Luca Trazzi

Quando ha aperto uno studio in Cina e che tipo di prodotti realizza?
Sono approdato a Shanghai nel 2004 per inseguire l’innovazione. Da poco, però, mi sono trasferito a Hong Kong e da lì viaggio nella provincia di Guangdong, tra le città di Canton, Dongguan e Shenzhen, dove risiedono la maggior parte delle aziende.
Ho sviluppato e fabbricato soprattutto prodotti di elettronica di consumo per aziende internazionali. La maggior parte del made in China riguarda le partnership produttive. Ma è una produzione che funziona per grandi quantità e non per il mercato locale.
Lo standard medio e le condizioni di vita della popolazione cinese sono piuttosto bassi. Gli articoli e gli elettrodomestici che si vendono in Europa non sono quelli che si usano nelle case dei cinesi, dove si fa di tutto con un solo bollitore!
Tuttavia, ci sono aziende specializzate in prodotti tecnologici, come sistemi interfacciali a comando vocale, che sono molto avanzate. Oggi, però, alcune lavorazioni più artigianali, come quella della porcellana o del vetro, stanno tornando in Europa, nei paesi dell’ex blocco sovietico, o in Turchia, perché la mano d’opera cinese sta diventando più cara.

Come è visto il made in Italy?
C’è una nicchia, in crescita, sensibile ai prodotti di lusso e particolarmente attenta al settore dell’automotive o del fashion. I brand attirano molto. La maggior parte del mercato interno, così differente da quello occidentale anche negli stili di vita, è lontano dall’idea del made in Italy e dal valore che noi attribuiamo alla manifattura di qualità.

In quale ambito vede la Cina come motore dell’innovazione?
Sto notando uno scatto tecnologico in ambiti quali il militare e il medicale. Tuttavia, ci sono richieste, o meglio urgenze, di mercato in Cina che potranno dare vita a prodotti innovativi e adatti a mercati internazionali. Mi riferisco a quei prodotti per il disinquinamento: dagli elettrodomestici per filtrare l’aria ad apparecchi complessi per lo smaltimento a scala infrastrutturale.

Michael Young

Perché ha scelto di trasferirsi a Hong Kong nel 2006?
In quel periodo ho seguito alcuni progetti in loco che mi hanno ispirato, perché ho trovato chi potesse affiancarmi nel processo produttivo e nello sviluppo tecnologico. Inoltre, Hong Kong mi è apparsa più ‘British’ del resto della Cina, per quanto a non più di un’ora di distanza.

Come si è evoluta la produzione in Cina da quando ha aperto lo studio?
C’è stata un’evoluzione implacabile nel settore tecnologico che ha reso possibile produrre qualsiasi cosa. Le abilità e le competenze dei lavoratori sono sicuramente migliorate e il governo gioca un ruolo proattivo nell’incentivare gli affari, in quanto comprende che la crescita economica locale è essenziale per la società cinese contemporanea.
Le competenze delle fabbriche nelle città meridionali della Cina, da Shenzhen a Dongguan, a Guangzhou, sono diventate all’avanguardia nell’innovazione tecnica. Se all’inizio c’erano il bluetooth e le batterie ricaricabili, ora troviamo i settori dello sport e le industrie con robot a tre assi. Che producano borse piuttosto che orologi, quest’ultime adottano lo stesso approccio al progetto. È un nuovo ciclo, fantastico da osservare.

Quali prodotti possono essere realizzati meglio in Cina che nei Paesi europei?
In Cina è possibile ottenere sempre ciò per cui si inizia. Ma certamente sono migliori i prodotti elettronici e, sempre di più, i mobili. Al momento sono impegnato in alcuni progetti di artigianato che mettono in mostra tecniche autoctone di lavorazione a mano del bambù e della ceramica.

Cosa prevede il tuo futuro professionale in Cina?
Uno studio in questo Paese è sufficiente per me. Tuttavia, sono in via di definizione alcune partnership internazionali con imprese legate alla catena produttiva, nate dalla crescente richiesta per i nostri servizi di progettazione.

Testo di Valentina Croci

 

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