Modica sintetizza in un unico corpo edilizio tutta la tavolozza dei colori siciliani fatti di morbidezze e di armonia del cielo con la terra.

La città bassa ha due versanti collinari disegnati dai volumi chiari e tenui che, come tele, si colorano durante le ore del giorno, divisi non solo dal fiume, interrato dal 1902, ma soprattutto da una diversa origine sociale: Modica alta con i palazzi nobiliari e le chiese barocche e Cartellone con le piccole cellule abitative in cui il lavoro artigianale (forni per i torroni, grotte per gli animali, etc) si sovrapponeva e a volte sostituiva l’abitazione vera e propria.

Da Cartellone quindi la vista e gli scorci ammirano l’opulenza e la sensualità del Barocco siciliano. Cartellone è una vera finestra sulla storia dell’arte: “essa (la Sicilia) si può definire uno strano e divino museo di architettura”. (G. de Maupassant, “Viaggio in Sicilia”, 1885).

Una colonia di “continentali” provenienti da diverse aree geografiche d’Italia ha intuito la “bellezzanascosta di questo luogo ricercandone fra le rughe del tempo e della sofferenza millenaria i tratti di una grazia e di un’armonia che Goethe aveva già percepito nel 1817 intuendo il valore immaginario e segreto della Sicilia disegnata dalla “purezza dei contorni…”.

Queste presenze “straniere” sono legate fra loro da una parentela, non genetica, bensì fatta di una sensibilità e di un comune bisogno di bellezza da scoprire e valorizzare: un vero e proprio “passa parola” fra amici entusiasti che ha creato un effetto domino di continua presenza di “stranieru”.

Le due case pubblicate appartengono infatti a due ex studenti di Architettura a Firenze che, da adulti, hanno ritrovato in questo paradiso il modo di vedersi e condividere il piacere della quotidianità nei periodi di riposo.

La prima casa è quella del bolognese di adozione, abruzzese di origine, fiorentino di formazione professionale, l’architetto Paolo Di Biase, la cui sensibilità estetica e la cui continua ricerca di “racconti” attraverso gli oggetti storici ha ridato vita a un nuovo habitat.

Il suo primo approccio, come in altre sue case sparse per il mondo, è stato quello di fermare il tempo conservandone le crepe, le fragilità dei materiali (ceramiche, cementine, pietra pece), le tinte sfumate, la sedimentazione del tempo e dell’abbandono, valorizzandole attraverso una serie di innesti di oggetti siciliani e non, fino a far diventare la casa un vero e proprio viaggio senza interruzione: un museo delle cose e non di collezioni di oggetti.

Si tratta, infatti, di saper interpretare il concetto di “collezione” sdoganandolo dalla maniacale raccolta per farlo diventare l’occasione di un nuovo racconto attraverso la metafora dell’accumulo degli oggetti. Il tema della “ripetizione” collega tutta la casa attraverso i pupi siciliani, le gabbie, i lampadari, i giocattoli, le immagini sacre sintesi di sacro e profano.

La seconda casa, la mia casa, pur nella sua diversità tipologica (casa a schiera su due piani con annessa grotta) segue alcuni tratti della casa dell’amico fraterno di studi giovanili e che per primo mi ha introdotto a Modica: la ricerca della difficile coniugazione del passato con il presente. Quando introduco amici per la prima volta a casa, prima di lasciar libero l’ospite di sentire e avvertire i diversi punti che più colpiscono, uso la metafora del maggiordomo. A Londra esiste una importante scuola per maggiordomi in cui insegnano come pulire le argenterie della famiglia da accudire cercando di lasciare un po’ di sporco nelle zone frastagliate dei decori.

Pulirle completamente dallo sporco e quindi rinnovare le posate, come gli spazi d’architettura, li renderebbe troppo attuali e commerciali. Il compito del maggiordomo e quindi dell’architetto in realtà è di saper comunicare una nobiltà e una storia (di nobiltà o di povertà) spesso secolare.

Ecco perché gli infissi sono rimasti gli stessi con la ruggine e le crepe a denunciare, come per i decori della posata, una storia passata che non viene cancellata, bensì rispettata e attualizzata.

Ma forse lo spazio che più di altri rappresenta questo approccio rispettoso del passato è la grotta di scirocco (nel passato il calore di scirocco obbligava al riparo le persone e gli animali per salvarsi da un disagio pericoloso per la salute) adibita a loft per gli ospiti durante l’estate.

In essa sono rimasti  intatti i segni, scolpiti nella roccia, di una convivenza fra uomo e animali: incavi per legare l’animale, attrezzi e catene per appendere gli oggetti, tagli nella roccia per accogliere mensole per l’abitare.

Ma un aneddoto può chiarire meglio questo atteggiamento di rispetto: la seconda grotta adiacente a quella di accesso era coperta fino a 1,60 metri di terreno di discarica usato nel tempo. Sono sceso da Firenze chiedendo di aspettarmi, nell’incredulità del muratore, perché volevo essere presente come fossi un archeologo alla ricerca di testimonianze di povertà in quella discarica; chiedendo inoltre la presenza di cassette da frutta per conservare qualsiasi oggetto, integro o spaccato, trovato.

Da questa ricerca sono usciti capitoli di una vita di stenti, ma anche emozionanti testimonianze estetiche grazie alla scoperta di stighi (attrezzi) da lavoro, verdi ombrelli giganti per il riparo dal sole durante il lavoro, una sella da sceccu (asino), setacci, un pesto in pietra modicana, catene arrugginite, porzioni di ceramiche e due catusi (pitali) del Settecento in ceramica.

Anche qui non si è trattato di una collezione naif ma di una “ripetizione” di oggetti narrativi che hanno arredato con la loro presenzamorbida” lo spazio rinnovato e valorizzato dalle luci a terra.

Saper comporre, come in tutte le discipline creative, non diventa emozione se non si rispettano e valorizzano i sentimenti presenti e soprattutto passati, come la storia sa insegnarci

Foto di Alberto Ferrero – Testo di Paolo Di Nardo

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Il terrazzo della casa ristrutturata dall’architetto Paolo Di Biase diventa un osservatorio privilegiato sul tessuto barocco urbano di chiese (sullo sfondo la cattedrale di San Giorgio) e palazzi nobiliari.
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Una vista delle raccolte di oggetti che caratterizzano il personale palcoscenico domestico di casa Di Biase.
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Un ambiente di casa Di Biase dove raccolte di pupi siciliani e immagini sacre, sintesi di sacro e profano, accompagnano le fragilità delle ceramiche.
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Le tinte sfumate che caratterizzano l’involucro di casa Di Biase, sembrano quasi fermare il tempo.
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Lo spazio d’ingresso dell’abitazione dell’architetto Paolo Di Nardo, una casa a schiera su due piani con annessa grotta, dove il tema del progetto è stato ancora quello del dialogo tra passato e presente. Sullo sfondo, il panorama serale di Modica.
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L'ambiente di casa Di Nardo, relativamente alla parte della grotta adibita a loft per gli ospiti durante l’estate, in cui sono rimasti intatti i segni, scolpiti nella roccia, di una convivenza tra uomo e animali.
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Nella grotta loft di casa Di Nardo, diversi oggetti narrativi riscoperti durante i lavori di restauro, arredano con la loro presenza gli ambienti rinnovati e valorizzati dalle luci a terra.