È il 2005 quando Opos lancia il progetto Made for China, chiedendo ad alcuni designer italiani di ragionare sulla nuova conformazione che il panorama economico-politico sta assumendo grazie al risveglio della potenza produttiva e distributiva cinese.

La questione è cruciale: può la Cina assurgere a modello culturale ed estetico, oltre che a leader sul piano commerciale? Una generazione di designer tricolore, allora trentenni, rispose tra il serio e il faceto puntando su alcuni dei temi più scottanti dell’ipotesi di dominazione orientale. Al centro era la questione della copia o di che cosa si potesse considerare realmente ‘originale’.

Oggi, a distanza di dodici anni, la pratica della falsificazione viene ancora, nell’accezione comune, associata alla produzione cinese. Al tempo stesso, l’Oriente si è spalmato sul mercato mondiale con le sue icone, dalle porcellane alle lanterne.

Tuttavia, le influenze non sono sempre a senso unico. Anzi, spesso nel passato, e talvolta anche nel presente, è l’Occidente a prendere a prestito gli archetipi della cultura materiale cinese. Il fenomeno dell’importazione di referenze orientali in realtà ha una storia antichissima, che va di pari passo con quella dei flussi mercantili.

Ma è a partire dal 1600, dal Barocco e poi dal Rococò, che gli Occidentali si appassionano nel disegnare interni, oggetti e addirittura intere architetture alla maniera Orientalista. La moda delle Chinoiserie divampa in tutta Europa e tra fine XVIII e metà XIX secolo non esiste reggia imperiale che non riporti almeno una stanza arricchita dagli stilemi tipici: pagode, lanterne, peonie, carpe, figure con abiti tradizionali o anche ideogrammi di fantasia.

La Cina diventa un Paese di pura invenzione immaginifica, popolato da oggetti fuori scala, da una palette di colori che riproduce le lacche e imita le giade. Le forme spesso sono ibridate con gli elementi del linguaggio neoclassico, come nella pagoda del castello di Chanteloup nella Valle della Loira, dove l’edificio alto quasi 60 metri sovrappone i tipici tetti a spiovente a colonne doriche e corinzie.

Per tutto il Novecento i campi maggiormente battuti dai venti d’Oriente sono quelli dell’ebanisteria e della ceramica. Permeati dal fascino orientalista non sono solo decoratori e illustratori, ma anche insospettabili razionalisti e maestri di sobrietà nordica.

Nel 1933, per esempio, Marcello Piacentini firma la stanza per Fiammetta Sarfatti dove le influenze cinesi sono pregnanti: rosso lacca è la dominante cromatica e le sedie sono varianti a base circolare o quadrata di classici dell’ebanisteria cinese, così come lo è la consolle.

Una decina di anni dopo sarà il maestro danese Hans J. Wegner, incaricato da Fritz Hansen per una nuova serie di sedute, a disegnare la cosiddetta Chinese Chair destinata a essere la prima di diverse varianti di grande successo.

Che sia una conformazione a Y oppure una barra verticale a segnare l’asse dello schienale, la morfologia richiama in maniera precisa i classici dell’ebanisteria cinese. Epurate da ornamenti e decorazioni, queste linee tracciano una sorta di ergonomia ante litteram, che potremmo definire quasi ‘antropologica’, incontrando in un connubio naturale la visione antropocentrica e funzionalista dei maestri del design novecentesco.

E non a caso è un autore come Wegner, massimo rappresentante del design scandinavo, a rintracciare un’affinità elettiva nei classici cinesi, perché il design danese, lo ricordiamo, nasce da una solida base artigianale e serializza in maniera funzionale forme vocate all’equilibrio tra dato estetico e comfort d’uso.

Se a spingere verso Oriente in alcuni casi è quindi la sobrietà funzionale delle componenti e dei processi del prodotto, in altri l’assonanza è riservata alle evocazioni narrative che la cultura cinese sa veicolare.

Nel 1997, per esempio, Marcel Wanders disegna per Moooi il Ming Vase, copia esatta di un vaso di 3100 anni fa ritrovato sul fondo del mare in una nave mercantile. Il vaso antico viene così immaginato come fosse stato ricondotto dalla permanenza sottomarina alla sua pura essenza morfologica, quindi riprodotto in semplice porcellana bianca.

Un’operazione effettuata per sottrazione della decorazione originaria, in maniera da portare in superficie la storia millenaria di un oggetto superstite, testimone di un tempo passato. Il tutto diviene, pertanto, una riflessione sui concetti di copia, imitazione e falsificazione che si tinge di molte sfumature interpretative.

Più di recente, nel 2010, Max Lamb ha applicato la sua capacità speculativa sui processi di produzione a un progetto realizzato in una cava nella provincia del Fujian, il China Granite Project II. Per l’occasione l’autore inglese si è trasferito per diverse settimane in Cina, vivendo e lavorando a stretto contatto con gli operai della cava, al fine di appropriarsi delle loro pratiche estrattive e della lavorazione sulla materia prima. Il risultato è una collezione di sedute dal sapore decisamente arcaico e scultoreo, che tengono conto del tempo condiviso e dello scambio culturale che è fluito libero tra le due culture.

Chi invece ha compiuto una vera operazione di traduzione dal cinese a una lingua più universale è stato Konstantin Grcic, interessato da sempre allo studio degli archetipi storici. La sua collezione Mingx per Driade è infatti un perfetto caso d’integrazione di un classico cinese in una società cosmopolita.

“Sono un grande ammiratore degli arredi in legno della dinastia Ming”, spiega il designer tedesco. “Quel che vi ho trovato di così convincente è la combinazione tra la struttura logica e la bellezza formale. (…) La trasposizione dal legno al tubolare metallico ha aperto a un’interpretazione contemporanea, industriale e, in realtà, europea di un tema classico”.

Il che è espressione di un ragionamento sull’importare modelli di riferimento che culturalmente distano anni luce dalla pedissequa imitazione.

di Domitilla Dardi

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Marcello Piacentini, mobile e due sedie per la casa di Fiammetta Sarfatti, 1933 (coll. Privata).
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La collezione Mingx di Konstantin Grcic per Driade, composta da sedute, tavoli e sgabelli. Si ispira all’archetipo dell’antica sedia cinese in legno.
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La China Chair progettata da Hans J. Wegner nel 1944, unica sedia in legno massello della collezione Fritz Hansen. Un’interpretazione delle sedie cinesi del XVII e XVIII secolo che segna una tappa della ricerca condotta da Wegner sulle potenzialità espressive del legno.
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Ming Vase di Marcel Wanders per Moooi, 1997, la riproduzione in porcellana bianca di un vaso cinese fatto 3100 anni fa.
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Le sedute China Granite Project II, realizzate da Max Lamb nel 2010 secondo le tecniche di estrazione della pietra della provincia di Fujian.