musica percussiva creata dal compositore maltese Brian Schembri e dall’incisione di Giuseppe Schembri Bonaci, che con un antico cifrario scolpito (per noi indecifrabile) sembra ammonirci, il sapere non è alla nostra portata.

Il padiglione Italia

La ricerca del silenzio. Richiesto ai visitatori prima di entrare nel padiglione, ricordato all’interno dell’installazione da più cartelli. Tutto ci dice che abbiamo bisogno di fermarci e pensare, ancora prima di entrare all’interno del percorso espositivo di Storia della Notte e Destino delle Comete, ideato dall’artista Gian Maria Tosatti e curato da Eugenio Viola.

Si passa da una struttura industriale dismessa a un ambiente con vecchi macchinari in disuso, presenze incombenti e alienanti di una produttività esasperante e aggressiva, per poi passare all’interno di un ambiente domestico disabitato, con reti di letti abbandonati, senza materasso, un altro ambiente disumano, senza alcuna presenza.

Si arriva poi a una tessitura, in cui i tavoli con le macchine da cucire sono disposti in file razionali all’interno di quella che un giorno è stata una sartoria, ma oggi è solo un ennesimo ambiente inanimato.

Il climax arriva nell’ultimo ambiente, immerso nel buio, una stanza inondata di acqua di mare, che si percorre attraverso una passerella che ricorda quelle di Venezia.

In fondo, nell’oscurità, lampeggiano i piccoli bagliori delle lucciole, che citano l’editoriale in cui Pasolini avrebbe dato “tutta la Montedison per una lucciola” e un omaggio a Dante e alle sue stelle, che si potevano tornare a vedere. Sono loro la speranza che arriva a illuminare il buio della nostra quotidianità.

Cover photo: Cecilia Vicuna, Mrinalini Mukherjee © p. Ela Bialkowska OKNO studio