Siamo a Bologna, dentro alle Serre dei Giardini Margherita e adiacenti agli spazi rigenerati dall’incubatore Kilowatt. Qui ha aperto le porte Serra madre, centro di produzione culturale coltivato con l’ambizione di generare scambi e immaginari per futuri più sostenibili.
Serra madre è un’oasi che mette in dialogo arte, scienza ed ecologia attraverso attività di formazione, performance, installazioni e public program.
Come nasce Serra madre?
Tutto nasce dall’esperienza delle Serre dei Giardini, hub rigenerato sorto nei 650 metri quadrati riqualificati delle ex serre comunali nei Giardini Margherita di Bologna.
È qui che l’incubatore di idee Kilowatt coltiva da anni una rete di imprese, professionisti e associazioni allo scopo di promuovere impatto sociale e ambientale.
Con la messa a bando dal Comune di Bologna di nuovi spazi, Kilowatt ha colto l’opportunità di ampliarsi e sviluppare il filone dedicato alla natura.
“Da oltre 15 anni - racconta Nicoletta Tranquillo, direttrice artistica di Serra madre - mi occupo di progetti sull’adattamento e la mitigazione del cambiamento climatico.
Ho vissuto tutto il passaggio: da quando nessuno parlava di crisi climatica a ora che ne parlano tutti. E osservando questo cambiamento mi sono resa conto che siamo passati da provare a capire un problema complesso a provare a metterci una pezza, ma senza mettere più in discussione il problema.
A Serra madre è molto chiaro cosa mettere in discussione: il sistema capitalista e l’idea che il progresso e il benessere siano legati al possedere e consumare. Soprattutto nei riguardi della natura che deve smettere di essere una risorsa da usare ed essere invece un insieme di elementi viventi con cui entrare in dialogo. Per questo vorrei parlare invece di ‘transizione ecologica’ di ‘trasformazione ecologica’.”
La filosofia di Serra madre
Il progetto nasce quindi da un gruppo che da molti anni si interroga sul sistema culturale italiano e sui nuovi modelli di spazi rigenerati. La filosofia di Serra madre usa i linguaggi artistici e creativi come driver per stimolare nuovi modi di vivere e percepire il presente combinandoli con uno sguardo aperto a immaginare nuovi modi di abitare il mondo.
In questa direzione e legandosi alla storia degli spazi abbandonati, l’arte è messa in dialogo con natura, tecnologia e scienza per stimolare domande ed esperimenti in risposta alla crisi ecologica e sociopolitica a cui assistiamo.
L’idea di Nicoletta Tranquillo e della squdra di lavoro che si prende cura del progetto è che “i centri culturali abbiano un ruolo attivo nella trasformazione culturale di una comunità e sono luoghi fondamentali per sperimentare presenti alternativi.”
Un’architettura sostenibile
Una filosofia che si esprime in ogni aspetto: dalle proposte in programma alle scelte vegetariane del bar, dalle coltivazioni degli orti fino alle scelte architettoniche innovative.
La struttura stessa - nata grazie a un progetto di rigenerazione firmato dallo studio di architettura Laprimastanza (composto da Davide Agostini, Matteo Battistini e Francesco Ceccarelli) - è dotata di un sistema di compensazione delle emissioni di CO2, sviluppato da Aquaponic Design, che opera attraverso un impianto di coltivazione di alghe immerse in acque meteoriche recuperate, grazie al quale sarà in grado di assorbire fino a 27 tonnellate di CO2 all'anno.
Anche il verde non è un elemento decorativo bensì parte integrante dell’approccio rigenerativo e pensato come strumento per contrastare il cambiamento climatico: sono infatti state selezionate piante a crescita rapida che assicurano un significativo assorbimento di CO2, generando un impatto positivo anche a livello cittadino.
Sono in corso progetti per sperimentare una coabitazione con gli elementi selvatici: “Insieme all’artista Luca Boffi stiamo sperimentando un lavoro basato sull’osservazione di cosa la natura crea in spazi che non abbiamo bonificato e guidando il pubblico in un percorso relazionale e partecipativo che vuole favorire pratiche di cura e di connessione con la terra" sottolinea Nicoletta Tranquillo.
"Per noi rimane fondamentale mettere in discussione le gerarchie e riflettere su come possiamo sperimentare dei modi che mettano in crisi il potere dell’uomo sopra altri esseri viventi e imparare invece a coltivare ambienti dove anche la natura possa sedere in un’immaginario tavolo decisionale.”
Ciò che osserveremo a Serra madre è una filosofia che diventa pratica, offrendo esempi tangibili e stimolando riflessioni su come possiamo preservare le risorse ambientali invece di consumarne di nuove.
Un progetto che mette in discussione il come si progetta
Serra madre ha aperto le porte a settembre con un programma ricco di sperimentazioni. Per focalizzare gli immaginari è intervenuto Tim Ingold, professore di Antropologia Sociale dell’Università di Aberdeen, invitando il pubblico ad andare in cerca di una nuova definizione delle relazioni e dell’interdipendeza tra animali umani e non umani, mondi vegetali, cielo, rocce e materie (riflessioni raccolte anche in uno dei suoi libri più noti Making). Ora proseguirà con una programmazione porosa e aperta a cogliere istanze e proposte.
“Mi immagino Serra madre come un organismo vivo. - racconta Nicoletta Tranquillo - Il programma di attività prosegue ma non voglio pianificare tutto perché penso che debba evolvere stando in connessione con quello che succede intorno.
Ho in mente un’immaginario di cosa vorrei che diventasse il progetto ma voglio lasciare anche un po' di spazio ad abbracciare l'imprevisto. Sicuramente vorrei che fosse un luogo che abiliti persone e collettivi a proporre esperimenti che sembrano impossibili da realizzare. Sostenibilità significa anche aprire le porte della percezione - questa è una delle grandi lezioni di Tim Ingold - e quindi seguire le strade che arrivano, allenare l'intuito, individuare persone portatrici di qualcosa di importante. Alcune cose stanno accadendo, altre sono ancora da scoprire.”
Serra madre quindi è un luogo da frequentare, in cui tornare e prendersi del tempo. Un progetto dove poter scrivere una nuova definizione di cura: perchè chiunque decida di abitarlo sarà anche un po’ responsabile di alimentarne la creatività e di seminarlo in nuove direzioni.
Un’occasione di mettere in discussione gerarchie di potere, abitudini di consumo e immaginare - tutti insieme - nuovi modi di coabitare e produrre per superare le disuguaglianze, in primo luogo quella umano-natura.