Pubblico e privato, paesaggio urbano e domestico, fuori e dentro. Riflette su questa ‘frattura’ (per ricucirla) la White Cave House, un progetto firmato da Takuro Yamamoto.
Figura di spicco della generazione under 50 dell’ archittettura giapponese, Yamamoto sin dall’inizio della sua attività (apre nel 2005, a Tokyo, il suo studio ) è stato un architetto delle ‘relazioni’, ha cioè sempre lavorato progettando e sperimentando spazi dove la quotidianità individuale si apre al mondo e la difesa della privacy – uno dei temi più importanti e ricorrenti nell’architettura contemporanea giapponese – non compromette mai la volontà di vivere con gli altri. Proprio come succede in questo suo recente lavoro.
Nata su un lotto di 400 metri quadrati nei sobborghi della città giapponese di Kanazawa, ‘scrigno’ del Giappone feudale, la casa sfrutta la complessità del sito (un’area periferica, piuttosto anonima e densamente abitata) e ne trasforma i difetti in vantaggi con inaspettate soluzioni.
Yamamoto rinuncia, infatti, a innalzare semplici muri divisori per allontanare la realtà esterna, ma lavora per sottrazione, riducendo le superfici o, addirittura, eliminandole. Così, solo apparentemente l’edificio appare solido e compatto, perché una serie di ‘vuoti’, fra di loro visivamente connessi, creano un ‘tunnel’ (da qui il nome di ‘cave house’) che apre la casa al cielo e alla città.
Un percorso, però, non lineare, che piega in una ‘elle’ sino a formare un ampio cortile interno per regalare ai residenti massima privacy. Proprio qui, infatti, si affaccia tutta l’area giorno, con un ampio fronte vetrato che, coincidendo in modo perfetto con il prospetto del piano terreno, azzera la soglia fra ciò che sta dentro e ciò che sta fuori. In questo modo lo spazio interno si prolunga all’esterno senza soluzione di continuità, come testimonia la lunga mensola a sbalzo che dal living prosegue ‘magicamente’ la sua corsa in cortile, oltre la vetrata.
Sul fronte strada, invece, il gioco dei vuoti e dei pieni diventa funzionale per creare un’area-garage e, contemporaneamente, prevedere uno spazio coperto di protezione all’ingresso della casa (durante l’inverno, infatti, la città è soggetta a frequenti e abbondanti nevicate).
Più intimo e raccolto il piano superiore, tutto dedicato all’area notte. Ma anche qui Yamamoto non rinuncia a sorprendere, coprendo il terrazzo con un sottile velo d’acqua, che ‘cattura’ il cielo, portandolo dentro casa. Così le nuvole (e le stelle) diventano le indiscusse protagoniste, spostando lo sguardo in verticale e distogliendo l’attenzione dal disordine e dal brusio decorativo del paesaggio urbano circostante.
Infine, la scelta del bianco come colore totalizzante regala ariosità e luce al volume della casa, che si trasforma così in una sorta di landmark ben visibile. Tranne quando nevica: allora è il paesaggio che annulla l’architettura.
Foto di Ken’ichi Suzuki Photo Office – Testo di Laura Ragazzola