Dalla consacrazione internazionale nel design di ricerca, dei processi narrativi e della speculazione intellettuale, il cursus honorum di Simone Farresin e Andrea Trimarchi (Studio Formafantasma) prosegue e approda all’industrial design.

In occasione del Salone del Mobile 2017, i due progettisti italiani trapiantati ad Amsterdam hanno infatti presentato due lampade per Flos, oltre a un progetto per il produttore di ceramiche Cedit e a un altro per il marchio di oggetti in vetro Nude.

A intervistarli su questo importante passaggio professionale è Odoardo Fioravanti, designer industriale ‘convinto’.

La prima cosa che mi viene in mente è che di norma, quando si intraprendono gli studi di design, si sogna la messa in produzione del primo prodotto industriale. Il vostro percorso eterodosso, invece, sembra aver maturato le proprie soddisfazioni altrove. Oggi, per voi, il prodotto industriale è un sogno che si avvera, un completamento o ha un altro significato?
Per studiare design ci siamo entrambi spostati dalla periferia italiana (Sicilia e Veneto) a Firenze. Abbiamo scelto in modo indipendente e separatamente questa città, dove ci siamo conosciuti, invece di Milano, che sarebbe stata la scelta ovvia.
La nostra formazione è poi proseguita in Olanda. Già all’inizio, perlomeno a livello inconscio, cercavamo qualcosa di diverso… forse a Firenze speravamo di ritrovare la radicalità degli anni ’70. Oggi è difficile pensare alla produzione industriale come a un sogno. Lo è stato durante la ricostruzione e per alcuni altri decenni successivi. La produzione industriale rappresenta forse la nostra parte italiana che ci ricorda il grande patrimonio che, in questo senso, è stato ed è prodotto nel nostro Paese.

Qual è il filo conduttore tra la lampada progettata per Flos e le esperienze sulla luce che avete condotto in modo autonomo?
Il nostro primo incontro con Piero Gandini (presidente di Flos, ndr) risale a molti anni fa. In quella occasione abbiamo parlato di Achille Castiglioni, delle lampade di Gino Sarfatti e di molte altre cose ancora.
Ma il desiderio di investigare il tema della luce è nato solo un paio di anni dopo. In principio lo abbiamo fatto a modo nostro, in studio, con led e trasformatori, vetri, lenti ottiche etc. Quasi contemporaneamente, Vincenzo de Bellis e Domitilla Dardi ci hanno invitato a lavorare rispettivamente per un’esibizione per il centro d’arte indipendente Peep-Hole e per la Galleria Giustini Stagetti, galleria O di Roma. Da queste ricerche hanno preso le mosse i nostri progetti per Flos.

Una lampada preferita della storia del design (una Andrea e una Simone) e perché.
Simone: Quando ero più giovane ero innamorato della Taraxacum di Achille Castiglioni. Adesso ammiro molto l’intero catalogo di Gino Sarfatti. In realtà, credo che alla fine la mia lampada preferita sia la lampadina!
Andrea: È impossibile non nominare l’Arco di Castiglioni. Chi l’avrebbe detto che una lampada costituita da un blocco di marmo di 30 kg con un buco per spostarla e un arco a penzoloni sarebbe diventata un’icona ora totalmente assimilata nella cultura popolare?

Qual è il vostro approccio al progetto industriale?
Nei nostri lavori di ricerca seguiamo per lo più un approccio speculativo. Nei progetti per l’industria cerchiamo di conformarci ai parametri delle aziende per quanto riguarda le urgenze, le funzionalità, l’utilizzo dei materiali, puntando a un design il più timeless possibile.
I prodotti presentati ad aprile nascono dalla volontà di coniugare un buon impatto formale con il minimo impiego di materiale, per evitare grandi volumi in fase di distribuzione e produzione.
Molte persone si sono rivolte a noi con la richiesta di un copia/incolla di quello che facciamo come designer indipendenti. A volte ci dicono: “avete un’estetica nuova che si può adattare anche all’industria”.  Non è mai un buon inizio. Fortunatamente Piero Gandini non si è mai rivolto a noi in questi termini!

Spesso nel mondo del design si tende a semplificare la distinzione tra il prodotto industriale e le ricerche condotte con pezzi unici o in piccola serie. Emergono concetti superati come il confronto tra forma e funzione, si riduce l’argomento al tema dell’ergonomia, oppure si assume una visione riduttiva del pezzo unico. Alla luce di questa esperienza, qual è, secondo voi, la differenza di pensiero e azione tra questi due mondi?
Alcune differenze sono ovvie. Un progetto industriale quasi sempre prevede un committente. Pertanto il risultato finale è frutto di una collaborazione specifica. Molto spesso, invece, nella lettura critica del prodotto industriale il designer viene rappresentato come l’unico protagonista.
La dimensione commerciale esiste in entrambi i settori, ma anche qui la lettura di ogni singolo progetto deve essere contestualizzata. Alcuni dei nostri progetti sono stati sviluppati da noi, in maniera indipendente o quasi; altri nascono dalla commissione di un museo, di una galleria o di una fondazione. Le finalità dei progetti variano molto da caso a caso.
Come sai, siamo stati coinvolti da Angela Rui per Bio25, l’edizione 2017 della Biennale di Design di Lubiana. In questo caso, non avendo la manifestazione alcuno scopo commerciale, la speculazione può essere condotta a un livello più spinto. In un contesto come questo, anche il fallimento può essere un risultato, perché nasce dalla libertà di azione, sperimentazione ed errore. Generalmente il nostro approccio non è teso al prodotto, quanto a interrogare la produzione, assumendo il design come disciplina capace di agire sui desideri del consumatore (che noi chiamiamo utente). In questo caso, la nostra posizione periferica all’industria ci consente di analizzare tensioni e possibilità.

I nuovi prodotti per Flos conservano la narrazione e la complessità tipica del vostro lavoro?
La lampada WireRing è un esercizio di riduzione. Volevamo ottenere il massimo con il minimo. L’oggetto è composto da due elementi distinti: un cavo elettrico custom dotato di connettori che trasmettono l’elettricità’ a un anello a led. Solitamente il cavo elettrico è considerato un elemento da nascondere, perché non fa parte del disegno dell’oggetto.
Noi invece lo abbiamo messo al centro del design. Quando è imballata, la lampada si riduce al minimo; quando invece è montata, assume delle qualità scultoree. La lampada Blush, invece ha un impatto più emotivo. Solitamente non amiamo l’idea del design ‘emozionale’, perché il più delle volte ha a che fare con escamotage d’effetto, ma la relazione tra l’uomo e la luce trascende la dimensione funzionale e si estende a quella emotiva.
La qualità della luce non si misura esclusivamente in base alla sua intensità: le lampade sono disegnate per dare luce al mondo, ma anche per creare ombra e intimità. La lampada Blush parte da questa riflessione. È dotata di una striscia a led e di un vetro dicroico che proiettano riflessi colorati sul muro; rappresenta una risposta alla mancanza di saturazione dei colori durante l’inverno – l’abbiamo progettata proprio in questo periodo, nel nostro studio in Olanda – e riporta alla memoria un lungo giorno d’estate.

Quest’anno avete iniziato a collaborare anche con altre aziende del design. Cosa ci raccontate di questi progetti?
Il lavoro che abbiamo sviluppato con Cedit parte dall’idea che l’ingegnerizzazione della ceramica per l’architettura ha permesso di ottenere gamme cromatiche sempre più vivide e grandi formati. La meccanizzazione del processo ha però eliminato le imperfezioni che davano alle superfici maggiore profondità e varietà di toni. Un bianco non era mai uguale al precedente e le superfici, come per le foglie di un albero o i sassi di un fiume, presentavano tonalità diverse.
Il progetto della serie Cromatica indaga le possibilità del colore nella produzione industriale ceramica contemporanea. La collezione è composta da due ‘colori base’, due ‘colori chiari pieni’ e due ‘colori scuri pieni’, declinati in pannelli di grandi dimensioni (120×240 cm). A livello produttivo, le lastre combinano la stampa digitale con la smaltatura tradizionale, per ottenere all’interno di ogni singolo pannello diverse sfumature e tonalità.
Ogni lastra è pensata per essere utilizzata in tutta la sua dimensione, oppure tagliata in formati più piccoli. Riassemblando in modo casuale le piastrelle al momento dell’installazione, il colore non uniforme del pannello si rivela in tutta la sua ricchezza di toni. La collezione è progettata per consentire di mescolare tra loro i colori base con quelli pieni. Per lo sviluppo della cartella colori ci siamo basati su una vasta gamma di smalti disegnati da Ettore Sottsass per Cedit alla fine del secolo scorso.

Intervista di Odoardo Fioravanti

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Acquerello di Studio Formafantasma per la presentazione della mostra personale “Foundation”, allestita allo Spazio Krizia di Milano in occasione della design week dello scorso aprile.
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La lampada WireRing per Flos è composta da due elementi separati: un cavo elettrico custom dotato di connettori che trasmettono l'elettricità a un anello a led.
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La lampada Blush per Flos nasce da una riflessione sulla mancanza di luce nel periodo invernale. È dotata di una striscia a led e di un vetro dicroico che proiettano riflessi colorati sul muro.
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La lampada Blush per Flos nasce da una riflessione sulla mancanza di luce nel periodo invernale. È dotata di una striscia a led e di un vetro dicroico che proiettano riflessi colorati sul muro.
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La collezione Cromatica per Cedit nasce dalla combinazione di due processi produttivi della ceramica, la stampa digitale e la smaltatura tradizionale. È composta da due 'colori base', due 'colori chiari pieni' e due 'colori scuri pieni' che, abbinati tra loro anche in modo casuale e in dimensioni diverse, creano una grande ricchezza di toni.
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La collezione Cromatica per Cedit.
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La collezione Cromatica per Cedit.
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La collezione Cromatica per Cedit.