Ad ArtiJanus/ArtiJanas, il progetto che stimola le realtà artigianali della Sardegna, Antonio Marras e Stefano Boeri parlano di moda, architettura e musica leggera. Anzi, leggerissima

Antonio Marras e Stefano Boeri sono entrambi profondamente legati alla Sardegna, e ad Alghero si sono ritrovati in dialogo in occasione di ArtiJanus/ArtiJanas (AJU/AJA), il progetto culturale sperimentale nato in accordo tra Fondazione di Sardegna e Fondazione Triennale Milano per stimolare le realtà produttive locali che operano nei settori dell’artigianato.

Arrivare alla comune radice creativa di Antonio Marras e Stefano Boeri, è un esercizio di logica che insegna a dribblare tra i ricordi dei piani sequenza dei film di Luchino Visconti — uno in particolare, ‘Gruppo di famiglia in un interno’, amato dallo stilista — e di Nanni Moretti — Bianca, tra i preferiti dall’architetto per via della colonna sonora… — e la malinconia evocata da certe canzoni italiane: irrinunciabili gli affondi nei testi di Iva Zanicchi e Caterina Caselli che hanno segnato il secolo breve.

Sacro e profano, insomma: un cortocircuito che catapulta di botto fashion e urbanistica nell’’habitare’. Perché habitus e habitat hanno la stessa origine: abitiamo l’abito tanto quanto l’architettura. Meglio se in Sardegna.

La conversazione tra i due autori protagonisti sulla scena progettuale del contemporaneo, riparte da qui per ibridare l’immaginazione. E nutrire il craft di possibili e divertentissime contaminazioni.

Abiti come architetture o architetture come abiti. Parliamone

“Nella moda come nell’architettura, quando progetti, non puoi non immaginare quali storie abiteranno lo spazio che stai disegnando”, riflette Boeri. “Le storie sono l’anima che trasforma le dimensioni in luogo: se non ci pensi, sbagli”, vero è se ci caliamo nei panni di un novello Barone Rampante che si accomoda tra il verde del Bosco Verticale.

“L’architettura è un vestito cucito addosso a una figura precisa, che non possiamo non immaginare. Se progetti in modo generico, pensando che lo spazio sia ‘per tutti’, è sempre un disastro. Mancando di punti di riferimento, la pianta si irrigidisce e si fa meno flessibile”, succede anche quando scrivi: se non focalizzi, il racconto non arriva.

“La Triennale di Milano è un esempio di habitat riuscito perché è stata pensata in modo preciso: disegnata cent’anni fa è ancora contemporanea e nel tempo ha mantenuto il suo carattere”. Un edificio iconico, che non ha mai perso il suo fascino ‘abitativo’, come certi capi sartoriali che emozionano Marras.

“Nel mondo della moda sono tre le figure che hanno giocato con il binomio abito/architettura in maniera unica: Gianfranco Ferrè, Roberto Capucci e l’indimenticabile Cinzia Ruggero, che ha cucito capi di alta sartoria come intimi rifugi. Il suo mondo ruotava attorno al tessuto che diventava un tutt’uno con il corpo delle silhouette per dialogare con chi lo guardava.

È così che il semplice gesto di indossare si faceva forma di esperienza”, come solo il valore del fatto a mano sa restituire.

In principio ci sono ordine e caos

Entrambi i protagonisti dell’incontro, condotto ad Alghero in occasione di ArtiJanus/ArtiJanas dalla giornalista di RaiCultura Chiara Buratti, hanno svelato quanto le vite di entrambi siano fortemente radicate alla terra di Sardegna. E quanto i loro habitus e habitat nascano da pensieri diversi e diversamente solitari.

Ci si chiede dunque, sempre sulle note delle canzoncine di cui sopra, se il processo creativo per Antonio Marras e Stefano Boeri sia davvero un momento di tormento, sofferenza e frattura o piuttosto un happening di condivisione collettiva che improvvisamente esplode per portare a compimento l’idea.

A ben guardare schizzi e progetti di entrambi, l’immagine malinconica e bohémien del creativo che disegna in solitudine schiacciato dal peso dei propri sogni sembra più frutto di un cliché che sotto il peso dell’attivismo-da-collettivo perde di romanticismo.

La creatività non è mai un fatto individuale, anche se non voglio nascondere che c’è una dimensione di solitudine creativa, che è sempre necessaria”, afferma con piglio ordinato Boeri, “il modo in cui declini la tua capacità di creare progetti, nasce dalla possibilità che ti dai di entrare in relazione con gli altri.

Il modo in cui lavori, scegli le persone che collaborano con te e accogli idee anche lontane dalle tue convinzioni: ecco questa contaminazione è un altro aspetto fondamentale della creatività. Almeno per me”. L’altro possibile riferimento sono le ossessioni, “per me grandi risorse: le vedo, le accetto e le governo evitando che regrediscano in manie”. Come a dire che dimensione intima non esclude quella collettiva.

“Io sono un rigattiere, un artigiano, un uomo ‘di grandi lagune”, confida Marras, sorridendo con noi. Lui che vive fuori dal tempo per trasmetterci a ogni sfilata l’emozione dei suoi attimi di solitudine.

“Sono un minimalista che si sporca strada facendo”, che disegna per dare forma all’urgenza di fare, di pasticciare, di riempire spazi: tutto inizia con l’accumulo, di oggetti, stracci, appunti di giornale che di solito accosto a tessuti che proprio non mi piacciono.

E lascio che mi parlino, mi svelino la loro storia”, in un flusso di coscienza continua che solo apparentemente complica tutto ciò che è semplicissimo.

L’isolitudine come guida del processo creativo

Ascoltare, tradurre e restituire, se stessi agli altri. “Vivere su un’isola vuol dire capire che il mare è una strada per sconfinare, andare altrove. E vuol dire assecondare l’Ulisse che c’è in noi: spingersi, esplorare e arrivare ‘in Continente’”, per poi tornare. “Ecco, l’isolitudine è la voglia di andare restando. E questo dovrebbe essere un modo diffuso e condiviso non solo qui, in questa città di mare che per sua natura accoglie, ma dovrebbe essere un modello diffuso in tutto il mar Mediterraneo, che invece sta diventando un cimitero”.

Perché il mare è oggi un habitat di sofferenza, che non protegge più: è lì che si spegne la speranza. Ed è li che dovremo tornare a progettare, avendo ben presente che ogni epoca salpa un nuovo Ulisse.

La sarditudine di Boeri vede il mare dalla terra per restituircela come un’affettuosa ricognizione lungo le coste. “Quando ho disegnato l’ex arsenale de La Maddalena mi sono molto interrogato sul mio legame con questa terra e forse il punto di contatto l’ho trovato nell’idea di ‘architettura dell’arcipelago’, e in particolar modo nel tema dell’architettura militare.

Può sembrare strano, ma quella militare qui è presente ovunque: fortini, presidi, trincee, muri sono costruzioni interessanti perché permettono una visione sul paesaggio, ma contemporaneamente sono mimetiche.

Non si mostrano per permettere a chi le vive di vedere tutto. E questa è stata una suggestione sulla quale ho lavorato molto ed è forse il modo in cui ho cercato di interpretare il mio rapporto con questa terra”. Quindi attenzione, perché l’habitus, quanto l’habitat ‘non fa il monaco’. E non si poteva chiudere diversamente.