I riferimenti all’ambiente naturale sono da sempre presenti nella storia dell’abitare umano come tracce di una conquista. A questo desiderio antropologico di dominazione, il design risponde con diversi approcci, che vanno dall’atto ideologico al gesto poetico

Quello della natura è indubbiamente uno dei grandi temi dell’interior design: l’uomo cerca da sempre il suo modo di importare riferimenti al contesto naturale all’interno del suo habitat. Negli ultimi anni nel design si è fortemente affermata una tendenza speculativa nei confronti della natura, indagandola anche a livello molecolare, attraverso le strutture frattali, o biologico, con l’impiego di funghi e batteri come agenti di produzione di oggetti. Ma se quest’ultima è una direzione relativamente recente, decisamente più storicizzabile è il desiderio dell’uomo di segnare il suo territorio abitativo con prove della sua conquista sul mondo che lo circonda.

Antropologicamente, infatti, lo spazio dell’uomo è per definizione un ambiente sottratto alla violenza della natura, alle sue intemperie e pericoli, creando un riparo protetto che ha animato quel mito della capanna primitiva magnificamente analizzato da Joseph Rykwert nel suo celebre saggio La casa di Adamo in Paradiso (1972).

Al tempo stesso, immediatamente dopo la creazione di un rifugio sicuro, nasce la necessità dell’uomo di marcare il territorio domestico con arredi e oggetti che portano impresso il ricordo della natura quasi come testimonianza di un’avvenuta imposizione su di essa. Che si tratti di trofei o souvenir, i riferimenti alla natura esterna sono da sempre presenti nella storia dell’abitare umano come tracce di una conquista. Busti e pelli di animali sono il trionfo dell’uomo sulla natura come segno di una vittoria, avvenuta quando si combatteva (più o meno) ad armi pari.

Immediatamente dopo la creazione di un rifugio sicuro, nasce la necessità dell’uomo di marcare il territorio domestico con arredi e oggetti che portano impresso il ricordo della natura quasi come testimonianza di un’avvenuta imposizione su di essa"

Le stesse carte da parati e gli arazzi nascono per donare l’illusione di trovarsi all’esterno pur essendo in un ambiente confinato o, meglio, per dare il godimento estetico della natura circostante senza doverne subire i disagi fisici. E ancora, tutta la teoria dei giardini, a partire dal nostro celebre “giardino all’italiana”, è una forma di collezionismo botanico e quindi di natura regolamentata da un disegno artificiale, frutto della mente umana che coercizza l’andamento spontaneo della vegetazione.

Gilles Clément, grande teorico e studioso del giardino e del paesaggio, infatti afferma: “Il primo giardino è un recinto. Conviene proteggere il bene prezioso del giardino; la verdura, la frutta, e poi i fiori, gli animali, l’arte di vivere, quello che, col passare del tempo, continuerà a sembrarci il ‘meglio’” (G. Clément, “Breve storia del giardino”, Quodlibet, Macerata, 2012, p. 17).

In questa analisi, scegliere il meglio e preservarlo in un recinto separato dall’indistinto naturale diviene una forma di organizzazione cosmogonica, che va in parallelo con la creazione dell’universo simbolico della dimora stanziale dell’uomo. La natura che viene inclusa nella casa è pertanto un preciso riferimento, che può essere ascritto al bisogno di decorazione solo a patto che in esso si riconosca uno dei più primordiali e autentici istinti della coscienza umana.

Per ognuno di questi esercizi di addomesticamento della natura il design contemporaneo ha avuto la sua risposta. A partire dai progetti dei gruppi Radicals che, tra natura e artificio, hanno scelto di mostrare un aperto dilemma e contraddizione in termini. L’uso di materiali artificiali che riprendessero motivi e temi naturali quali pelli animali (vedi il divano Safari degli Archizoom) e riferimenti vegetali (la grande zolla d’erba del Pratone del Gruppo Strum) possono essere letti come un modo di affermare che non esiste nulla di più reale e spontaneo del bisogno dell’uomo di importare pezzi di natura nel suo ambiente domestico attraverso un atto selettivo e artificiale.

Decisamente meno intrisi di ideologia e maggiormente rivolti a una dimensione magica e poetica sono gli oggetti a reazione naturale di Tord Boontje. I suoi arredi richiamano spesso un elemento fitomorfo, ma anche qui la mediazione dell’appropriazione razionale è un passaggio obbligato: le sue fioriture divengono virali, invadono le forme delle tipologie classiche stravolgendole, trasformando sedute e lampade in agglomerati di foglie e fiori che sono l’ombra di quelli naturali, silhouettes spesso incolori, bianche, asettiche e perfette come un taglio laser. In sostanza, un candido souvenir naturale importato nell’ambiente domestico.

Oggi gioca con la sua personale lettura di questo desiderio antropologico di addomesticamento naturale anche Cristina Celestino, con sedute
che sembrano nascere da foglie giganti come nel Paese delle Meraviglie o superfici che richiamano la natura geometrizzata del Giardino all’italiana. Anche Simone Crestani crea omaggi alla natura addomesticata, apparentemente fragili nella loro essenza vitrea, ma forti per i soggetti scelti: i busti di cervi e i bonsai sono per definizione trofei dell’agire umano su animali e piante che conservano il potere di un conflitto.

Il grande ritorno nel mondo delle superfici di motivi decorativi vegetali e animalier può essere letto come banale direzione del gusto, ma anche come affermazione attraverso un atto puramente estetico del riprendere contatto con una natura che l’immersione nel mondo tecnologico ci sta rendendo sempre più virtuale. E allora divengono prove di divertita ironia quelle dei droni di Marcello Pirovano che ricostruiscono morfologicamente parti d’insetti e volatili in un intervento di puro godimento estetico che cela in fondo un desiderio di naturalizzazione
della tecnologia.

Per non parlare della più affascinante delle creature mitologiche inventate dall’uomo per sostituirsi col suo artificio mentale alle composizioni naturali: la chimera, un essere nato dall’addizione di parti di esseri viventi che porta in sé il senso terrifico del sublime. Come è evidente nell’aspetto da esperimento di laboratorio biologico fallito della collezione Hybridism dei fratelli Campana, che ci fanno pensare a quante zone grigie esistano nella mediazione tra naturale e artificiale.

In ogni riferimento bio o fitomorfo, presente nei manufatti progettati dall’uomo, questo divario si evidenzia soprattutto nell’essenza del creare. Paul Valéry, nel suo Eupalino, ce ne lascia un’insuperabile sintesi: “Gli oggetti fatti dall’uomo sono dovuti agli atti di un pensiero. (...) La natura invece non distingue nel suo lavoro i particolari dall’insieme e germoglia a un tempo da tutte le parti” (P. Valéry, “Eupalino o dell’architettura”, 1921, trad. it., Edizioni Biblioteca dell’Immagine, Pordenone, 1988, p. 86).