Nel mondo colto, illuminato e creativo dell’artista-glassmaker Laura de Santillana che ci apre le porte della sua casa-studio alla Giudecca

 

Progetto di Giovanni Leone – Foto di Roberta Angelini – Testo di Antonella Boisi

 

“Sono una veneziana riluttante, che riconosce però il legame molto forte con la città dove è nata e cresciuta. Soprattutto oggi, che sto bene in questa casa-studio alla Giudecca, l’isola più vicina al centro storico, bonificata e defilata dalla fatica del turismo, comoda per raggiungere, con il vaporetto diretto, le fornaci di Murano o lo snodo ferroviario, piazzale Roma e la fuga”, racconta Laura de Santillana in questa intervista che restituisce, attraverso la lettura di un personale progetto abitativo, un diario in filigrana del suo percorso umano e professionale.

La prima volta che l’artista  – nipote di Paolo Venini founder nel 1921 della Venini sull’isola di Murano – spicca il volo dalla sua Venezia è nell’adolescenza, dopo gli studi classici e il primo anno di architettura allo Iuav. La destinazione è New York dove Laura si forma alla School of Visual Arts e nello studio di Massimo e Lella Vignelli.

Quando torna a Venezia si dedica cinque anni, con il padre Ludovico Diaz de Santillana e il fratello Alessandro, all’azienda di famiglia, la Venini, marchio-emblema della miglior tradizione italiana nel segmento del vetro artistico di design. Fino al 1985, anno della dolorosa vendita dell’azienda e della svolta.

Così riapproda negli States e qui, prima a New York, presso l’Urban Glass, e poi a Seattle, in un altro centro di ricerca, sperimenta innovative tecniche differenti da quelle tradizionali del vetro soffiato a mano a Murano.

“Certo, il vetro è un materiale familiare, lo conosco bene, era nella mia vita fin da bambina. Io penso in vetro. Mi interessa però fare delle cose che in un certo senso forzino la sua natura, cercando soluzioni formali e cromatiche nuove”, spiega. “Quando penso a un progetto mi guardo sempre attorno per trovare il posto migliore dove realizzarlo: dagli Stati Uniti a Murano, alla Boemia”.

La scoperta della casa-studio alla Giudecca è avvenuta per caso. “Avevo già uno studio al porto, dietro la Marittima”, ricorda. “Ma, quando mi hanno proposto di visitare questo loft, che era già un’abitazione, sono rimasta affascinata dalla ristrutturazione che ne aveva fatto per sé l’architetto berlinese Andreas Brandt negli anni Ottanta.

Un bellissimo intervento: nitido, semplice, radicale. Un soppalco aperto con una balaustra sul piano sottostante indiviso, un unico grande volume intriso di echi di modernismo viennese. Per qualche anno l’ho tenuto così, come studio. Apprezzo gli spazi aperti, luminosi, dai soffitti alti. Questo è orientato a est: una marea di luce entra dalla grande finestra e riempie la stanza; è molto adatto per dialogare con il vetro. In seguito mi sono trasferita qui e l’ho ritrasformato in abitazione”, continua.

“È stata una ristrutturazione su una ristrutturazione. Giovanni Leone, un amico-architetto di lunga data, mi ha aiutato a creare delle nuove stanze, a chiudere una cucina prima aperta, a dinamizzare un rigoroso impianto ortogonale con una quinta sbieca. Se mi guardo indietro ho sempre vissuto in simil loft, distesi e silenziosi, dai colori naturali, neutri e riposanti, dove tutto è libero di trovare il suo posto.

Di recente ho nuovamente separato studio e casa. Anche se mi piace convivere con le mie opere per conoscerle meglio, il lavoro era diventato troppo presente e mi sommergeva. La casa per me rappresenta un luogo di meditazione e di riflessione. Ho bisogno di un grande rigore di base, ma modifico spesso il layout, perché sento il bisogno di cambiare il paesaggio visivo”.

Oggi, in questo paesaggio convivono, senza pregiudizi, classici del design, buon design nordico, memorie e presenze d’affezione: vetri e mobili di famiglia, piatti in ‘vetro mosaico’ disegnati negli anni Settanta e oggetti acquistati duranti vari viaggi in Oriente, India, Giappone. E moltissimi libri ordinati in un’estesa libreria a doppia altezza che svolge un ruolo catalizzante.

“Ho riunito i libri di una vita: quelli dei nonni, bisnonni, miei e del mio compagno, anche i cataloghi che ho disegnato per le mie mostre”, illustra Laura de Santillana. “C’è di tutto: letteratura, storia, religioni, esoterismo, poesia, romanzi. La lettura, soprattutto di notte, può davvero portarti da qualche altra parte. Come i viaggi e come il vetro”.

In una sorta di parallelismo con la biblioteca, questa prospettiva è ben restituita dalla serie dei 40 libri di vetro, riposti anch’essi in una sorta di libreria, che l’artista ha creato, impiegando tecniche di compressione, che, sgonfiando il vetro dell’aria contenuta, ne mettono alla prova le caratteristiche fisiche. Sono grandi lastre simili a buste sigillate che sovvertono la tradizione del vetro soffiato.

Hanno scritta dentro la loro storia: le lavorazioni rischiose e complesse, esercizi di bravura dei tecnici; le trasparenze penetrate dalla luce, le fluidità congelate, i dinamismi; l’iter creativo. “Per me c’è una prima fase di pensiero, non necessariamente di disegno, che corrisponde all’elaborazione di un’idea e di un’atmosfera. Un lavoro solitario.

A questo segue la sperimentazione in fabbrica: test in piccola scala in cristallo, senza colore. Metto a punto proporzioni, colore, sequenza, spessore e quantità di materia: tutte informazioni che trasferisco al maestro in fornace. Infine, lo studio del colore. Lavoro sempre per sovrapposizioni, sommersioni, inclusioni, velature, sfumature. Purtroppo infatti il colore puro in fusione è diventato omologato, mentre invece si potrebbe fare un lavoro meraviglioso con i colori.

Ma, prima di fare bisogna saper vedere. È una questione di sensibilità e non di formule chimiche. Alla Venini c’è ancora l’ultimo di una generazione di coloristi che lavora con il quaderno di mio nonno. E a Murano la Stazione sperimentale del vetro aiuta a risolvere molte problematiche. Per non disperdere una sapienza nella cultura del design contemporaneo che equivarrebbe a un impoverimento, a una diminuzione di strumenti e possibilità espressive”.

Nel frattempo, a Stoccolma, fino al 16 agosto, la Galleri Glas ospita una personale di Laura de Santillana, mentre a Kyoto, dal 5 all’8 ottobre, Genbei Kondaya espone i suoi vetri e bronzi insieme ai tessili del giapponese Genbei Yamaguchi.

 

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L'esterno del palazzo in mattoni rossi all'isola della Giudecca dove si trova lo studio-casa di Laura de Santillana.
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Il loft si sviluppa su due livelli, con una passerella-belvedere aperta sullo spazio sottostante indiviso. Tra gli arredi, classici del design, come la Lounge Chair di Charles & Ray Eames (originale anni Sessanta) e le sedie Diamond in rete metallica di Harry Bertoia (Knoll International). Divano di Boselli. Le sfere bianche sono lampade di Roberto Menghi per Venini.
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Laura de Santillana affacciata sullo studio.
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Vista della libreria a doppia altezza che, ottimizzando l'altezza dello spazio, diventa protagonista del paesaggio domestico popolato di memorie e pezzi d'affezione. Sulla scrivania, lampade nere in vetro e legno laccato di Laura de Santillana. Sotto la scrivania, vetri e bronzo Bodhi.
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Alcuni elementi che compongono l'amata art of glass di Laura de Santillana: le sculture dei Cosmic Eggs.
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Bodhi, un grande libro in vetro cristallo. A parete, un lavoro in PVC soffiato di Franco Mazzucchelli.