In un comune della Lomellina, un progetto abitativo bespoke riscopre le tracce storiche di un luogo familiare riattualizzate in chiave contemporanea e sperimentale, con grande sapienza realizzativa

“Chicco è uno dei miei sei fratelli. Progettare la sua casa è stato un po’ come riavvolgere il nastro dei ricordi nel luogo in cui siamo cresciuti, un palazzo settecentesco nella Lomellina, con una corte profumata da rose bianche, lo scalone in pietra primi Novecento, le grandi sale comunicanti con viste sul giardino, oggi parcellizzato in quattro unità abitative distinte: quella di Chicco, per l’appunto, della mamma, di Alberto, di cui mi ero già occupato, e di Chicca, in fieri; praticamente una famiglia sovrapposta”, spiega Michele Cazzani founder nel 2006 con i soci Paolo Armato e Damiano Deiraghi di Archizero, studio novarese d’avanguardia nella ricerca applicata dei materiali in ambito architettonico e di design.

Così questo progetto, selezionato per la mostra organizzata dalla rivista Platform in funzione del libro Best Italian Interior Design 2018 presentata alla Triennale di Milano, non restituisce soltanto la dimensione sartoriale da laboratorio-atelier-palestra sperimentale che contraddistingue gli interventi dello studio Archizero, con cui Interni ha collaborato in relazione all’evento Hybrid Architecture & Design durante il FuoriSalone del 2013.

L’intervento ha un portato emozionale e di memoria personale che si rivela in ogni scelta fin nel più piccolo dettaglio. “Come d’abitudine, il punto di partenza è stato l’ascolto dello spazio”, continua Cazzani, “e l’intento di far emergere la sua anima più autentica. Nella presunzione e umiltà di interpretarla e di rispettarla, ho lasciato tracce a vista di spirito e di materia, pietre, mattoni che si diradano, si allargano e ritrovano nuove immagini, lo stipite rotto di una porta... tutti elementi che parlano delle radici storiche del luogo.

Come d’abitudine, il punto di partenza è stato l’ascolto dello spazio"

Poi, dopo essermi confrontato con Chicco e la moglie sul briefing funzionale e aver intuito il loro piacere verso la pace silente dell’architettura giapponese, ho cercato di restituire attraverso le forme, i materiali e i colori le loro vibrazioni all’interno dello spazio abitativo sviluppato su tre livelli. Le linee decisamente attuali della composizione, sviluppate su due grandi direttrici, l’asse centrale generatore delle nuove geometrie e quello verticale, fulcro e filo conduttore del racconto, hanno costituito il medium del dialogo tra vecchio e nuovo, in una valorizzazione reciproca delle parti.

Nel confronto tra masse forti e ambite leggerezze, è stato un togliere più che aggiungere; connettere degli spazi, aprire delle finestre nella parete che crea una cornice verso il centro del corpo verticale, ricalibrare il rapporto tra pieni e vuoti e ritrovare un equilibrio degli opposti. Ho privilegiato una tavolozza materico naturale (fatta di legno, pietra, cemento, mattoni a vista, ferro) e i cromatismi delle terre. E mi sono affidato alla luce, grande protagonista della casa. Ampi lucernari illuminano le superfici verticali, esaltandone le imperfezioni. Ma il materiale più importante è costituito dagli artigiani e dai tecnici che hanno assecondato e migliorato le mie visioni. Senza il loro supporto e la mia voglia di mettermi in discussione il risultato sarebbe stato un altro”.

Dall’ingresso al piano terra, che prima era un cortile aperto, si entra adesso in una stanza-vestibolo da cui si intravvede subito il cielo tramite i due lucernari ritagliati nelle solette. Da questo piano si sviluppa la scala che attraversa tutta la casa e ha dato l’orientamento per l’aggiunta di altri elementi architettonici, quali la scatola del bagno o la parete divisoria nel sottotetto.

Il primo piano è stato destinato a spazio giorno: un unicum dove una grande vetrata scorrevole ne dilata la proiezione verso l’esterno, mentre una porzione della parete originaria, pur privata della sua funzione, resta come simbolo della comunicazione ininterrotta tra passato e presente. La nuova cucina a scomparsa, composta da specchi anticati, ottone, legno e pietra, diventa nel paesaggio abitativo un accattivante quadro astratto in cui si rispecchiano, distorcendosi, le parti in gioco.

Ciascuna indispensabile alla comprensione del tutto. Come il piano del tavolo realizzato con lo scarto di un crostone di marmo bianco Verona che racchiude la forza quasi primigenia della materia nelle sue erosioni. O il mobile-architettura in ottone che funge da appoggio per la tv recuperando come fondale il meraviglioso pavimento in legno primi Novecento di una sala da pranzo della casa ricomposto in verticale in un tappeto che sale fino al soffitto.

O, ancora, il lavamani realizzato da Franchiumbertomarmi, concepito come una fusione di acqua e pregiato marmo di Calacatta in un unico elemento scultoreo. Nell’ultimo livello che corrisponde al piano ammezzato e sottotetto, è ospitata la zona notte formata da due generose camere con servizi dedicati (uno impreziosito dal pavimento in teak con giunti in caucciù), la stanza guardaroba e un locale destinato al relax.

Ed è proprio in quest’ultimo spazio che si disvela un’altra sorpresa interessante: la presenza di un ‘tappeto’ in vetro che interrompe la superficie in microcemento del piano di calpestio per lasciare affiorare le policromie dello scalone di pertinenza dell’unità abitativa sottostante. “Così la luce proveniente dal lucernario, costruito ai primi del Novecento per rischiarare il corpo-scala dell’unità indivisa”, commenta il progettista, “continua a svolgere il proprio compito.

Ma, di più, oggi c’è anche un sottile divertissement: durante le ore serali, quando la mamma accende la luce nella sua abitazione, fa brillare il pavimento della casa di Chicco”. Il cantiere è durato quattro anni. “Avrebbe potuto continuare”, riconosce, “ma con una gru in casa, ha dovuto concludersi. I vicini, pur comprensivi, iniziavano a spazientirsi”.