om’è noto, “Milan l’è un gran Milan” e, di conseguenza, la città della Madunina “col coeur in man” pensa ai suoi cittadini, nonché alla massa di estemporanei ospiti, calati con la piena del Salone del mobile e del FuoriSalone, affinché tutti riescano a sostentarsi adeguatamente durante l’affollatissima e mondanissima Settimana milanese del design (11-17 aprile).

Dunque, va bene lo sbandierato Food for mind, ma alquanto necessario è anche il Food for belly. In questo senso, Milano, che è la città più cara d’Italia in quanto a ristorazione, presenta nella specifica settimana un serie di ristoranti pop-up messi in piedi da astro-chef che cavalcano anche l’onda del design, come pure dei ristoranti più che stabili che vogliono rinfrescarsi un po’ il make up in presenza di tutti queste archi-star e design addict. Ma durante la Milan Design Week, nella cosiddetta città delle tre F (fashion, furniture, food) non ci sono solo ricchi imprenditori, designer -stella o design addicts abbigliati da Yohji Yamamoto… Ci sono anche studenti di design e architettura, progettisti che si auto-producono, giovani organizzatori di Design week estere, che vengono da tutto il mondo e che devono dunque affrontare spese di vitto e alloggio. Per loro che non hanno un papi alle spalle, non c’è solo il panino con la mortadella, ma anche innovativi e deliziosi posti, in cui mangiare, bere e accomodarsi, pur evitando rapinosi esborsi. Tra questi, l’erbettoso Triennale Design Café, rallegrato dal Campari Soda da sorbirsi nei plurimi progetti di Matteo Ragni. Niente male pure il bistrot di Hangar Bicocca, che tra l’altro permette di fare un salto alla mostra Terre vulnerabili. Ma QB mercato & cucina (naturale, stagionale, locale, crudo e cucinato), di ispirazione anglo-americana, è la vera novità. Come pure Il lattughino, che nel 2010 aveva solo carrelli mobili, mentre quest’anno ha due risto fissi, anche per asporto. Certo che cenare a Il teatro, in via del Gesù, è decisamente un’altra cosa: noblesse oblige!