In principio non è l’uno, ma il molteplice. Le religioni monoteiste hanno posto la figura del dio unico all’inizio di tutto, ma il brodo primordiale in cui ha preso forma la cultura umana ha cominciato a ribollire molto prima che il ‘verbo’ (logos) venisse a porre distinzione tra la verità e le sue alternative.

Ecco perché i pantheon delle religioni antiche sono sempre affollati di divinità plurali e ambigue: perché torbide, plurali e ambigue sono le origini dell’umano. È da questo fondo limaccioso, in cui il bambino non si distingue ancora dall’acqua sporca, che sgorgano le energie creative primigenie. È qui che le cose, non ancora compiutamente formate, oscillano in uno stato di ‘sbilanciamento esistenziale’ che le fa divenire, e generare, altro da sé.

Ometeotl, l’antica divinità azteca creatrice di ogni cosa, appartiene in pieno a questa fase sorgiva dell’umanità. La sua natura è infatti duale, composta da una figura maschile, Ometecuhtli, e una femminile, Omecihuatl, per riferirsi alle quali occorre usare espressioni composite come “lui/lei”.

Non per una questione di traduzione linguistica, ma per l’impossibilità di importare la narrazione pluralista del mondo antico all’interno dell’impalcatura concettuale moderna, che – per quanto secolarizzata – è stata plasmata dalla narrazione monistica delle religioni mediorientali.

Oggi sono l’arte e il design messicani a farsi eredi del flusso creativo che fuoriesce dalla doppiezza di Omecihuatl (letteralmente, “signore/a due”), attraverso la moltiplicazione procariota di progetti “imperfetti” antitetici all’idea latina di per-fectum (“fatto”, “finito”, “chiuso”).

L’effervescenza del design messicano predilige infatti oggetti sincretici dall’identità aperta, come il vassoio in legno Miss Susan di Cecilia Léon de la Barra, che, seppure in toni sobri, esibisce una ricercata instabilità estetica.

Né mancano riferimenti diretti all’idea di viscosità primordiale generatrice, a cui sembrano far riferimento le ampolle in vetro Dermal e Xinú disegnate da Héctor Esrawe per Nouvel Studio.

Non è un caso che pulsioni così remote tornino in circolazione all’inizio del terzo millennio. Dopo la lunga parabola moderna, la nostra epoca ‘reticolare’ offre infatti nuovamente il brodo di coltura ideale per il proliferare di pluralità aperte, che crescono non più solo a livello locale ma ramificano in modo trasversale a livello globale.

È quanto si coglie in progetti come il coffee table Porin di studio Mob, o lo specchio Mono di Cooperativa Panorámica che, da un lato si pongono in linea con il macro-trend contemporaneo della scomposizione elementare dell’oggetto, dall’altro si fanno portatori di un’idea di design destrutturata e ‘non normalizzata’.

Sarebbe tuttavia riduttivo ricondurre l’intera creatività messicana al sangue caldo delle origini azteche. Anche l’opera di assimilazione culturale imposta a sangue freddo dai Conquistadores ha infatti giocato un ruolo decisivo nel forgiare la narrazione estetica sudamericana.

Ecco, allora, che l’incontro non risolto tra le forze caotiche del mondo antico (che generano ma non si possono controllare) e i principi d’ordine del mondo moderno (che regolano ma non possono generare) trova espressione in progetti al tempo stesso raffinati e brutalisti come la lampada Ambra di David Pompa, in cui si assembla il rigore costruito di frammenti geometrici con l’inquietudine materica di sostanze brecciose.

Mentre ancora più esplicita è la collezione Binomios del Comité de Proyectos (Andrea Flores e Lucía Soto), che, in particolare nel tavolino, incastona brani di magma caldo su una struttura portante algida e scheletrica, a esprimere il modo contraddittorio attraverso cui la cultura si appropria della natura: trasformandola nel suo opposto.

Un panorama così composito spiega il contrappunto che nasce dalla coesistenza di oggetti come Gualdras di Caterina Moretti (studio Peca), realizzato con un unico blocco di legno, e una seduta di limpida derivazione funzionalista come Cas.bah dell’atelier Nomade.

Il quale, in una serie di progetti tra cui la lampada Luz, affonda ancora di più la lama nell’intreccio tra ordine e caos, disegnando pezzi che sembrano concepiti a partire da principi tecnici pre-tecnologici. Sullo stesso filone si pone il mobile Nuñez di studio Mob, che posiziona strutture lineari mistiche su pesanti basi pietrose, custodi della memoria geologica del pianeta.

Isole di ordine parziale lasciate dallo sgretolamento della razionalità moderna, alla deriva su flussi di energia densa e primordiale: questo il nuovo design messicano, che gioca oggi la sua partita a livello globale grazie all’attualità delle sue origini.

Se infatti la narrazione moderna si fonda sull’inizio del mondo a opera del dio unico, diametralmente opposto è il racconto che gli Aztechi davano di sé, definendosi “popolo del sole” (l’etimo azteco “mexxica” sembra riferirsi proprio al sole) in quanto incaricati di posticipare ogni 52 anni la fine dell’universo, attraverso cerimonie che comprendevano anche il sacrificio umano.

Se, una volta compiuto il rito, all’alba del cinquantatreesimo anno il sole sorgeva ancora, voleva dire che una sufficiente quantità di vita era stata offerta agli dei, per placare la minaccia distruttrice/creatrice che sempre incombeva e alimentava la cultura umana sulla terra.

Testo di Stefano Caggiano

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Studio Esrawe, i diffusori aromatici Xinú, ispirati alla scultura astratta precolombiana unita all’idea di crescita cellulare e dispersione delle spore. Concept: Héctor Esrawe e Ignacio Cadena. Sviluppo: Manuel Bañó. Produzione: Nouvel Studio.
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Studio Esrawe, i diffusori aromatici Xinú.
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Studio Esrawe, la serie di lampade interattive Vari, in bronzo e legno di noce. L’oggetto si comporta come un grande interruttore analogico, che sconfina nel magico.
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Balanza, un oggetto di art design in vetro e struttura di ottone dello Studio Esrawe. Fa parte della collezione Host realizzata per Nouvel Studio.
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Lampada Ambra di David Pompa che combina rame e pietra.
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Vassoio Miss Susan di Cecilia Léon de la Barra, in multistrato di betulla (foto Pirwi).
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Coffee table Porin di Studio Mob.
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Il complemento Gualdras di Caterina Moretti (studio Peca), realizzato a partire da un unico blocco di legno, con l’integrazione di un elemento dalla decisa cromia ‘grafica” .
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Il collettivo Cooperativa Panorámica predilige il dialogo tra materiali diversi, accomunandoli a partire dal colore, come nello specchio della collezione Mono (foto di Estudio Tampiquito).
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L’unicità di materiali quotidiani, nella mangiatoia per uccelli della collezione Materiality in pietra di basalto e rame di Cooperativa Panorámica.
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Seduta Casbah, collezione 12.16, di Nomade Atelier (Ismael Bachri e Diana Quintero Vallejo). Ispirato agli studi sulla luce di László Moholy-Nagy, l’oggetto è concepito come l’organizzazione strutturale di un equilibrio tra materiali, processi ed elementi funzionali.
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Di Nomade Atelier (Ismael Bachri e Diana Quintero Vallejo), una lampada a parete dalla forma ‘astrale’.
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In principio non è l’uno, ma il molteplice. Le religioni monoteiste hanno posto la figura del dio unico all’inizio di tutto, ma il brodo primordiale in cui ha preso forma la cultura umana ha cominciato a ribollire molto prima che il ‘verbo’ (logos) venisse a porre distinzione tra la verità e le sue alternative. Ecco perché i pantheon delle religioni antiche sono sempre affollati di divinità plurali e ambigue: perché torbide, plurali e ambigue sono le origini dell’umano. È da questo fondo limaccioso, in cui il bambino non si distingue ancora dall’acqua sporca, che sgorgano le energie creative primigenie. È qui che le cose, non ancora compiutamente formate, oscillano in uno stato di ‘sbilanciamento esistenziale’ che le fa divenire, e generare, altro da sé. Ometeotl, l’antica divinità azteca creatrice di ogni cosa, appartiene in pieno a questa fase sorgiva dell’umanità. La sua natura è infatti duale, composta da una figura maschile, Ometecuhtli, e una femminile, Omecihuatl, per riferirsi alle quali occorre usare espressioni composite come “lui/lei”. Non per una questione di traduzione linguistica, ma per l’impossibilità di importare la narrazione pluralista del mondo antico all’interno dell’impalcatura concettuale moderna, che – per quanto secolarizzata – è stata plasmata dalla narrazione monistica delle religioni mediorientali. Oggi sono l’arte e il design messicani a farsi eredi del flusso creativo che fuoriesce dalla doppiezza di Omecihuatl (letteralmente, “signore/a due”), attraverso la moltiplicazione procariota di progetti “imperfetti” antitetici all’idea latina di per-fectum (“fatto”, “finito”, “chiuso”). L’effervescenza del design messicano predilige infatti oggetti sincretici dall’identità aperta, come il vassoio in legno Miss Susan di Cecilia Léon de la Barra, che, seppure in toni sobri, esibisce una ricercata instabilità estetica. Né mancano riferimenti diretti all’idea di viscosità primordiale generatrice, a cui sembrano far riferimento le ampolle in vetro Dermal e Xinú disegnate da Héctor Esrawe per Nouvel Studio. Non è un caso che pulsioni così remote tornino in circolazione all’inizio del terzo millennio. Dopo la lunga parabola moderna, la nostra epoca ‘reticolare’ offre infatti nuovamente il brodo di coltura ideale per il proliferare di pluralità aperte, che crescono non più solo a livello locale ma ramificano in modo trasversale a livello globale. È quanto si coglie in progetti come il coffee table Porin di studio Mob, o lo specchio Mono di Cooperativa Panorámica che, da un lato si pongono in linea con il macro-trend contemporaneo della scomposizione elementare dell’oggetto, dall’altro si fanno portatori di un’idea di design destrutturata e ‘non normalizzata’. Sarebbe tuttavia riduttivo ricondurre l’intera creatività messicana al sangue caldo delle origini azteche. Anche l’opera di assimilazione culturale imposta a sangue freddo dai Conquistadores ha infatti giocato un ruolo decisivo nel forgiare la narrazione estetica sudamericana. Ecco, allora, che l’incontro non risolto tra le forze caotiche del mondo antico (che generano ma non si possono controllare) e i principi d’ordine del mondo moderno (che regolano ma non possono generare) trova espressione in progetti al tempo stesso raffinati e brutalisti come la lampada Ambra di David Pompa, in cui si assembla il rigore costruito di frammenti geometrici con l’inquietudine materica di sostanze brecciose. Mentre ancora più esplicita è la collezione Binomios del Comité de Proyectos (Andrea Flores e Lucía Soto), che, in particolare nel tavolino, incastona brani di magma caldo su una struttura portante algida e scheletrica, a esprimere il modo contraddittorio attraverso cui la cultura si appropria della natura: trasformandola nel suo opposto. Un panorama così composito spiega il contrappunto che nasce dalla coesistenza di oggetti come Gualdras di Caterina Moretti (studio Peca), realizzato con un unico blocco di legno, e una seduta di limpida derivazione funzionalista come Cas.bah dell’atelier Nomade. Il quale, in una serie di progetti tra cui la lampada Luz, affonda ancora di più la lama nell’intreccio tra ordine e caos, disegnando pezzi che sembrano concepiti a partire da principi tecnici pre-tecnologici. Sullo stesso filone si pone il mobile Nuñez di studio Mob, che posiziona strutture lineari mistiche su pesanti basi pietrose, custodi della memoria geologica del pianeta. Isole di ordine parziale lasciate dallo sgretolamento della razionalità moderna, alla deriva su flussi di energia densa e primordiale: questo il nuovo design messicano, che gioca oggi la sua partita a livello globale grazie all’attualità delle sue origini. Se infatti la narrazione moderna si fonda sull’inizio del mondo a opera del dio unico, diametralmente opposto è il racconto che gli Aztechi davano di sé, definendosi “popolo del sole” (l’etimo azteco “mexxica” sembra riferirsi proprio al sole) in quanto incaricati di posticipare ogni 52 anni la fine dell’universo, attraverso cerimonie che comprendevano anche il sacrificio umano. Se, una volta compiuto il rito, all’alba del cinquantatreesimo anno il sole sorgeva ancora, voleva dire che una sufficiente quantità di vita era stata offerta agli dei, per placare la minaccia distruttrice/creatrice che sempre incombeva e alimentava la cultura umana sulla terra. Testo di Stefano Caggiano
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Studio Esrawe, i diffusori aromatici Xinú, ispirati alla scultura astratta precolombiana unita all’idea di crescita cellulare e dispersione delle spore. Concept: Héctor Esrawe e Ignacio Cadena. Sviluppo: Manuel Bañó. Produzione: Nouvel Studio.
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Studio Esrawe, i diffusori aromatici Xinú.
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Studio Esrawe, la serie di lampade interattive Vari, in bronzo e legno di noce. L’oggetto si comporta come un grande interruttore analogico, che sconfina nel magico.
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Balanza, un oggetto di art design in vetro e struttura di ottone dello Studio Esrawe. Fa parte della collezione Host realizzata per Nouvel Studio.
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Lampada Ambra di David Pompa che combina rame e pietra.
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Vassoio Miss Susan di Cecilia Léon de la Barra, in multistrato di betulla (foto Pirwi).
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Coffee table Porin di Studio Mob.
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Il complemento Gualdras di Caterina Moretti (studio Peca), realizzato a partire da un unico blocco di legno, con l’integrazione di un elemento dalla decisa cromia ‘grafica” .
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Il collettivo Cooperativa Panorámica predilige il dialogo tra materiali diversi, accomunandoli a partire dal colore, come nello specchio della collezione Mono (foto di Estudio Tampiquito).
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L’unicità di materiali quotidiani, nella mangiatoia per uccelli della collezione Materiality in pietra di basalto e rame di Cooperativa Panorámica.
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Seduta Casbah, collezione 12.16, di Nomade Atelier (Ismael Bachri e Diana Quintero Vallejo). Ispirato agli studi sulla luce di László Moholy-Nagy, l’oggetto è concepito come l’organizzazione strutturale di un equilibrio tra materiali, processi ed elementi funzionali.
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Di Nomade Atelier (Ismael Bachri e Diana Quintero Vallejo), una lampada a parete dalla forma ‘astrale’.
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In principio non è l’uno, ma il molteplice. Le religioni monoteiste hanno posto la figura del dio unico all’inizio di tutto, ma il brodo primordiale in cui ha preso forma la cultura umana ha cominciato a ribollire molto prima che il ‘verbo’ (logos) venisse a porre distinzione tra la verità e le sue alternative. Ecco perché i pantheon delle religioni antiche sono sempre affollati di divinità plurali e ambigue: perché torbide, plurali e ambigue sono le origini dell’umano. È da questo fondo limaccioso, in cui il bambino non si distingue ancora dall’acqua sporca, che sgorgano le energie creative primigenie. È qui che le cose, non ancora compiutamente formate, oscillano in uno stato di ‘sbilanciamento esistenziale’ che le fa divenire, e generare, altro da sé. Ometeotl, l’antica divinità azteca creatrice di ogni cosa, appartiene in pieno a questa fase sorgiva dell’umanità. La sua natura è infatti duale, composta da una figura maschile, Ometecuhtli, e una femminile, Omecihuatl, per riferirsi alle quali occorre usare espressioni composite come “lui/lei”. Non per una questione di traduzione linguistica, ma per l’impossibilità di importare la narrazione pluralista del mondo antico all’interno dell’impalcatura concettuale moderna, che – per quanto secolarizzata – è stata plasmata dalla narrazione monistica delle religioni mediorientali. Oggi sono l’arte e il design messicani a farsi eredi del flusso creativo che fuoriesce dalla doppiezza di Omecihuatl (letteralmente, “signore/a due”), attraverso la moltiplicazione procariota di progetti “imperfetti” antitetici all’idea latina di per-fectum (“fatto”, “finito”, “chiuso”). L’effervescenza del design messicano predilige infatti oggetti sincretici dall’identità aperta, come il vassoio in legno Miss Susan di Cecilia Léon de la Barra, che, seppure in toni sobri, esibisce una ricercata instabilità estetica. Né mancano riferimenti diretti all’idea di viscosità primordiale generatrice, a cui sembrano far riferimento le ampolle in vetro Dermal e Xinú disegnate da Héctor Esrawe per Nouvel Studio. Non è un caso che pulsioni così remote tornino in circolazione all’inizio del terzo millennio. Dopo la lunga parabola moderna, la nostra epoca ‘reticolare’ offre infatti nuovamente il brodo di coltura ideale per il proliferare di pluralità aperte, che crescono non più solo a livello locale ma ramificano in modo trasversale a livello globale. È quanto si coglie in progetti come il coffee table Porin di studio Mob, o lo specchio Mono di Cooperativa Panorámica che, da un lato si pongono in linea con il macro-trend contemporaneo della scomposizione elementare dell’oggetto, dall’altro si fanno portatori di un’idea di design destrutturata e ‘non normalizzata’. Sarebbe tuttavia riduttivo ricondurre l’intera creatività messicana al sangue caldo delle origini azteche. Anche l’opera di assimilazione culturale imposta a sangue freddo dai Conquistadores ha infatti giocato un ruolo decisivo nel forgiare la narrazione estetica sudamericana. Ecco, allora, che l’incontro non risolto tra le forze caotiche del mondo antico (che generano ma non si possono controllare) e i principi d’ordine del mondo moderno (che regolano ma non possono generare) trova espressione in progetti al tempo stesso raffinati e brutalisti come la lampada Ambra di David Pompa, in cui si assembla il rigore costruito di frammenti geometrici con l’inquietudine materica di sostanze brecciose. Mentre ancora più esplicita è la collezione Binomios del Comité de Proyectos (Andrea Flores e Lucía Soto), che, in particolare nel tavolino, incastona brani di magma caldo su una struttura portante algida e scheletrica, a esprimere il modo contraddittorio attraverso cui la cultura si appropria della natura: trasformandola nel suo opposto. Un panorama così composito spiega il contrappunto che nasce dalla coesistenza di oggetti come Gualdras di Caterina Moretti (studio Peca), realizzato con un unico blocco di legno, e una seduta di limpida derivazione funzionalista come Cas.bah dell’atelier Nomade. Il quale, in una serie di progetti tra cui la lampada Luz, affonda ancora di più la lama nell’intreccio tra ordine e caos, disegnando pezzi che sembrano concepiti a partire da principi tecnici pre-tecnologici. Sullo stesso filone si pone il mobile Nuñez di studio Mob, che posiziona strutture lineari mistiche su pesanti basi pietrose, custodi della memoria geologica del pianeta. Isole di ordine parziale lasciate dallo sgretolamento della razionalità moderna, alla deriva su flussi di energia densa e primordiale: questo il nuovo design messicano, che gioca oggi la sua partita a livello globale grazie all’attualità delle sue origini. Se infatti la narrazione moderna si fonda sull’inizio del mondo a opera del dio unico, diametralmente opposto è il racconto che gli Aztechi davano di sé, definendosi “popolo del sole” (l’etimo azteco “mexxica” sembra riferirsi proprio al sole) in quanto incaricati di posticipare ogni 52 anni la fine dell’universo, attraverso cerimonie che comprendevano anche il sacrificio umano. Se, una volta compiuto il rito, all’alba del cinquantatreesimo anno il sole sorgeva ancora, voleva dire che una sufficiente quantità di vita era stata offerta agli dei, per placare la minaccia distruttrice/creatrice che sempre incombeva e alimentava la cultura umana sulla terra. Testo di Stefano Caggiano [gallery ids="158807,158809,158811,158813,158815,158817,158819,158821,158823,158825,158827,158829,159831,158833,158835"]
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Dermal, un oggetto di art design di Studio Esrawe, realizzato tramite l’inserimento di un impianto ‘sottocutaneo’ quale elemento decorativo. Fa parte della collezione Host, realizzata per Nouvel Studio.
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Coffe table collezione Binomios, di Comité de Proyectos (Andrea Flores e Lucía Soto). Il corpo geologico del marmo è montato su una struttura algida e scheletrica, a esprimere l’azione contraddittoria attraverso cui la cultura si appropria della natura, trasformandola nel suo opposto (foto Paulina Campos Hierro).
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Dermal, un oggetto di art design di Studio Esrawe, realizzato tramite l’inserimento di un impianto ‘sottocutaneo’ quale elemento decorativo. Fa parte della collezione Host, realizzata per Nouvel Studio.
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Coffe table collezione Binomios, di Comité de Proyectos (Andrea Flores e Lucía Soto). Il corpo geologico del marmo è montato su una struttura algida e scheletrica, a esprimere l’azione contraddittoria attraverso cui la cultura si appropria della natura, trasformandola nel suo opposto (foto Paulina Campos Hierro).
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