In Veneto, arte, architettura e design convivono in un progetto ardito e rigoroso, che avvicina l’edificio sulla collina alla natura.
Così la vita e l’estetica di ieri si incontrano con quelle di oggi

 

Progetto di Giorgio Zaetta con Martin Soto Climent – Foto di Alessio Guarino – Testo di Virginio Briatore – A cura di Antonella Boisi

 

La Rotenhaus (La Casa Rossa) è un progetto di Giorgio Zaetta che nel desiderio del proprietario intende intervenire in modo filologico sull’edificio originale, al fine di ripulirlo degli interventi fatti negli anni 70 e riportarlo in modo quasi ossessivo allo stato pregresso. La casa, di fine 800, appartiene alla famiglia del committente sin dal 1920 e si trova nel territorio collinare veneto.

La seconda priorità è stata quella di creare un nuovo spazio giorno, appeso sugli alberi, come nei suoi sogni d’infanzia, per rivalutare il paesaggio della parte nord della casa, che per vari motivi era sempre rimasto celato allo sguardo.

L’ampliamento, costituito da un padiglione vetrato su palafitta di 90 mq, nasce dal desiderio di vivere lo spazio anche d’inverno, aumentare la vivibilità della casa colonica, godere della vista sul bosco d’estate e sulla città in lontanzana d’inverno, quando gli alberi sono spogli. L’accrescimento è corredato da una nuova scala interna per rendere indipendenti le due parti della casa, divisa e condivisa con i familiari.

Nel nuovo living affacciato sul bosco due grandi porte scorrevoli alte quattro metri, con cornice di larice, si aprono una all’est su un balcone solarium e l’altra all’ovest sulla scala, ideata dall’artista Martin Soto Climent, che scende al prato. Una balconata stretta permette di percorrere il perimetro del padiglione senza impedire la vista del bosco a chi siede all’interno.

I fili d’acciaio della ringhiera sono disposti in modo irregolare proprio per dialogare con il caos ordinato dei rami. Le pareti a struttura metallica sono rivestite all’interno con grandi moduli di legno laccato bianco e all’esterno con tavole di larice. Il tetto è in lamiera zincata, sostenuto da una complessa travatura reticolare e l’intercapedine è coibentata con lana di roccia.

Con l’intento di permettere all’acqua piovana di scendere lungo tutto il perimetro come un velo, non sono state applicate le normali gronde, sostituite da un terminale incavo a C lungo tutta la copertura che convoglia la discesa dell’acqua in modo uniforme.

L’estradosso della copertura è realizzato in Rheinzink (ad aggraffatura doppia), come si vede spesso nelle chiese della regione alpina. Il padiglione regge su una struttura di pali di acciaio zincati a caldo, del diametro di 13 cm, molto vicino al diametro medio degli alberi di carpino che vegetano nel bosco adiacente.

I pali sono disposti con inclinazioni diverse non solo per il piacere estetico, ma per fungere da controvento e altresì fare fronte alle esigenze di una zona ad alto coefficiente sismico. Per identica ragione un’apposita fondazione in cemento è stata predisposta a scalare lungo la pendenza, al fine di garantire la perfetta tenuta della palafitta.

L’esterno della parete nord della casa originale ora vive in interno, generando l’effetto di una quinta teatrale. Un grande armadio di metallo, realizzato su misura con lastre spesse un cm, è rivestito con ante di noce e serve anche come struttura portante che regge la scala, anch’essa in metallo, con corrimano rettangolare che evoca la provvisorietà del cantiere.

Lo spazio dedicato alla preparazione del cibo è realizzato con un piano lavabo e cottura, prodotto da Bulthaup. Il pavimento è formato con tavole di recupero in abete. Il bosco metallico interno è la gioia delle piccole calamite con cui si appendono ricordi, immagini, segni, geografie. L’abitazione è arredata con alcuni mobili di design anni 50 e alcuni pezzi d’arte appartenenti alle collezioni del proprietario.

La casa è il luogo dello spirito di un appassionato studioso e collezionista di arte contemporanea, che in essa ospita amici artisti e galleristi con i quali trascorrere momenti di studio, di creatività e di pura convivialità.

 

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Il nuovo padiglione vetrato dialoga con la casa colonica fine Ottocento.
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L’esterno della parete nord preesistente ora vive in interno, generando l’effetto di una quinta teatrale. L’innesto a palafitta si regge su una struttura di 23 pali di acciaio zincati a caldo, del diametro di 13 cm, molto vicino a quello mediodegli alberi di carpino e frassino del bosco adiacente, che crea una verde barriera in estate e apre la vista a un paesaggio straordinario d’inverno. Le lastre in lamiera zincata che formano la pavimentazione del balcone-solarium sono state tagliate su misura e poi saldate in loco. Disposti in modo irregolare, sono poi i fili di acciaio della ringhiera.
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La sezione principale.
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La piccola scala in pietra che, sul lato ovest, collega il prato al ballatoio è opera di Martin Soto Climent, artista messicano.
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Scorcio della preesistente casa rossa.
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Il nuovo living, con le iconiche poltrone 720 Lady disegnate da Marco Zanuso nel 1951 per Cassina; l’Ottoman del 1955 di Frank Lloyd Wright; il divano in acero e rivestimento in cotone grigio di produzione italiana anni Cinquanta. Dello stesso periodo sono tavolo e sedie in quercia naturale realizzati dalla francese Guillerme et Chambron.
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Lo spazio della cucina con il piano lavabo-cottura, prodotto da Bulthaup. Dietro, la nuova scala color prugna in metallo, su disegno, come l’armadio con ante di noce che funge anche da struttura portante. La stufa, di produzione olandese, è in metallo, rivestita con formelle di ceramica fatte a mano (Royal Tichelaar Makkum). L’ambiente è pavimentato con tavole di recupero in abete; a differenza della zona d’ingresso (sul fondo), dove conserva le mattonelle d’epoca bianche e nere restaurate.
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Un altro scorcio del soggiorno-pranzo con le vetrate a tutta altezza che inquadrano all’esterno il paesaggio, i mobili di design anni Cinquanta e i pezzi d’arte collezionati dal proprietario.
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Un altro ambiente: il mobile archiviatore in metallo è un pezzo raro di Ettore Sottsass progettato per Olivetti Synthesis nel 1980; lo sgabello è Giotto di De Pas, D’Urbino, Lomazzi per Zanotta (1975).