Progetto Karim Rashid
Foto Karen Fuchs/GERBER GMC
Testo Antonella Boisi

È qui da circa un anno. Dopo vent’anni di base a Chelsea, Karim Rashid ha traslocato a Midtown Manhattan. Il suo nuovo studio in technicolor si trova nel quartiere di Hell’s Kitchen, all’interno di un complesso progettato da Smith-Miller + Hawkinson,”a cento passi dalla nuova abitazione”, dice.

Il re del pop design, allievo di Ettore Sottsass in Italia, nato in Egitto e cresciuto in Canada, di casa a Toronto, Londra, New York e nel mondo, ha voluto un involucro white di base, luminoso e giocato sulle trasparenze del vetro, per contenere la sua personale selezione tra migliaia di progetti in produzione, con cui condividere la quotidianità e trovare nuove ispirazioni.

Segni particolari: forme organiche di un minimalismo sensuale, accese da una palette cromatica ad effetto euforizzante. Gli abbiamo fatto qualche domanda.

Come si sta al nuovo indirizzo? Cosa hai guadagnato e perso nel trasferimento?
“Non avrei mai pensato che mi sarebbe piaciuto stare nel centro di Manhattan. Midtown sulla 53rd street è la stessa strada del MOMA. Sono vicino al Columbus Circle, al Museo MAD, al quartiere dei teatri, a Central Park e a Times Square. E devo riconoscere che anche la selva di grattacieli che mi circonda, dal Seagram Buiding alle torri di Mies, alla mia preferita la Hearst Tower, mi affascina. L’unica cosa di Chelsea che mi manca è la concentrazione e la vicinanza delle gallerie d’arte. Ho guadagnato 500 mq, soffitti alti otto metri, grandi finestre e lucernari e un’incredibile luce proveniente da tutte le direzioni, fantastica per trovare quel senso di serenità, ottimale alla fase creativa”.

Quali sono state le scelte architettoniche e d’interior più rilevanti?
“La scelta della trasparenza e della continuità spaziale e visiva tra le zone. Protagonisti: il vetro, posato sui pavimenti che lasciano fluire la luce fino al basement, scelto per balaustre e pareti divisorie, fino alla scatola che struttura la sala conferenze; e, come contraltare, la resina epossidica bianca lucida autolivellante adottata in modo omogeneo per le finiture delle superfici e dei pavimenti; con il contrappunto dinamico di un pavimento-tappeto in rosa Bolon. In quanto all’arredo, tutto, dalle scrivanie alle sedute, dalle lampade ai televisori, è stato progettato da me. L’ufficio è diventato un grande showroom per/(del) il mio lavoro”.

Hai bisogno di circondarti dei tuoi pezzi?
“Mi ispiro a Picasso che voleva intorno a sé i propri lavori per comprenderli più a fondo e poi restituire questa sua esperienza al mondo. Io riempio gli spazi con gli arredi e gli oggetti che disegno perché voglio mettermi al riparo da influenze esterne e,  al tempo stesso, esercitare un’autocritica. Penso sia importante vivere con i miei progetti. Imparo ogni giorno da loro. Tutti gli oggetti ci parlano. Di linee, colori, materiali, texture, funzioni, tecnologia, grafica, stimolazioni sensoriali. Hanno una valenza semantica”.

A quali oggetti nello specifico chiedi compagnia e a quale sei più affezionato?
“Di fatto, riordino sia casa che studio in modo frequente e sposto tra uno e l’altro oggetti, mobili, quadri a seconda delle ricerche che sto facendo. Mi piace questo cambiamento che si associa a una costante novità. Tra gli oggetti che ho progettato, ho un debole per la lampada Doride di Artemide, un pezzo che avevo pensato quando avevo 19 anni ed ero uno studente. Dimostra che una buona idea può vivere per sempre, anche se ci sono voluti 35 anni perché andasse in produzione”.

Come decidi se un progetto è buono?
“È buono se cavalca la sottile linea tra l’originalità e la benevolenza del mercato, vende bene ma ottiene anche premi e riconoscimenti. L’ho detto più volte: il design è un atto di collaborazione e non solo un’espressione personale. È fondamentale che io apprenda appieno un marchio, la sua cultura, i suoi metodi di produzione. Da qui parto con il desiderio di sviluppare innovazione e motivare sia le aziende che i fruitori. Penso davvero che l’aspetto poetico del panorama fisico sia fondamentale per il benessere e che il design abbia il potere di cambiare il nostro comportamento e le nostre vite. In questo senso come designer sento una grande responsabilità. Ogni nuovo oggetto dovrebbe sostituirne tre e ciò dipende dall’impiego di nuove tecnologie, nuovi materiali e ovviamente da un disegno migliore. Io cerco di creare oggetti capaci di suscitare i ricordi. Sono sempre alla ricerca di forme nuove, ottimizzando le performance consentite dalle tecniche di produzione”.

Perché secondo te, dopo 60 anni di storia del design che ha arricchito il nostro mondo di tutti i giorni con oggetti di ogni tipo, è ancora necessario progettare nuovi prodotti?
“Il design è stato il regista culturale del nostro mondo fin dall’inizio. Abbiamo progettato città, industrie, reti… ogni cosa. Le nostre vite si sono evolute ed elevate da quando sperimentiamo bellezza, comfort, lusso, prestazioni, e utilità insieme. Ma se un prodotto già in commercio non è ben progettato, non abbraccia una perfetta user-experience, stimolando l’utente, non svolge la sua funzione e quindi non potrà mai sopravvivere”.

Perché la passione per la plastica e per i colori fluorescenti?
La plastica è un materiale che ho sempre amato, perché è democratica, leggera, ad alte prestazioni, e offre infinite possibilità espressive. Non si dimentichi che rappresenta circa il 40% del nostro ambiente costruito. Per quanto riguarda il colore fluorescente, mi ispira da quando ho iniziato ad usare i computer nel 1982. Parla dell’era digitale e restituisce vita, passione, amore, energia”.

Cosa ti ha lasciato l’esperienza con Ettore Sottsass a Milano?
“Sottsass mi ha detto “non sarai mai un designer”. Sono rimasto deluso e ferito. Ma stava dicendo che per essere un designer avrei dovuto scendere a molti compromessi con l’industria. Per lui ero un artista, non un designer: così mi chiamava il Grande Egiziano artista. In realtà la sua critica era rivolta in primis a se stesso perché era troppo artista per tollerare l’industria”.

Trent’anni dopo hai ancora la stessa passione?
“È la stessa di quando avevo cinque anni. Ho sempre voluto plasmare il mondo, essere un provocatore creativo e culturale”.

Il tuo rapporto con l’Italia? Una nuova destinazione per il design?
“Penso che l’Italia sia stata, dal Rinascimento, e sia ancora il migliore Paese al mondo per il design, ma la Cina è il secondo”

Ritornando al nuovo spazio di lavoro, luminoso, colorato e soft, come lo vivi e cosa rappresenta per te?
“Lo vivo come un buon progetto che mi restituisce energia positiva in una dimensione olistica, il piacere di andare in ufficio, uno stato mentale in cui mi sento rilassato, ispirato e nuovo ogni giorno. Una percezione che spero non sia soltanto mia, ma anche del mio staff e dei clienti”.

Quante persone lavorano con te?
“Uno staff di 20 persone qui a New York. La ‘Crew’ è molto internazionale con designer provenienti da Paesi Bassi, Colombia, Slovacchia, Cile, Indonesia, Malesia, Corea, Svizzera, Italia, Iran, Egitto, Brasile, Israele e Stati Uniti. Di recente ho aperto un ufficio anche in Cina con un team di altri 20 collaboratori”.

Raccontaci qualcosa dei tuoi nuovi progetti.
“Attualmente sto lavorando a 80 progetti in circa 35 Paesi che spaziano da un telefono cellulare, una nuova monografia, un imballaggio idratante, accessori per il bagno, bottiglie di vino, una linea di smalti da uomo, mobili e lampade. Molti i progetti in Turchia, Italia, Francia e Canada. Gioielli in Brasile, dildo in Germania, spazzolini da denti in Corea; poi un centro commerciale a San Pietroburgo, hotel a Kuala Lumpur, Tel Aviv, Amsterdam, Amburgo, Hannover e un ufficio dentistico in Canada, 4 edifici condominiali in NYC (circa 350 appartamenti), poi condomini di lusso a Jurmala in Lettonia (24 appartamenti), un ristorante a Tangeri, nonché condomini a Toronto, Miami, Mosca, in Marocco”.

Come definiresti il tuo stile?
“Non credo in uno stile. Stile si fa quando si prende in prestito dal passato. Design invece quando si utilizzano parametri contemporanei per plasmare il futuro. Io mi sento un minimalista sensuale. Sono technorganic. Il mio lavoro è Digipop”.

Secondo te, c’è ancora uno stile americano nel design?
“C’era una volta. Era quello di Eames, Nelson, Noguchi, e altri. Era la metà del secolo scorso – molto tempo fa ed è stato così bene copiato in tutto il mondo che la maggior parte di quello che abbiamo visto più tardi prodotto dall’industria del mobile è derivato da esso. Oggi penso che nessun Paese abbia uno stile specifico perché il mondo è globale. Tendenze, influenze, movimenti sono globali”.

 

Antonella Boisi

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Nel rendering: uno dei nuovi prodotti che saranno presentati ai Saloni 2015 di Milano, il tavolino Sloth per Slide.
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Karim Rashid ritratto alla sua scrivania (Zero Desk, Della Rovere) in fase creativa, tra schizzi e matite colorate.
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L’area d’ingresso, biglietto da visita dell’ufficio: luce a sospensione DNA e seduta Blos di Slide, divanetto Matrix di Meritalia, tavolini Veer di Tonelli.
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Vista esterna dell’edificio sulla 53rd street di Midtown Manhattan che ospita l’ufficio di Rashid.
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Nei rendering, una serie di progetti che Karim Rashid sta preparando per i Saloni 2015 di Milano: carrello Kart per Tonelli
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Sedute modulari Grube per Slide
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Sedia White per Cizeta.
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Una zona di passaggio all’interno dello studio segnata dal differente colore della resina adottata per le superfici che disegna campi lunghi e cornici espositive enfatizzate da generose partizioni vetrate trasparenti. In scena, da sinistra, le sedie: Snap di Feek, Fly di Label, Alo di Magis, Kat di Redi, Infinity di Label, Flip di Talenti.
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Scorcio della glass box che racchiude la sala conferenze: Ottawa Media Unit e Ottawa Table di BoConcept, Poly Chair di Bonaldo, Cadmo Floor Lamp di Artemide, luce sospesa Squeeze di Nimbus, tutto su disegno di Rashid.
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Sofa Voxel per Vondom.
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Sgabello Saddle per Slide.
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Sgabello Saddle per Slide.
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Seduta Sinch per Slide.
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Mirror, in fase di studio per Tonelli (2015).
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Vista dal soppalco della costruzione spaziale aperta e visivamente continua dell’ufficio, sviluppato su due livelli principali. In primo piano: Candle Holder per Magppie, Rubber Glove Mold e vaso 5 Senses, Limited Edition, Sandra Gering Gallery.