di Valentina Croci

puntano sulla rete e l’università

Natevo rappresenta per Flou una sfida imprenditoriale sia a livello tipologico che di strategia di business. L’idea degli arredi luminosi nasce dal letto Essentia di ThesiaProgetti, arrivato in azienda via internet. La possibilità di sostituire l’illuminazione tradizionale, da un lato, e l’uso della logica collaborativa e di servizio della rete, dall’altro, ha scatenato una visione imprenditoriale che unisce un progetto di ricerca con le università, una nuova idea di punto vendita e una logica di ‘pre-acquisto’ online a cui segue una produzione più sostenibile. Minimo comune denominatore: l’ecologia nell’uso delle risorse energetiche e umane. “La collezione di arredi luminosi” spiega Massimiliano Messina, presidente di Flou “può sostituire l’illuminazione tradizionale con risparmi tangibili sia su fabbricati di nuova costruzione sia su edifici esistenti. Questo implica che si inizi a progettare il prodotto insieme all’ambiente e che si cambi anche l’approccio di vendita. La collezione Natevo è distribuita via internet e nei Natevo Lab, che più che essere negozi sono centri di consulenza ai progettisti, in contatto diretto con il centro ricerche Flou e con le università. Stiamo realizzando progetti di ricerca con la Facoltà di architettura di Genova e la Seconda Università di Napoli (presto anche la Facoltà di architettura di Catania e il Politecnico di Milano), diffondendo la cultura della luce sul territorio. Sono in sviluppo anche Model Apartment che mostrano come oggetti illuminanti possano sostituire l’illuminazione tradizionale: c’è un intero mondo da esplorare, dal contract al ‘retrofit’ delle ristrutturazioni. Vogliamo allargare la platea dei progettisti a chiunque voglia candidarsi e approfittare della dimensione ‘social’ della rete anche nella produzione. Oggi realizziamo solo quegli oggetti che raggiungono il numero minimo della pre-serie online, limitando così gli sprechi e testando l’apprezzamento del pubblico”. debuttano nel design

Quattro designer, Paolo Ulian e Lorenzo Damiani con un approccio più poetico, Delineo Design ed Enrico Azzimonti con una visione più sperimentale, sono stati chiamati a realizzare una collezione di lampade per il ‘debutto in società’ del marchio Zava. L’idea nasce da Francesco Zavarise, titolare dell’azienda di famiglia specializzata nella lavorazione dei metalli per l’industria del design. Appassionato di lampade, che lui stesso ama disegnare, Zavarise ha deciso di dare vita a una propria collezione d’arredo e di iniziare con una serie di elementi d’illuminazione. Caratteristica comune: il metallo come protagonista, lavorato tutto internamente e trasformato in prodotti dai prezzi accessibili. Zava realizza tagli laser, lavorazioni di piegatura e tornitura in uno stabilimento produttivo autosufficiente a livello termico, privo di sostanze tossiche in lavorazione e attento alla qualità del lavoro. “Siamo partiti dalle lampade perché è il settore in cui Zava è più conosciuta e perché è una tipologia che consente di esprimere le potenzialità del metallo”, racconta Massimo Rosati, art director di Zava. “Nel 2014 vogliamo allargare la collezione anche agli arredi e ai complementi e sviluppare una linea contract rivolta soprattutto all’estero. Gestendo tutte lavorazioni internamente, possiamo applicare prezzi contenuti e trovare quel giusto compromesso tra risultato estetico e costi sostenibili di produzione. Vogliamo anche dare spazio ai giovani progettisti: con una selezione a invito, dal prossimo ottobre organizzeremo workshop finalizzati alla formazione e alla progettazione di nuove collezioni da presentare già il prossimo aprile al Salone” credono nella poesia della materia

Atanor è il crogiolo arcaico nel quale gli alchimisti sperimentavano la materia per trasformarla. Con questa idea di contaminazione nasce l’omonimo marchio all’interno della Merotto Milani, azienda trevigiana che dal 1970 opera nel settore contract e privato. Atanor ha lanciato la sua prima collezione di sedute e complementi di arredo in legno massiccio proveniente da luoghi di rimboschimento. L’insieme dei prodotti, caratterizzati da giunti, incastri, perni, tiranti e forme semplici, vuole evidenziare l’artigianalità e la mano dell’uomo. Sotto la direzione creativa di Tobia Scarpa, hanno contribuito al marchio una nutrita rosa di progettisti, tra cui Luciano Benetton, Guido Guerzoni, Ciro Cacchione, Piero Lissoni, Matteo Thun e Enrique Cordeyro. “L’idea alla base è quella di proporre prodotti che pongano in relazione la sensibilità di chi acquista con la storia dell’oggetto e lo spirito di chi l’ha immaginato”, precisa Adriano Sordi, titolare di Merotto Milani. “È credere, di fondo, nella capacità critica del cliente, proponendo una collezione di oggetti diversi tra loro ma associati da un racconto che induce a un acquisto più consapevole. Oggetti immaginati con passione e realizzati con cura e delicatezza. Il loro carattere rispecchia quello dei loro interpreti, i quali propongono attraverso un percorso prodotti semplici, utili, diretti e rivisti da artigiani con idee e tecnologie moderne. Atanor vuole essere una ‘petit poésie de la matière’, perseguendo una logica coerente alla filosofia del progetto”. sperimentano nuovi linguaggi

Re Made in Fiam nasce per festeggiare il quarantesimo dell’azienda marchigiana. Ma è altro dal solito progetto di comunicazione: è una strategia che mette alla prova giovani progettisti sul tema della riciclabilità del vetro e che ricerca interpretazioni a più voci della stessa materia da mettere a catalogo. Cinque designer italiani (Paolo Cappello, Nicola De Ponti, Roberto Giacomucci, Alessandra Pasetti e Donata Paruccini) hanno realizzato prototipi a partire dagli sfridi di lavorazione del tavolo Ragno, disegnato da Vittorio Livi e realizzato con una lastra curvata di 2×3 m da 15mm di spessore. Tre di essi, Butterfly, Ovidio e Ceralacca andranno a catalogo. “Vogliamo fare di Re Made in Fiam” spiega Daniele Livi, chief product manager di Fiam “un progetto biennale partendo da altri sfridi di prodotto per ipotizzare nuove economie di scala nell’ecosistema della produzione. I designer sono venuti in azienda per capire i processi produttivi: Fiam è rimasta l’unica ad averli in casa, mentre molti assemblano il vetro curvato proveniente da dove costa di meno. Re Made non è una produzione limitata, ma un progetto di ricerca che vuole unire la poesia alla vendita e la narrazione alla concretezza ripagando il tempo e il lavoro di tutti. Il target di mercato dei suoi prodotti è medio-alto: Ceralacca e Ovidio, realizzati in vetro saldato, andranno nel catalogo di Liv’it che è entry level, mentre Butterfly, che è in vetro curvato, in quello di Fiam. Alcuni dei prototipi hanno coniugato al vetro materiali quali cemento grezzo, raso e faggio al naturale con un’estetica che si collega alla suggestione del tavolo Macramé, aiutando a rinnovare i linguaggi dell’azienda. Il prossimo Re Made avrà altri designer, non ancora ‘contaminati’ dal mondo Fiam”. razionalizzano risorse e prodotti

Dai cinque marchi di Firme di Vetro, contraddistinti da caratteri e perfino organizzazioni societarie separate, a un brand unico che ha razionalizzato risorse e prodotti senza rompere con la storia aziendale nel vetro. Questa l’operazione del Gruppo Leucos sotto la guida del nuovo amministratore delegato Gherardo Flaccomio. “Abbiamo realizzato tre cataloghi con la stessa anima, come suggeriscono le tre linee del nuovo logo: Studio, con una visione più architetturale e anche materiali alternativi al vetro; Idea, che ha selezionato prodotti di gusto più contemporaneo dai cataloghi di FDV; e Modo, con pezzi dal classico contemporaneo che rivisita il veneziano artistico. L’operazione è stata coraggiosa e finalizzata a far emergere un’identità di marchio. Si è scelto di mantenere il nome Leucos perché era il brand più conosciuto”, spiega Flaccomio. “Il 45% del nostro mercato è nazionale ed è una fetta da presidiare, supportata dalla storia aziendale, il radicamento nel territorio e il saper fare veneziano. In Italia c’è ancora possibilità per visioni solide, il mercato dell’illuminazione nazionale è ancora uno dei primi in Europa. E si può rubare spazio a quei competitor che hanno fatto leva su operazioni finanziarie non fondate sull’economia reale. Tuttavia, il Gruppo è orientato all’export: siamo già posizionati in Russia e USA ma puntiamo anche ai mercati emergenti. Il vetro ha molte potenzialità nel mondo del contract che oggi è attestato al 30% e che vogliamo portare al 50%. Pensiamo al settore dell’hôtellerie, nel quale i sistemi in vetro classico-rivisitato della linea Modo sono molto apprezzati”. completano, con l’outdoor, il total living

Più che un debutto nell’outdoor quello di Minotti è un progressivo completamento dell’offerta di arredo per la casa. La declinazione dello ‘stile Minotti’ a 360° nell’abitare. Il percorso nell’outdoor inizia con la versione per esterni di pezzi iconici quali la sedia Cortina, il tavolo Claydon e i tavolini Bellagio e Cesar. Vi si aggiungono il divano Alison e la poltrona Warhol, nati già con una vocazione in e outdoor, data la struttura in legno di iroko. Ma la prima collezione pensata per esterni è Lifescape, integrata al Salone del mobile 2013 con la serie Le Parc. “Non abbiamo pensato espressamente a un nuovo mercato”, spiega Roberto Minotti, contitolare di Minotti, “tuttavia il nostro network di 28 monobrand store nel mondo sta già mostrando un grande investimento sull’outdoor. Vogliamo trasmettere eleganza, intimità e comfort a partire dall’interno della casa per arrivare al giardino e al terrazzo, riflettendo la medesima raffinatezza e continuità di stile. La vocazione dell’azienda a produrre arredi di qualità e fatti per durare si esprime nella collezione outdoor con la scelta di materiali di pregio, che resistono all’usura del tempo e agli agenti atmosferici. Pertanto c’è un grande investimento in ricerca e sviluppo. La serie Le Parc è stata molto apprezzata per il gusto retrò rivisitato in chiave contemporanea e la versatilità della famiglia. Leitmotiv della collezione sono le sinuose strutture in ferro con motivo a crociera e un decoro geometrico della lamiera traforata al laser. È un made in Italy che traduce l’intuizione e la creatività in forme e oggetti che coniugano tradizione e innovazione. Nel segno del saper fare tipicamente italiano tanto apprezzato all’estero, che per Minotti rappresenta oltre l’85% del fatturato in oltre 60 Paesi”. si rinnovano nel segno della continuità

In casa Driade c’è stato un passaggio di testimone. Che non intacca, però, il senso e la qualità della ricerca dell’azienda creata da Enrico Astori nel 1968 verso linguaggi diversi e l’interdisciplinarietà riflessa nel design. “L’ingresso di Italian Creation Group, ancorché maggioritario, è avvenuto in grande simbiosi con i fondatori”, spiega Stefano Core, nuovo presidente di Driade. “In termini di caratterizzazione del marchio intendiamo lavorare in continuità, rafforzando ulteriormente il posizionamento verso l’alto di gamma anche con interventi sul portafoglio prodotti e sulla comunicazione. E con un management fortemente orientato ai mercati internazionali”. Nel segno della continuità anche il modello logistico e produttivo quasi totalmente in outsourcing: “Stiamo già realizzando una ri-localizzazione in Italia di alcune produzioni, al fine di rendere più efficiente la logistica e aumentare i livelli di servizio al cliente, così da rafforzare l’attributo di made in Italy del marchio e, non ultimo, riscoprire un indotto italiano che, soprattutto in questo momento, ha bisogno di un’iniezione di fiducia imprenditoriale. In sintesi, vorremmo fare meno delocalizzazioni e più internazionalizzazione, puntando sulla capacità unica degli italiani di unire abilità creative ad abilità manifatturiere con materiali di alta qualità”. Si mantiene anche l’idea di laboratorio estetico: “Driade è riuscita a far convivere designer molto diversi e unici, tali da rendere il marchio eclettico, trasversale e capace di integrarsi nelle diverse culture spaziando dal minimalismo al neo barocco. È un punto di forza anche per l’internazionalizzazione che richiede una sempre maggiore massa critica imprenditoriale”. intercettano culture diverse

Il viaggio, le colonie inglesi, la ricerca di nuovi mondi sono le idee che hanno ispirato Ivory Collection, marchio nato dall’art direction di Gian Paolo Venier con un gruppo di aziende artigianali del nordest che negli anni hanno realizzato progetti custom per lo studio di progettazione dello stesso Venier. “Si tratta di artigianato evoluto in piccola serie, volto a creare oggetti che durino nel tempo e che dialoghino tra di loro”, spiega Venier. “I materiali sono lavorati in modo originale. Per esempio, la solid surface non è letta solo come foglio sottile ma anche incisa nello spessore quasi fosse pietra e abbinata in modo inedito a pelle, metallo e legno”. Le aziende coinvolte svolgono un ruolo primario nella ricerca su materiali e lavorazioni, in un rapporto biunivoco con il team di progetto (Adriano Riosa, Fabio e Adriano Marzan). “Ci sono due filiere di produzione: una per prodotti non standardizzabili e un’altra per i prodotti più seriali a catalogo, ma ciascun progetto è sviluppato singolarmente in funzione di problematiche specifiche”. I bauli sono stati tra gli oggetti più apprezzati della collezione: “perché evocativi e comuni all’immaginario collettivo. Identificano il senso di Ivory Collection e infatti ne sono in sviluppo altre declinazioni. Ci dedichiamo molto al linguaggio degli oggetti perché è un aspetto chiave per intercettare culture e formazioni estetiche diverse. Allo stesso modo, le suggestioni che i prodotti evocano sono fondamentali per comunicare il saper fare artigianale a loro sotteso. Inoltre, la collezione si rivolge a un pubblico che ha cultura, apprezza e capisce il lusso”. valorizzano la storia del design

È una sorta di incontro del destino, i fratelli Cassina e Dino Gavina sono stati amici e concorrenti, pionieri nella storia del design italiano con finalità di ricerca spesso affini. Il primo di luglio, Cassina ha acquisito il marchio Simon, avviandone una stagione di rilancio e integrazione all’interno delle logiche imprenditoriali del Gruppo Poltrona Frau. “L’acquisizione” spiega Gianluca Armento, direttore della brand division Cassina e Cappellini “è avvenuta anche per il personale interesse dell’amministratore delegato del Gruppo, innamorato del tavolo Doge di Carlo Scarpa. In ogni caso, l’affinità qualitativa dei prodotti Simon Collezione li rende adatti ai canali di vendita Cassina, che è una confederazione di aziende con uno spirito aggregativo. Il nuovo marchio sarà a se stante, abbiamo ereditato circa cinquanta prodotti e un archivio. Probabilmente qualcuno potrà entrare nella collezione I Maestri, ma il marchio è pensato per far parte della collezione I Contemporanei con una sua identità. Al momento stiamo operando in continuità rispetto alla realtà esistente, anche come forza vendita, ma stiamo già lanciando il marchio a livello internazionale grazie alla presenza di Cassina all’estero, dove conta l’80% del fatturato. Vogliamo comunicare il valore di Simon Collezione con un programma di mostre di respiro internazionale che raccontino la storia di Dino Gavina: un ‘capitano di industria’ che, come i fratelli Cassina, ha avuto un ruolo fondamentale nello sviluppo culturale del design italiano. Inoltre, così come abbiamo fatto con Le Corbusier o Rietveld, potremmo rieditare dei pezzi d’archivio o operare piccole variazioni a livello di finiture e dimensioni, in modo da tenere in vita il patrimonio storico di prodotti. Nel catalogo Simon di oggi ci sono tavoli iconici e laccature al poliestere che hanno resistito nel tempo. Ed è per questo che stiamo ripartendo dal lì”. propongono concretezza e coerenza

Legno massello lavorato magistralmente è trasformato in sedie dal design contemporaneo, ma non estremo, attraverso la creatività di Sergio Brioschi, Sebastian Herkner e Patricia Urquiola. Very Wood, marchio nato nel 2009 dall’azienda per il contract IFA, quest’anno ha mostrato appieno le sue potenzialità produttive. Merito, sottolinea Giovanni Gervasoni, presidente IFA e AD insieme al fratello Michele del Gruppo Gervasoni, del know-how ereditato già nell’acquisizione di IFA: “Le sedie mostrano le capacità produttive dell’azienda: in fabbrica regna un ordine e una pulizia da ‘sala operatoria’ con macchine avanzate e un’ottima organizzazione del lavoro. Con Sergio Bertossi, socio IFA e responsabile contract per tutto il Gruppo, quest’anno abbiamo puntato su nomi conosciuti internazionalmente e anche emergenti al fine di integrare il core business dell’azienda e affrontate il settore dell’hôtellerie con sedute in legno di cui viene gestita tutta la filiera, dall’approvvigionamento di materiali al prodotto finito. Tuttavia, nonostante Very Wood si posizioni solo nel contract, perché riteniamo sia la strada più interessante per questo tipo di prodotto, al Salone è stato percepito anche come un marchio retail e ciò ci fa ipotizzare questa possibilità per il futuro. Con i prodotti Very Wood vogliamo evidenziare concretezza, coerenza e flessibilità nella customizzazione, dalla piccola alla grande serie in tempi rapidi. Nonostante la piazza italiana rimanga importante per dimensioni e gusto, semplicità e vicinanza nella vendita, è il mercato europeo che conta il maggior fatturato (70%). Pertanto, Very Wood sta puntando fortemente anche sui mercati Usa e Far East”.