Non è un caso che Martin Videgård e Tham Bolle abbiano deciso di aprire il loro studio di architettura proprio sull’isola di Söldermalm, nella parte Sud di Stoccolma: una scacchiera di vie punteggiata da orti, giardini, caffè retro e gallerie d’arte, che dell’ex sobborgo operaio conserva tuttora un’architettura concreta e sincera. Perché sin dall’inizio della loro attività (correva il 1999) il duo svedese ha fatto dell’understatement la propria cifra professionale, stilistica e umana. Lo testimonia anche l’intervista che abbiamo raccolto.

Il vostro studio negli ultimi anni ha prodotto progetti di grande interesse nel campo dell’architettura pubblica e commerciale. Tuttavia l’attenzione che  avete sempre espresso verso il tema della residenza privata, anche monofamiliare, fa pensare che per voi questo ambito continui a rappresentare un’occasione di sperimentazione e di ricerca importante. È così?
È vero, ci siamo occupati moltissimo di residenze private anche se oggi rappresentano solo il 20% della nostra attività. Quando abbiamo aperto il nostro studio, 18 anni fa, non avevamo grandi commesse: abbiamo iniziato realizzando piccoli progetti, soprattutto case, che per noi hanno rappresentato la prima occasione di ‘fare architettura’, un’esperienza che abbiamo amato molto.
In seguito, quando ci hanno chiesto di realizzare edifici di maggior respiro, come scuole o musei, abbiamo comunque sentito l’esigenza di non perdere di vista la dimensione della piccola scala: rappresenta, infatti, un ottimo terreno per sperimentare idee architettoniche e, soprattutto, per vederle realizzate in tempi brevi.
Ci sono voluti otto anni per realizzare la School of Architecture (ultimo progetto del duo svedese realizzato a Stoccolma, ndr)! Ci piace comunque passare da una scala all’altra del progetto perché l’esperienza accumulata facendo piccoli progetti ci torna utile per realizzare anche quelli più grandi. Ad esempio, quando si progetta un museo, spesso si deve realizzare anche un bookshop o un ristorante o un bar, ed avendo già progettato questo tipo di ambienti, ne abbiamo immediato vantaggio.

Quali sono i punti di partenza quando iniziate a lavorare al progetto di una casa? C’è una piramide nella scelta delle sue priorità: sito, committente, esigenze private, pubbliche, sociali, ecologiche… Chi vince?
L’architettura è come un ombrello: contiene tutti questi aspetti. Sicuramente per noi il sito è importante, non solo però per il suo contesto paesaggistico ma anche per il suo contesto culturale, e cioè, contano la sua storia, il know-how locale e tutti gli aspetti sociali che lo caratterizzano. Inoltre, ci si può trovare a costruire in campagna o in città.
Nel primo caso, abbiamo sempre cercato di realizzare edifici che potessero essere ‘rimossi’ in modo che l’ambiente naturalistico potesse ritornare come prima: lo abbiamo fatto con le numerose case costruite sulle isole dell’arcipelago di Stoccolma.
Qui, infatti, ci siamo ispirati al modo in cui gli edifici erano stati costruiti dai pescatori o dagli agricoltori: si trattava sempre di semplici strutture, facili da spostare, nel momento in cui subentrava la necessità di muoversi da un’isola all’altra. L’attitudine a essere umili verso il paesaggio è per noi una grande fonte di ispirazione. Altra cosa se invece devi progettare in un contesto urbano.
La città di Stoccolma, ad esempio, è densamente costruita e i costi del terreno sono elevatissimi: paradossalmente è più complicato che non realizzare un una casa in mezzo alla foresta. Infine, c’è anche la necessità di trovare le risposte giuste alle esigenze e ai desideri dei clienti, risposte che naturalmente non possono prescindere dal sito e dalla relazione con l’ambiente, come abbiamo chiarito poc’anzi.
Quindi, la sfida è elaborare un’idea che sia, diciamo, il più possibile performante, cioè in grado di rispondere a più esigenze, ma anche pragmatica. Ad esempio deve tener conto anche di come trasportare i materiali sul cantiere: se, per esempio, si tratta di un’isola è logico che dovranno essere impiegati materiali leggeri come il legno, mentre se si tratta di un posto raggiungibile su ruote, allora si potrà anche ricorrere al cemento o ai mattoni. Si tratta di aspetti pratici e concreti, molto stimolanti perché restituiscono il senso di come costruire la giusta cosa nel giusto spazio.

C’è sempre uno spirito del Nord che anima i vostri progetti?
All’ultima Biennale di Venezia abbiamo presentato il progetto del Treehotel come simbolo della tradizione scandinava. Per noi esiste uno stretto legame con la natura proprio perché noi siamo un Paese con immensi spazi, ma poco popolato.
Pensiamo che nell’architettura scandinava ci sia una sorta di umiltà, anche pragmatica, che porta a fare solo ciò che è necessario e nel modo più efficiente. Spesso c’è un ritorno ai classici cottage svedesi, dall’inconfondibile colore rosso: un’architettura pratica, senza fronzoli, di tipo vernacolare, per nulla eccessiva, semplice ma sempre di sostanza.
Tuttavia, useremmo lo stesso approccio anche se lavorassimo all’estero: metteremmo insieme il know-how locale, in termini di materiali e risorse, con quelli che rappresentano i principi universali dell’architettura (proporzioni, luce, orientamento… ) e senza rinunciare alla nostra idea personale di architettura. Quindi anche all’estero costruiremmo cottage rossi o comunque edifici che si leghino al concetto di architettura vernacolare, che porta con sé un’idea del tutto personale ed intuitiva su come l’architettura dovrebbe essere e cosa dovrebbe offrire…

Il vostro studio è stato nominato nel 2015 ‘Architects of the year’; nel medesimo anno vi siete aggiudicati anche il ‘Private House Award’ e la vostra ‘School of Architecture’ ha vinto recentemente il ‘Stockholm Building of the year 2016’: un periodo davvero felice. In quale modo avete conseguito questi importanti riconoscimenti? 
Il segreto del nostro successo è il frutto di un lavoro di team: collaboriamo insieme su tutto. I progetti nascono da una discussione in continua evoluzione, portando avanti solo lavori che troviamo stimolanti, dove è possibile sperimentare o scoprire qualcosa di nuovo. L’architettura in questo modo diventa un’occasione di studio, di indagine, attraverso il quale individuare nuove possibilità, soluzioni, valori estetici. E, poi, prendiamo il nostro lavoro sempre molto seriamente, cerchiamo di essere il più partecipativi possibile, di stare sul campo…
Di conseguenza, quello che proponiamo è sempre qualcosa di realistico: non si tratta di sogni o di utopie ma cerchiamo di essere il più vicino possibile alla concretezza della vita. Un approccio forse non molto comune… Molti studi di architettura vogliono fare business, cercare di crescere il più velocemente possibile…
Noi, invece pensiamo sia meglio fare una cosa di buona qualità piuttosto che tre prive di spessore! Insomma, concentrarci su pochi progetti ci porta ad essere più competitivi di altri. Attualmente possiamo contare su una ventina di collaboratori: un piccolo gruppo, dunque, ma anche questo è uno dei fattori chiave della bontà del nostro lavoro, perché ciascuno ha un compito ben chiaro a tutti sanno quello che gli altri colleghi stanno facendo. Certo, se dovessimo vincere molte competizioni inevitabilmente dovremmo crescere! Ma non è questo l’obbiettivo: il nostro lavoro è già abbastanza valido e interessante. Preferiamo fare pochi progetti ma nel migliore dei modi. Per rimanere umili e autorevoli nello stesso tempo.

Foto di Ake E:son Lindman – Testo di Laura Ragazzola

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Island Houses, due case gemelle che svettano su un promontorio dell'isola di Styrsö, nell'arcipelago svedese.
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Bolle Tham (a sinistra) e Martin Videgård, ritratti nel loro studio a Stoccolma.
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'Treehotel': l'alloggio per due persone - contenuto in un cubo di 4 metri di lato e sollevato dal suolo di 6 metri - si annulla nel paesaggio grazie a una superficie riflettente.
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Le Island houses (nelle foto, una delle due) si sviluppano su due piattaforme quadrate perfettamente integrate nel paesaggio roccioso dell'isola: un ampio terrazzo corre sui quattro lati, tutti vetrati creando un dialogo continuo fra interno ed esterno.
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Il disimpegno del fronte notte delle Island houses.
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Sezione delle Island houses.
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Husarö House, nell'arcipelago di Stoccolma: la casa ha forme pure e reinterpreta per scelte materiche – il legno – e cromatiche la tradizione costruttiva scandinava, realizzando un bilanciato equilibrio fra architettura e paesaggio.
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'Summerhouse Lagnö', anch'essa costruita su un'isola, a Nord di Stoccolma: il susseguirsi delle coperture a doppia falda dà vita a una facciata 'frastagliata' che ricorda la fila di rimesse per le barche dei pescatori.