Consapevoli di questa peculiarità, diversi designer, nati in area mediterranea, hanno continuato a ragionare sulla fluidità dei confini che la liquidità fisica e mentale genera. Un emblema dell’incrocio tra culture, divenuto un vero e proprio archetipo del Mediterraneo, è quello delle teste di moro di Caltagirone.
Esaltate dal rinnovato interesse alla sicilianità veicolata da celebri case di moda, questi manufatti di antichissima derivazione narrano proprio la storia di innesto tra la cultura araba e quella siciliana. Molti gli autori che da questo riferimento hanno tratto ispirazione, da Piero Fornasetti a Ugo La Pietra.
Anche l’esordio del duo Formafantasma è stato segnato, con la serie di vasi Moulding Tradition, proprio da una riflessione sull’origine di questo archetipo ceramico che, dietro alla leggenda della principessa palermitana e del suo fedifrago amante arabo decapitato, nasconde un interessante caso di iconografia condizionata dal pregiudizio fisiognomico verso lo straniero.
Più di recente Gaetano di Gregorio ha unito, nella sua testa di Doge, Venezia alla Sicilia, sue rispettive patrie di adozione e origine, in una contaminazione portata al raddoppio: “Sul doge”, spiega il designer, “non vi sono storie di teste mozzate e basilico, ma la sua figura è il simbolo di una città straordinaria, dominatrice del Mediterraneo e di un sistema democratico che non contemplava il culto della personalità, bensì richiedeva al principe di donare con le sue risorse un’opera pubblica alla città”.
Anche i tessuti Imprinting di Carla Garipoli – elaborati per la sua tesi all’interno del progetto Migra-n-ti per l’Accademia Abadir di Catania, sotto la guida di Francesca Lanzavecchia – parlano di un intreccio di esperienze di cui il Mediterraneo è stato il crocevia. La giovane designer utilizza la tecnica batik di stampa per i tessuti Wax con l’intento di far convivere i tradizionali pattern africani con alcuni simboli della sicilianità, quali il carretto o l’arancia.