ArtNoble Gallery presenta, presso la sede di via Ponte di Legno 9 a Milano, la personale dell’artista torinese che comprende un’antologia di lavori d'archivio e nuovi inediti. Dal 25 maggio al 28 luglio

La fisica quantistica ha mostrato, nel recente passato, l'immagine di una realtà fluida, unitaria, in cui mente e materia formano un insieme inscindibile. Ma l'antica modalità umana di pensare e percepire mostra ancora una realtà frammentata, un mondo diviso, un mondo in cui ogni essere umano è separato da sé, dagli altri esseri umani, da tutte le altre forme di vita, dal resto della natura. In Frammentazione e unità, ispirato al titolo del capitolo iniziale dello storico volume di David Bohm, “Universo. Mente. Materia”, nella mostra presso ArtNoble Gallery Selvestrel esplora il contrasto tra mondo naturale e mondo umano.

Frammentazioni e confini

Fin dalla nascita, le persone si trovano a vivere in una società dove tutto parla di frammentazioni e confini: il mondo è suddiviso in nazioni, regioni, città e paesi, lingue, culture, codici. Le città sono agglomerati di abitazioni dove i muri creano confini tra un nucleo famigliare e l’altro, tra un essere umano e l’altro. Scienza, arte e professioni si stanno orientando verso un sapere sempre più settoriale e specialistico: l’architettura è un linguaggio che evidenzia il fenomeno di frammentazione che coinvolge questa epoca storica. L’opera architettonica ha ormai abituato all’idea di confine, costringe ad attraversare cancelli, aprire porte, muoversi tra muri ed edifici, rapportarsi con spazi privati e pubblici. Solo quando il pensiero sarà in grado di cogliere la fondamentale unità di tutto l'universo, l'umanità sarà in grado di compiere un salto di civiltà, un salto evolutivo.

Realtà visibile e immaginata

Piemontese, classe 1996, Alberto Selvestrel, parte da questi presupposti e concentra la propria ricerca fotografica sul paesaggio antropico e le sue modificazioni, attraverso composizioni geometriche e minimali. L’artista condensa il massimo della sua espressione concettuale nel minimo della forma, elaborando fotografie che stabiliscono un legame tra la realtà del paesaggio e quella da lui immaginata. Esplorando il concetto di paesaggio in modo nostalgico, le opere di Selvestrel affascinano per la chiarezza dei contenuti e un atteggiamento intransigente nei confronti dell’arte concettuale e minimale.

Il ruolo della fotografia

Proseguendo nella sua ricerca, Selvestrel sottolinea come: “Ci siamo abituati a concepire il mondo come un insieme organico di parti separate che svolgono funzioni differenti come in un qualsiasi corpo meccanico. Anche la fotografia, come ogni linguaggio, pone l’attenzione sul particolare, evidenziandolo e strappandolo dal suo contesto. Questo processo di frammentazione rivela allo spettatore una visione alterata del mondo in quanto ne offre un punto di vista soggettivo. La fotografia quindi si presta molto bene per evidenziare il fenomeno di frammentazione cosi radicato nel nostro tempo”. Occorre, secondo l'artista, superare questa visione alterata, riportando la fotografia alla sua caratteristica fondamentale, l'universale, senza il quale la fotografia stessa non esisterebbe.

Artificiale e naturale

Le fotografie esposte nella prima parte della mostra, si compongono di spigoli di muri che stratificano il paesaggio e costanti rimandi al mondo naturale attraverso scorci di mare e cielo. Le singole parti di ogni opera si comportano come tessere di un mosaico che componendosi restituiscono l’immagine di un mondo dove architettura e natura ricercano una sintesi e una profonda unione. In contrasto, nella seconda parte, le fotografie si muovono in una diversa direzione. La riflessione si sposta sul mondo naturale e il suo comportamento. In natura, nulla se preso singolarmente è autosufficiente poiché ciascun elemento è connesso a tutti gli altri. Osservando con cura il mondo naturale è possibile intuire una connessione che nasce dal profondo, che permea ogni cosa ed è fautrice dei mutamenti che percepiamo. È proprio attraverso quest’interconnessione che l’intera esistenza trova il suo significato.

Una percezione infinita

William Blake in “Il matrimonio del cielo e dell’inferno” scrive: “Se si aprissero le porte della percezione, ogni cosa apparirebbe all’uomo come essa veramente è, infinita. Poiché l’uomo s’è da se stesso rinchiuso, fino a non vedere più le cose che attraverso alle strette fenditure della sua caverna”. Da questa suggestione trae ispirazione la parte finale della mostra: qui fotografie di grotte marine sembrano aprire le porte verso un mondo dove nulla è composto da parti ma tutto è permeato da un’unica luce. L’uomo contemporaneo si trova a metà tra un mondo artificiale che parla di frammentazione e un mondo naturale che parla di unità. Ed è proprio nel giusto rapporto tra queste due dimensioni che potremo trovare un equilibrio nell’esistere.