Per la seconda apertura milanese di Dry Milano, lo studio Vudafieri-Saverino Partners di Tiziano Vudafieri e Claudio Saverino ridefinisce i temi dell’accoglienza nel settore food&beverage, rielaborando il rapporto tra persone e servizi, estetica e funzione, segno e messaggio.

Posto all’angolo tra viale Vittorio Veneto e via Manuzio, il progetto valorizza la duplice esposizione della location grazie a tredici vetrine e un dehor sui Bastioni.

Il tema architettonico pone al centro la progettazione del rapporto con le persone, come nella scelta di eliminare il filtro tra chi lavora e chi è servito. Ne consegue una distribuzione dello spazio non gerarchica tra luogo del cliente e luogo dello staff.

Dry Milano è una pizzeria nella quale i codici estetici classici vengono sovvertiti: con il forno che non si vede, video di arte anziché di sport, una persistente disomogeneità tra funzioni e luoghi.

Il decor mixa elementi d’epoca con altri più moderni, per un layout contemporaneo: il pavimento in legno si contrappone ai muri storici, lasciati in parte grezzi.

Il disegno dei tavoli – primari, nella loro semplicità – è un omaggio alla poetica di Aldo Cibic.

I materiali sono lavorati in modo inconsueto, come per la ceramica da pavimenti utilizzata sulla superficie dei tavoli in tre tonalità, con bordi in ottone ruvido. 

L’ottone caratterizza la maggior parte delle finiture d’arredo come anche le luci.


I lampadari sono costruiti avvitando vecchi portalampade con lampadine ad incandescenza di recupero o, ancora, attorcigliando ghirlande luminose da giardino attorno semplici barre.

I separé a tutta altezza – ottenuti sovrapponendo tavoli e pensili da cucina – delimitano gli spazi aperti rendendoli più intimi.

Per quanto riguarda la cucina, lo chef Andrea Berton inventa un tema food different, arricchendo la formula vincente del primo Dry Milano.