Oggi, però, a motivare la scelta di espatrio non è il solo desiderio di vivere in una capitale culturale. I due principali attrattori sono da un lato le scuole internazionali – dove completare una formazione già avviata in Italia – e dall’altro ragioni più pragmatiche, quelle fiscali e amministrative in primis.
Alla ricerca di una scuola diversa, capace di spingere con più determinazione sul versante della speculazione, si sono mossi per esempio i Formafantasma, Giovanni Innella, Maurizio Montalti e Gionata Gatto, tutti approdati alla Design Academy di Eindhoven; ma anche Martino Gamper, che aveva scelto le Belle Arti a Vienna prima di trapiantarsi a Londra.
In realtà il numero di giovani talenti migrati verso un’altra formazione è molto più ampio, ma i succitati hanno poi tutti scelto di restare all’estero, invogliati da una condizione sociale che riconosce il loro status di progettisti professionisti con modalità a oggi completamente sconosciute per chiunque voglia esercitare il mestiere in Italia.
Sul piano formale, rintracciare l’italianità nel loro lavoro sembra un gioco anacronistico o desueto. Alcuni, infatti, propongono un prodotto spiccatamente internazionale e indefinito, o, addirittura, mimetizzato sulla richiesta del mercato globale.
Quest’ultimo è il caso, per esempio, del marchio Tokidoki, una realtà commerciale mondiale, all’apparenza riconducibile a una provenienza orientale, mentre in realtà è frutto della mente di Simone Legno, diplomato allo IED Roma, che si è nutrito di grafica giapponese e l’ha innestata di cultura punk, generando un prodotto venduto in tutto il mondo con picchi di gradimento proprio in Corea e Giappone.
Al tempo stesso, se l’Italia è presente nei progetti dei designer di questa generazione espatriata, è per scelta e pertinenza del singolo caso, non certo per uniformità a un italian mood che può divenire un pericoloso cliché.
“Pensiamo che nazionalizzare a livello critico una disciplina”, puntualizzano i Formafantasma dall’Olanda, “sia rischioso se non dannoso. I confini nazionali rischiano di diventare confini mentali profondi che inconsapevolmente limitano la libertà intellettuale dei designer”.