Testo di Stefano Caggiano

Il senso degli oggetti è strettamente intrecciato al senso del corpo. Per questo il design, se da un lato non può prescindere dal farsi carico del corpo dell’oggetto, dall’altro non può nemmeno esimersi dal trascenderlo in forme che vadano oltre il loro mero riscontro materiale.

Questa duplicità fenomenologica dell’oggetto d’uso, immanente e trascendente al tempo stesso, rispecchia la duplicità fenomenologica del corpo umano. Anche il nostro corpo è infatti sia ‘cosa’, pezzo di materia cieca soggetta a inerzia e gravità, che dispositivo senziente aperto al mondo.

La distinzione tra queste due dimensioni della corporeità è così importante che in tedesco esistono due termini diversi per riferirsi al corpo: il primo, Körper, indica il corpo inteso come cosa fisica; il secondo, Leib (dall’antico tedesco “leiben”, “vivere”), indica il corpo inteso come dispositivo senso-motorio.

Gli oggetti d’uso, allora, pur non facendo parte del Körper (non sono ‘fusi’ con la nostra anatomia), nel momento del loro utilizzo diventano tutt’uno con il Leib dal punto di vista motorio-funzionale, esattamente come gambe e braccia.

Ecco allora che una serie di nuovi progetti – tutti realizzati, forse non per caso, da designer donne – esplorano il ‘chiasmo’ costitutivo tra corpo e parco oggetti, a cominciare dall’ambiguo Anomaly del trio svedese Front per Moroso.

Se quest’ultimo si configura come presenza domestica sospesa tra la manipolazione visionaria di un ceppo corporeo e la trasmutazione organica di una creatura aliena, ancor più perturbante appare il progetto dell’angloamericana Gigi Barker (Studio 9191), la quale ha impregnato la pelle che riveste gli elementi imbottiti Body of Skin con del dopobarba e dei feromoni, in modo da riprodurre il senso del tocco di un corpo umano in forme che rimandano a brani anatomici non ulteriormente specificati.

Meno estremi, ma sempre sulla linea del prodotto ‘corporeo’, sono la seduta Flesh avvolta in ‘morbidosi rotoli di grasso’ della danese Nanna Kiil e il divano M.A.S.S.A.S. di Patricia Urquiola per Moroso, elegante oggetto-Frankenstein ottenuto dalla giustapposizione di membra con le cuciture a vista.

Anche The Body della finlandese Kirsi Enkovaara si presenta come flessuoso brano tissulare dal colore incarnato (caratteristica comune alla maggior parte dei progetti qui presentati) pensato per ripiegarsi e mescolarsi al corpo dell’utente secondo le più diverse configurazioni.

Quest’ultimo progetto, in particolare, che annoda letteralmente brani di corpo-oggetto a brani di corpo-utente, illustra plasticamente quanto dicevamo all’inizio, e cioè che la sostanziale continuità tra parco oggetti e Leib è costitutiva per il senso stesso dell’oggetto, al punto che il primo deve essere considerato articolazione senso-motoria del secondo, il quale a sua volta non va pensato come ‘cosa’ ma come campo sensoriale che si estende fino al limite elastico delle sue emanazioni oggettuali.

L’esperimento della mano gomma è, da questo punto di vista, rivelatorio. Adoperato negli esperimenti di psicologia cognitiva e fisiologia della percezione, prevede che un tester sieda con un mano sopra a un tavolo e l’altra sotto, con una mano di gomma posizionata sul tavolo in corrispondenza di quella nascosta.

Durante l’esperimento la mano sotto al tavolo viene sollecitata con una piuma e lievi pizzicotti, mentre lo stesso tipo di sollecitazioni viene praticata, simultaneamente, alla mano di gomma. Succede che, dopo un certo periodo, il tester comincia a sentire nitidamente ‘dalla’ mano di gomma, avverte cioè distintamente le sollecitazioni applicate alla sua mano vera, ma nascosta, come se se esse fossero applicate alla mano finta, ben visibile sul tavolo di fronte a sé.

Ciò dimostra come sia possibile provare  sensazioni su un oggetto che di fatto è staccato dal Körper, ma che fa tutt’uno col Leib dal punto di vista senso-motorio.

Ecco perché la jewellery designer polacca Ewa Sliwinska ha concepito il progetto The Living Points Structure come una serie di ornamenti che amplificano la cinetica del corpo. Questi gioielli filiformi visualizzano cioè la proiezione senso-motoria del Leib, come le onde circolari irraggiate da un sasso gettato in uno stagno.

Mentre la fashion designer e illustratrice israeliana Noa Raviv nella collezione Hard Copy mescola con poesia visionaria la sostanza reale del corpo con la sostanza fantasmatica delle sue estensioni oggettuali nell’era digitale.

 

Stefano Caggiano

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Virgina (Gigi) Barker, dello studio 9191, posa accanto ai suoi conturbanti imbottiti rivestiti in pelle della serie Body of Skin, impregnati con dopobarba e feromoni per trasmettere la sensazione di contatto con un vero corpo umano.
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I gioielli della serie The Living Points Structure di Ewa Sliwinska sono elementi flessibili realizzati con sottili cilindri d’acciaio montati su un filo di nylon, progettati per emulare il movimento del corpo mentre cammina, corre, salta.
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La seduta Flesh (‘carne’) di Nanna Kiil, realizzata in gommapiuma a memoria di forma, esplora l’equilibrio antitetico tra l’aspetto ‘respingente’ di curve voluminose ispirate a rotoli di grasso e la loro avvolgente comodità.
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The Body di Kirsi Enkovaara incoraggia l’utente a cercare posizioni di seduta alternative rispetto a quelle trasmesse dalle convenzioni culturali, favorendo la riconfigurazione in linea continua del corpo dell’oggetto e della dislocazione anatomica dell’utente.
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Il divano M.A.S.S.A.S. di Patricia Urquiola per Moroso è caratterizzato da evidenti cuciture in rilievo che, come imbastiture, ne percorrono il perimetro fino a destrutturarne la linearità anatomica. (foto: Alessandro Paderni)
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Vera e propria ‘anomalia’ domestica, Anomaly di Front per Moroso è una creatura dall’identità delicatamente inquietante, un animale transgenico in grado di scatenare imprevedibili riverberi emotivi che vanno dall’affetto alla repulsione. (foto: Alessandro Paderni)
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Per realizzare la collezione Hard Copy, Noa Raviv è partita dall’ideale di bellezza della scultura greca, copiata e riprodotta migliaia di volte nel corso della storia e qui rielaborata con immagini digitali ‘difettose’, generate da un comando che il software 3D non è in grado di eseguire. (foto: Ron Kedmi)