Il Cile cresce i propri ragazzi come fa un padre fiero, li istruisce e porta avanti chi può, con un’educazione pubblica di massa che è condanna alla propria condizione ed una privata d’elite che invece non t’abbandona mai.

In un lembo di terra lungo più di 4.000 km con appena 17 milioni di abitanti proliferano ben 50 scuole private di architettura. Un cielo fitto di stelle che disegnano la propria rete, una densissima costellazione di rapporti sociali e di collaborazioni tra enti didattici e fabbrica del fare, il Cile classista realizza l’ambita simbiosi tra università e mondo del lavoro. Claudio Molina, Daniel De la Vega e Eduardo Villalobos sono amici, e posseggono quel mirabile senso della condivisione ancora così diffuso nel Sud America in continua crescita. I tre ragazzi sono giovani e in gamba. Da poco hanno cominciato il mestiere dell’architettura, meraviglioso e difficile, spesso ai margini del circuito produttivo, e si dividono tra insegnamento e studio, progetti conto terzi e concorsi, nelle lunghe nottate cariche di sorsi di mate e speranza. Come tanta era quella posta nel concorso per lo Scout Space organizzato dal Saint George’s College, nel quartiere di Vitacura, proprio dove un decennio prima due di loro avevano trascorso l’infanzia. Fu la volta giusta e la loro prima opera realizzata l’avrebbe spuntata contro altre tredici proposte per un programma semplice nella funzione ma originale nella destinazione. Il piccolo mondo partecipato dei boyscout avrebbe avuto un nuovo luogo d’incontro all’interno del parco scolastico, tra il promontorio, il canale ed il bosco. Due sale multifunzionali, cinque ambienti per il deposito, una zona barbecue, uno spazio attrezzato scoperto per 300 persone ed uno coperto per 150. La natura cilena è un paesaggio vissuto con grande rispetto, in cui l’intervento umano è spesso secondario, sempre minimo. Così Claudio, Daniel e Eduardo sfoltiscono il bosco, rimuovono l’argine orientale del laghetto e mantengono la continuità tra il promontorio, la vista della scuola e delle sue corti e la città oltre il querceto.

L’architettura frammenta il programma nei due
grandi volumi rivestiti con tavole di legno
compensato di dimensioni 24×9 cm, evita
concentrazioni artificiali, realizzando alternanze
sostenibili. L’architettura dal budget irrisorio
marca gli interni con gli esterni, le pareti bianche
con i tagli neri, la luce disegna diagonali brillanti
in uno spazio vuoto e flessibile. Il livello inferiore
incassa i piccoli ambienti spogliatoio-deposito
sotto le gradinate interne e nel pendio, per
espandersi nelle sovrastanti grandi sale
anfiteatro-laboratorio a doppia altezza. Da
sud-est, gli umori della natura penetrano le
grandi vetrate intagliate da rettangoli di infissi,
risalgono il pendio e si riversano sul piano
multifunzionale esterno riparato dalle estensioni
orizzontali della copertura. Uniti ma divisi, i due
polmoni di quest’opera giovane per giovani
respirano verso ponente dove tre semicerchi
disegnati da sedute in pietra grigliata subiscono
la presenza di un parallelepipedo ligneo. Torretta
d’avvistamento e punto di riferimento, allunga lo
sguardo oltre il confine e, in basso, su tende in cui
piccoli uomini crescono.
L’architettura frammenta il programma nei due
grandi volumi rivestiti con tavole di legno
compensato di dimensioni 24×9 cm, evita
concentrazioni artificiali, realizzando alternanze
sostenibili. L’architettura dal budget irrisorio
marca gli interni con gli esterni, le pareti bianche
con i tagli neri, la luce disegna diagonali brillanti
in uno spazio vuoto e flessibile. Il livello inferiore
incassa i piccoli ambienti spogliatoio-deposito
sotto le gradinate interne e nel pendio, per
espandersi nelle sovrastanti grandi sale
anfiteatro-laboratorio a doppia altezza. Da
sud-est, gli umori della natura penetrano le
grandi vetrate intagliate da rettangoli di infissi,
risalgono il pendio e si riversano sul piano
multifunzionale esterno riparato dalle estensioni
orizzontali della copertura. Uniti ma divisi, i due
polmoni di quest’opera giovane per giovani
respirano verso ponente dove tre semicerchi
disegnati da sedute in pietra grigliata subiscono
la presenza di un parallelepipedo ligneo. Torretta
d’avvistamento e punto di riferimento, allunga lo
sguardo oltre il confine e, in basso, su tende in cui
piccoli uomini crescono.

L’architettura frammenta il programma nei due grandi volumi rivestiti con tavole di legno compensato di dimensioni 24×9 cm, evita concentrazioni artificiali, realizzando alternanze sostenibili. L’architettura dal budget irrisorio marca gli interni con gli esterni, le pareti bianche con i tagli neri, la luce disegna diagonali brillanti in uno spazio vuoto e flessibile. Il livello inferiore incassa i piccoli ambienti spogliatoio-deposito sotto le gradinate interne e nel pendio, per espandersi nelle sovrastanti grandi sale anfiteatro-laboratorio a doppia altezza. Da sud-est, gli umori della natura penetrano le grandi vetrate intagliate da rettangoli di infissi, risalgono il pendio e si riversano sul piano multifunzionale esterno riparato dalle estensioni orizzontali della copertura. Uniti ma divisi, i due polmoni di quest’opera giovane per giovani respirano verso ponente dove tre semicerchi disegnati da sedute in pietra grigliata subiscono la presenza di un parallelepipedo ligneo. Torretta d’avvistamento e punto di riferimento, allunga lo sguardo oltre il confine e, in basso, su tende in cui piccoli uomini crescono.