Foto courttesy Toyo Ito & Associates
Testo di Antonella Boisi

Cosa rende l’architettura di Toyo Ito un appuntamento di interesse e stimolo per costruire, abitare, pensare nel XXI secolo? “La sua capacità di rivestire la vita, che non insegna ma aiuta a vivere” ha messo a fuoco il professor Francesco Dal Co, introducendo la Lectio Magistralis del progettista giapponese, Pritzker Prize 2013, nell’ambito del programma culturale di Cersaie 2014 a Bologna.

“Nel ricercare il rapporto con le occasioni che la vita ci offre” ha continuato “noi diamo espressione a ciò che la vita è (e che, senza la nostra capacità di interpretazione, sarebbe soltanto un trascorrere). Gli architetti trasformano la vita in tempo e danno forma alle cose, traducendone le diversità. Toyo Ito lo fa, senza mai essere volgare, seguire mode o sentimenti effimeri. Nelle sue architetture c’è l’eleganza che le cose assumono quando sono espressione della forma dei tempi”.

Già, è sempre una questione di modi e di tempi. E la ricerca di composizioni volumetrico-spaziali “non materiali”, in cui l’ossessione della lievità e della trasparenza mixa il mondo fisico con quello virtuale, è una cifra che caratterizza tutto il percorso di Ito. Dal 1971 quando firma la prima casa in alluminio e vetro. Fino alle opere più note quali la Mediateca di Sendai (Giappone, 1998/2000), il palazzo Omotesando di TOD’S (Tokyo, 2004), la biblioteca della Tama Art University (Tokyo, 2007), l’allestimento della personale alla Basilica Palladiana di Vicenza nel 2008.

“L’aspetto più originale della sua carriera” ha proseguito Dal Co “è di sottrarsi ogni volta alla definizione tipologica e ai vincoli che essa rappresenta. A questo si lega la straordinaria capacità di sperimentare metodi costruttivi e materiali innovativi, cercando nella leggerezza e nella chiarezza delle strutture una chiave espressiva mai scontata”.

Un esempio per tutti: il National Taichung Theater a Taichung City, Taiwan, una realizzazione in fieri (deadline prevista, novembre 2015, dopo dieci anni dal concorso vinto nel 2005), dove la ricerca dell’espressione intrinseca dei materiali è particolarmente evidente nella modellazione della membrana elastica, che si rapporta alla grande capacità di interpretazione della specificità del luogo d’intervento.

In estrema sintesi, il concept progettuale si declina con due superfici plastiche distanziate l’una dall’altra che, nei punti di contatto, creano degli interstizi vuoti, ad effetto scultoreo, ma anche a funzione di sostegno della struttura.“Questo principio ha creato” ha concluso Dal Co “un edificio poroso, dove la tonicità non è il risultato di un esercizio formale, ma di un’intuizione statica legata al modo di utilizzare il materiale”.

Una genesi complessa quella dell’Opera House, contenitore che integra tre teatri, rispettivamente da 2000, 800 e 200 posti, insieme ad una serie di spazi di ristorazione e di sosta, anche culturale, nel contesto di un lussureggiante parco a ridosso di un quartiere residenziale di Taichung City.

“Mi sono ispirato alle cavità del volto umano, tra bocca, naso, orecchie, che ci mettono in relazione con l’esterno” ha raccontato Toyo Ito. “Il trasferimento metaforico di questo concept in architettura, mi ha portato a  sviluppare una struttura spaziale organica, con la tecnica del muro a capriata: una ‘grotta’ del suono, di forma longitudinale, che apre ‘una finestra’ sulla città del futuro, grazie alla sua ‘pelle’. In pratica, sfalsando e distanziando due piani di membrana elastica, in orizzontale e verticale, si sono create delle cavità vuote irregolari, nei punti di contatto rinforzate da gettate in calcestruzzo.

Prima che quest’ultimo fosse completamente indurito, abbiamo rimosso la griglia dei reticolati metallici, dentro i quali aveva preso forma. Può sembrare una tecnica molto primitiva, ma era necessario costruire una morfologia step by step che permettesse alle curvature delle superfici di acquisire una tridimensionalità ogni volta differente. Così è diventata un’operazione particolarmente lunga e faticosa”.

Sulle pareti è stata poi data una mano di calce e ancora di vernice a suggerire una continuità fluida; in copertura, il calcestruzzo è stato invece reso idrorepellente e ‘piegato’ alla definizione di un verde roof garden. In questo involucro, che si adatta con flessibilità ai diversi programmi funzionali dell’edificio, nella convinzione che le arti teatrali siano arti spaziali e connubio di corpo, musica e performance, la parte più alta è stata destinata allo spazio del ristorante, mentre il foyer al piano terra si è configurato come un giardino virtuale punteggiato di opere naturalistiche realizzate da una rosa di artisti di Taiwan.

Il teatro più piccolo, il primo che vedrà compiutamente la luce, a breve, avrà poi un anfiteatro concepito come un prosieguo in esterno del palcoscenico interno.“Perché la mia mission in questo come in altri lavori” ha spiegato Toyo Ito “è quella di riappropriarmi di un dialogo più diretto con le cose che ci circondano, e di ricostruire la relazione tra essere umano e natura, partendo proprio dai materiali capaci di svelarla.

Cemento, legno, ceramica, alluminio…il tipo poco importa; l’importante è non restare omologati e perseguire paradigmi di leggerezza e trasparenza nel modo di utilizzarli. Un grande tema dell’architettura del futuro sarà anche per me la comprensione di come le persone possono vivere meglio le une con le altre”. E di questo parla in modo emblematico la ricerca sociale Home for All,  portata avanti da Ito con altri illustri colleghi, in Giappone, dopo lo tsunami del 2011: un progetto per i centri di soccorso e accoglienza, concepito ascoltando i futuri abitanti di quei luoghi e quelle case, con le loro necessità, bisogni e desideri.

 

Antonella Boisi

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Fase costruttiva del National Taichung Theater, commissionato dal Taichung City Government, Republic of China (Taiwan). La realizzazione della pelle architettonica segue una tecnica step by step che permette alle curvature delle superfici di acquisire una tridimensionalità ogni volta differente. Infatti, sfalsando e distanziando due piani di membrana elastica, in orizzontale e verticale, si definiscono delle cavità vuote irregolari, nei punti di contatto rinforzate da gettate in calcestruzzo.
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Il concept del plug-in che ha ispirato il progetto: due superfici plastiche distanziate l’una dall’altra, che, nei punti di contatto, creano degli interstizi vuoti, ad effetto scultoreo, ma anche a funzione di sostegno della struttura.
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Rendering (by Kuramochi + Oguma) della Play House (800 posti).
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La composizione integrata dei tre teatri.
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Rendering del Black Box (200 posti), il teatro più piccolo prossimo all’inaugurazione.