Circa un anno fa, Stefano Mirti, architetto visionario, esperto di interaction design, tra gli intellettuali più interessanti della cultura progettuale contemporanea, appena uscito dalla esperienza del coordinamento dei social per Expo 2015, viene chiamato dalla Triennale di Milano con il compito di occuparsi di una grande mostra sull’architettura.

Una sfida che viene accettata e affrontata a partire da una serie di domande sulla modalità con cui vengono prodotte le mostre. È possibile immaginare un’esposizione che vive di collegamenti trasversali autoprodotti? Cosa succede se si mescolano aziende, multinazionali, scuole, centri di ricerca, attivisti, istituzioni? Se si incrociano grandi nomi con outsider sconosciutii? Se si sovrappongono meccanismi top down e dinamiche bottom up, partendo dalla comunicazione social?

Da questi e tanti altri interrogativi nasce la mostra “999. Una collezione di domande sull’abitare contemporaneo”, in programma alla Triennale di Milano dal 12 gennaio al 2 aprile. Incontriamo Stefano Mirti quando il countdown del sito internet dedicato conta 50 giorni prima dell’evento, con circa 500 domande già generate e altrettante da creare. Un centinaio i soggetti coinvolti con una community di qualche migliaio di persone, attiva su Instagram e Facebook.

Questa è una mostra che inverte l’ordine canonico degli addendi delle mostre. In che modo?
Quando si progetta una mostra, in genere si parte dai contenuti che i visitatori vedranno nello spazio fisico. Poi si pensa al catalogo, al sito web, a come comunicare la mostra. Se avanza tempo ed energia, ci si concentra infine sui canali social. In questo caso abbiamo ribaltato il processo, partendo da una comunicazione social in grado di coinvolgere un network di possibili produttori di contenuto, allargando poi il tutto al grande pubblico.
Quella che proponiamo è una mostra che non vuole essere compilativa, esaustiva, ma che funziona come una narrazione, un grande racconto. I soggetti coinvolti sono molteplici: ognuno è portatore di una propria visione sul tema. Insieme si ragiona su tutti i passaggi della cosiddetta ‘comunicazione’, da cui scaturiscono i contenuti: i 999 videoclip prodotti da Pierluigi Anselmi, la brochure generativa curata da Quattrolinee, la pagina di Facebook, le conversazioni su Instagram. Per il catalogo è la stessa cosa. Anziché proporre il tradizionale ‘volumone’, realizziamo una collezione di 24 fascicoli autonomi, prodotti in self-publishing su Amazon. Se vuoi ti compri il singolo libriccino oppure l’antologia completa. È lo scardinamento contemporaneo di un meccanismo che vede la generazione di una mostra in fasi distinte e ordinate. Questo spiega anche il perché delle (999) domande. Una domanda, di sua natura, è una call for action.
Ecco il videoclip, ecco la mia domanda, e a te che domanda viene in mente? Gli interlocutori scrivono un commento, noi rispondiamo e il dialogo inizia. Il network si allarga e si ramifica in maniera morbida, la narrazione si fa più sofisticata e complessa. Il nostro intento non è costruire una mostra esaustiva, bensì generare una narrazione collettiva.

La formula della mostra partecipata potrebbe in qualche modo rispecchiare una modalità segnatamente italiana, o forse proprio milanese, legata alla comunità diffusa di professionisti del design?
Sicuramente quello che succede a Milano nel mondo del design è abbastanza particolare. Succede spesso che ci si incontri informalmente tra amici, conoscenti, colleghi. Persone impegnate in mestieri omologhi, potenziali concorrenti che però si scambiano moltissime informazioni e si completano con generosità. Il mondo milanese del progetto vive di network estesi, sovrapponibili, in cui le idee e le conoscenze vengono condivise.
La mostra cavalca questa dinamica. Siamo partiti invitando una serie di soggetti, istituzioni, aziende, colleghi impegnati sul tema dell’innovazione nell’abitare. La maggior parte di questi ha risposto con entusiasmo. Poi, ognuno di loro ha esteso l’invito ad altri nodi di una rete che è cresciuta nel corso dei mesi passati. In alcuni casi il coinvolgimento è forte, è strutturale. In altri casi è più limitato.
Ma comunque si stabiliscono e intessono relazioni di prossimità tra contenuti diversi. Si scatenano reazioni. Grazie alla mostra, si è creato un gruppo eterogeneo di persone. Un centinaio di soggetti coinvolti, che si allarga e che cresce, che ha la scusa per vedersi una volta al mese e parlare anche di altre cose, facendo nascere collaborazioni che evidentemente non si esauriscono con la mostra.

Il processo partecipativo della mostra prevede che alcuni partecipanti siano portatori di contenuto, mentre altri sono anche responsabili della parte produttiva. Come è funzionato questo aspetto?
La questione del budget rappresenta uno dei passaggi fondamentali dell’intero progetto. Immaginare, inventare, prototipare e sperimentare nuove forme di produzione di contenuto è un tema centrale nella cultura contemporanea. Usare il budget a disposizione per innescare partnership e sponsorship.
Coinvolgere soggetti alternativi, fare ragionare tutti sul tema dell’equilibrio economico dell’insieme. Mettere in tensione la partnership con Edison (che ha generato contenuti di altissima qualità e significato) con una serie impressionante di autoproduzioni sofisticatissime, fundraisers autonomi, allocare con attenzione le risorse esistenti su quei contenuti che non avrebbero potuto essere sviluppati in altro modo.
Fino ad arrivare a quei progetti che, cogliendo perfettamente il senso di questo fare, stanno cavalcando la mostra per sfruttarne l’onda comunicativa da essa generata. Quello del budget è uno dei temi oggi centrali e non può non essere parte integrante della mostra.

Quale dei progetti presenti esemplifica la capacità il contenuto, l’elemento di produzione, il budget, la centratura del tema e la capacità di ricaduta sul fuori?
Prendiamo per esempio il contributo di Base Milano. Lavorando assieme, abbiamo messo a punto un programma di sei residenze d’artista. Tre settimane a testa, una settimana a Casa Base e due settimane in mostra. All’interno della Triennale, nello spazio di Base, ci sarà sempre un artista che lavora sul suo tema ‘abitativo’.
Tra i sei artisti selezionati, Maurizio Cilli lavorerà con un focus molto preciso e radicale sugli tema degli homeless. O meglio, sulle persone (centinaia di migliaia) che nel nostro Paese vivono a cavallo tra una vita normale e la strada. Cilli chiamerà in Triennale una serie di esperti sui temi della sopravvivenza basica urbana (come usare lo scotch da pacchi per fare strutture portanti di cartone, il tema del calore, il trasporto, etc.) per mettere a punto un manuale di sopravvivenza.
Un manuale che viene sviluppato in crowd-funding e che usa la mostra come momento di produzione di contenuto così come canale di comunicazione.Ma accanto a questo tema, così concreto e drammatico, ci saranno esperienze più visionarie, come quelle portate dalle scuole: Domus Academy lavorerà sull’invenzione di ritualità legate all’abitare in forma di fiction; il PoliDesign, con Anna Barbara e Ron Gilad, proporranno 72 esercizi sul tempo (uno per ogni giorno della mostra). Le strutture incredibili di SaperLab e Opendot, Presso, Impact Hub, la presenza immaginifica di Edison…Uno dei risultati più veri e convincenti della mostra è stato proprio questo: la combinazione di cose molto curiose, dense e diverse che affiancano figure e realtà diverse come Minecraft, Francesca Picchi, Franco Raggi. C’è MuFoCo che lavora sulle periferie, ma anche i giochi da tavolo di Spartaco Albertarelli. Sono corto circuiti che non vogliono raccontarci il futuro quanto piuttosto farci ragionare su un presente che è intrinsecamente futuro. Qui e ora, davanti ai nostri occhi.

Eppure ci sono anche tante domande che evocano un mondo scomparso: tinelli, sgabuzzini,  giocare a calcio nel corridoio…
Sì, è vero. Se analizziamo le domande, molte di queste guardano al passato, alle nostre infanzie,  a mondi che forse erano più rassicuranti. Un altro indice significativo da registrare. Una generazione di progettisti completamente proiettata nel futuro, ma che ama il passato. Del resto, come ben sappiamo, chi controlla il passato controlla il futuro. E chi controlla il presente…

di Chiara Alessi